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Il Sillogismo Imperfetto la guerra d’Algeria e il piano Pouget, un’alternativa dimenticata

– Posted in: Cultura, Recensioni, Storia

By Emilio Borelli
Originally Posted Friday, March 4, 2011

E’ dai primi viaggi all’Algeria che nasce il mio personale innamoramento per quel paese e una delle prime conseguenze ne è stato il fatto che ho cercato di “misurare” quella sensazione di familiarità cercando qua e là maggiori informazioni, le più disparate, sugli avvenimenti recenti e meno recenti che comunque ne hanno legato in qualche modo la storia alla nostra dimensione. E questo nell’accezione di Algeria-paese mediterraneo. E’ così che due anni or sono ho incontrato, quasi per caso, “Il sillogismo imperfetto” pubblicato nel 2007 da Mursia, autore Gianfranco Peroncini.

E dire che è un incontro casuale non è affermazione da poco, in effetti si tratta di un saggio anche corposo sulla guerra d’Algeria, che sviscera in modo poco convenzionale e molto diretto, affrontando – con crudezza ma senza compiacimenti o al contrario falsi scrupoli – le tematiche della cattiva coscienza francese risvegliate pochi anni addietro dalle rivelazioni del maggiore Aussaresses (la tortura come pratica corrente, la eliminazione fisica dei terroristi o fiancheggiatori) e drammaticamente riproposte all’attualità – ma mi verrebbe da dire – con molto più cinismo ed indifferenza in merito ai più recenti episodi di lotta al terrorismo.

Un libro di guerra e sulla guerra? No, sicuramente no, un libro che sviscera il cambiamento degli scenari e dei rapporti campali in varie situazioni, dall’Indocina a, per l’appunto, l’Algeria. Cambiamenti, flessibilità, argomenti all’ordine del giorno per i fantaccini di ogni conflitto mandati a morire nel fango di risaie o di trincee come sui djebel assolati, del tutto ignoti alle gerarchie militari, agli strateghi, ai grandi geni, dai Rumsfeld alle Rice.

Non fanno difetto al libro – che non è un trattato sulla guerra moderna – riflessioni ed intuizioni per niente banali su questioni afferenti lo “sviluppo diseguale” e lo sbilancio delle nascite nei paesi del c.d. Terzo mondo.

Il libro affronta le problematiche derivanti da una ipocrita lettura del paese nordafricano da parte della collettività francese (estensivamente, direi europea), in effetti si evidenzia in quegli anni l’affermarsi di una borghesia mercantile (la stessa che porterà – è storia di oggi – al tracollo le imprese di mezza Europa a vantaggio dei mercati orientali) che azzera la parte positiva dei concetti ispiratori della colonia (espansione di produzioni agricole, bonifiche, relazioni tra culture tradizionali) a vantaggio di una economia prettamente finanziaria.

Le tresche sotterranee che riporteranno in auge un pensionato pesante come De Gaulle, l’individuazione come unico responsabile del dramma algerIno del colono francese in luogo di una inetta classe politica e meschina gerarchica militare.

Elemento focale del libro – e qui si può essere d’accordo o meno, subire le fascinazioni che vogliamo ed avere le convinzioni politiche più personali, i fatti sono fatti – è l’emergere della figura del militare cosidetto d’élite, nello specifico colui che ha il privilegio e l’onore (sono mie personali definizioni) di confrontarsi e conoscere il nemico.

E’ su questa esilissima cengia che il Peroncini si muove, descrivendoci aspre quotidianità e crude demenzialità di caserma quali in tanti ne abbiamo apprezzate nei nostri tutto sommato appena formali periodi di leva. Quelle demenzialità e storture che hanno portato un intero continente a scadere di dignità e rispettabilità. E’ nel rapporto di rispetto che nasce sul campo che il libro ha il suo – rivoluzionario quanto condivisibile, almeno per il sottoscritto – pernio.

La congerie di fatti e il succedersi delle più spregiudicate manovre politiche lo rende giocoforza a tratti descrittivo e quasi ripetitivo ma vi troviamo riferimenti ed impressioni che riscopriamo confermate nelle pagine di Jean Servier, un etnologo pied-noir (altro personaggio che visse quei giorni sul campo, insieme a gruppi cabili), studioso delle tradizioni e delle simbologie dei berberi del Mediterraneo.

Vicende umane – il legame tra la terrorista e l’ufficiale francese, il rispetto per la dignità e il coraggio – che testimoniano non tanto il concetto dell’attrazione dei poli opposti quanto piuttosto della riscoperta di valori comuni tra avversari, ancorché motivati e spietati.

In qualche modo torna in mente l’affatto hollywoodiano monologo di Marlon Brando/Kurtz sull’orrore e sull’amore.

Un finale colpo di scena del tutto imprevedibile e davvero ignorato, con cui l’Algeria e le sue vicende segnano in modo decisamente scomodo e – per l’appunto – assai discreto uno degli avvenimenti più simbolici del secondo dopoguerra: il Maggio francese.

Si, decisamente un bel tomo, di quasi ottocento pagine, che parla di Algeria ma non solo, ci fa capire molte cose anche di quelle assurde spiegazioni che talora dobbiamo ascoltare in proposito alla morte di qualche ragazzo ai bordi di qualche pista afghana, posti belli e maledetti, dove non puoi aspettarti un avversario convenzionale, là dove prevale un’altra tradizione.

Emilio Borelli

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