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Pellegrinaggio a Sidi Touì

– Posted in: Cultura, Usi e Costumi

By Marino Alberto Zecchini
Originally Posted Monday, April 16, 2007

Pellegrinaggio a Sidi Touì

Dopo due ore di piste di sabbia e di pietra, dentro un reg secco e arido giungemmo sulla sommità di un piccolo monte dove si trova appollaiata la costruzione della piccola moschea di Oummi Routtila*. Da questa sommità si stende un impressionante vallone che si perde tra le sabbie e la steppa della Jeffara. Ai piedi dell’altura alcune decine di tende beduine attorno a loro numerosissimi uomini con abiti e turbanti bianchi pregavano riuniti in direzione della kaba*. Vicino ad ogni tenda i fuochi erano già accesi in attesa della notte, la moltitudine di uomini e donne sparsi nella vallata segnavano la sabbia sparsa di sterpi di vita brulicante. Ai miei occhi un paesaggio epico, di quelli che mai mi era capitato di assistere nelle mie numerose peregrinazioni per il Sahara.

L’amico Mosen mi accompagnava, e, in lui, Akkàra* di Zarzis, che ama definirsi “eco artista e beduino di città” si poteva osservare attraverso la sua espressione meravigliata di essere capitati in un luogo in cui si era catalizzato un evento straordinario.

Discendemmo il monte attraverso una ripida mulattiera e presto ci trovammo a contatto diretto con la gente che prima vedevamo piccola muoversi nella valle. Vicino ai fuochi sdraiati a terra uomini e donne, vecchi e malati accuditi amorosamente da giovani donne vestite con abiti coloratissimi e veli sulla testa, tutti erano in attesa della notte. “Una notte in cui gli spiriti dei santi vengono implorati per richiamare la pioggia e per chiedere le guarigioni degli astanti malati, la notte di Sidi Touy*”.

Sidi Toui

Il parco si estende su 6.315 ettari nel Sud-Est del Paese e include un modesto rilievo, il Djebel Sidi Toui (172 metri), assieme alla circostante pianura composta da piccole dune, letti fluviali asciutti, zone semi-aride.

Le difficili condizioni ambientali, anche qui, consentono la presenza di una biodiversità circoscritta a poche specie ma di grande importanza. Tra le altre, si segnalano gazzelle (Gazella sp.) e fennec (Fennecus zerda), ubara (Chlamydotis ondulata), allodola del deserto (Ammomanes deserti) e allodola beccocurvo (Alaemon alaudipes).

Eravamo in pieno deserto a qualche chilometro dalla frontiera libica, un luogo questo in cui le tribù del sud sin dai secoli passati lo avevano scelto come area di raduno. I Rebaya*, tribù stanziata nell’Oued Suf* algerino, grandi nomadi del deserto, i Touazin* di Ben Garden*, gli Jlidet* di Tataouine, i Taruna* libici, tutti qui nel deserto vicino al mausoleo di Sidi Touì, considerato il marabuto di vertice, il riferimento spirituale di tutti.

Tutta la vasta area di Sidi Touì per la sua straordinaria biodiversità animale e vegetale era stata da alcuni anni dichiarata parco nazionale e i due unici accessi sono controllati dalle guardie forestali. Al nostro arrivo eravamo passati da una sorta di recinzione, le guardie ci avevano registrato su un gualcito brogliaccio come erano stati iscritti il migliaio di presenti giunti da ogni dove con vecchi camioncini, alcuni erano giunti a piedi ed avevano al seguito greggi e piccole mandrie di dromedari.

Il parco consiste in una vasta area desertica di molti chilometri quadrati dove vi sono alcuni rilievi montuosi, sulle cime vi sono quattordici piccole gubbet*, mausolei, ognuno dei quali era stato l’eremitaggio di un uomo considerato poi santo marabuto tra questi, il più importante è Sidi Touì.

Entrammo nella piccola moschea di Oummi Routtila in fondo al piccolo cortile c’era l’ingresso di una grotta, un passaggio piccolo ed angusto che ci porta sotto terra. Io, seguivo Mosen nel cunicolo che permetteva di passare uno alla volta, quasi a carponi. In un istante ci trovammo in un antro, una grotta da dove sentivamo gia forti le percussioni ritmate sul bandir, proseguimmo ancora, sino a una grotta più grande; eravamo ad una trentina di metri sotto la montagna. Nell’antro uomini e donne ballavano attorno al grande catafalco di Oummi Routtila al ritmo del tamburo, la grotta era illuminata da centinaia di piccole candele poste tutt’attorno negli anfratti della roccia, nella penombra potevo distinguere un gigantesco nero che picchiava freneticamente sul Bandir e comandava con esso il ritmo, il ballo ed il respiro di tutti i presenti. Io restai immobile estasiato, la luce fioca e la lunga sciarpa che mi copriva il volto non lasciava scoperta la mia identità occidentale e allora mi sentii più sicuro e mi lasciai trasportare completamente dal ritmo, il mio corpo era come lontano, restavo appeso alla musica, alle parole ed alle grida che percuotevano esplodendo contro il basso soffitto della grotta e nel mio ventre.

Un uomo di bassa statura e una donna dagli occhi vivissimi ballavano muovendo il torace avanti ed indietro e gridando frasi sconnesse come formule magiche, poi cadevano in lamentazioni sonore dove il respiro diventava rumoroso ed ansimante.

Chiesi a Mosen cosa dicevano e lui come stordito ripeteva facendomi la traduzione:

Dio faccia che piova…amin.
Dio faccia, che i nostri prati rinverdiscono ed i nostri arbusti fioriscano…amin.
Dio faccia che le nostre tribù e le nostri greggi vivano in pace… amin.
Dio accetta le nostre offerte ed il nostro sacrificio …amin.
Dio faccia, che il nostro pellegrinaggio ad Ommi Routtila ed i quattordici santi di questo posto, porti con sé delle piogge…amin
Dio faccia che giunga l’abbondanza nelle nostre famiglie…amin.

Uscimmo dalla grotta dirigendoci verso i piedi del colle dove vi erano poste a semicerchio dodici tende nere, mi spiegarono che ognuna di queste erano della tribù Rebaya, ed appartenevano a famiglie considerate ricche e nobili e che ci sarebbe stato di li’ a poco una sorta di rituale di sottomissione da parte di rappresentanti di un’altra tribù i Touazin, questi ultimi avevano portato un toro destinato al sacrificio e poi sarebbe stato consegnato alle famiglie Rebaya come atto di subordinazione e di sottomissione.

La notte era giunta, i fuochi si erano ravvivati, alcuni erano alti e si osservavano lontani.

Ci invitarono presso una tenda, ci fecero sedere accovacciati vicino al fuoco e ci portarono subito una ciotola fumante di cuscus, ci chiesero di dove eravamo, Mosen disse che era di Zarzis ed era un Akkara mentre io scoprii una volte per tutte la mia identità gauri, (un termine popolare questo, usato in tutto il Maghreb per definire un occidentale). Questa rivelazione non destò comunque molto stupore, anzi venni accolto con molta cordialità.

Non lontano da noi, attorno ad un grande fuoco mi attirò la musica ed i canti di un gruppo di giovani indiavolati che stavano facendo un Hadra. mi avvicinai e subito mi trovai nel bel mezzo di una frenetica danza con movimenti grida e ritmi demoniaci, mostravano tutta la loro trascendenza selvaggia. Mi lasciai trasportare anche da questi ritmi e provai per un istante il senso di essere perduto, un patos inebriante di suoni e movimento, di respiro e di stordimento.

Mosen mi chiamò indicandomi un grande fuoco a non più di duecento metri da noi, si vedevano le ombre di uomini e donne che ballavano e pregavano appellandosi ad Allah, per non perdere la fede, per essere sempre capaci nella sottomissione al creatore. Si appellavano a Dio perché finalmente faccia piovere l’acqua scrosciante sul terreno arido, per perpetuare la vita.

Da questi uomini, che vivono in simbiosi totale con il deserto, scaturisce l’idea oggi andata in gran parte perduta, che l’uomo è solo uno, tra i molteplici esseri viventi, nei cicli biologici della vita e della natura, uno dei fattori tra i molti, in tensione continua verso l’appagamento delle sue esclusive soddisfazioni ma consapevole che tutt’attorno a lui esseri vegetali ed animali sono in costante orazione per i medesimi scopi.

Il giorno seguente, la pioggia cadde sulla regione, sulle montagne e nelle pianure, gli wydian* si riempirono della benedizione di Dio…ed io ho ballato di gratitudine per Sidi Touy, per Oummi Routtila e per tutti gli uomini conosciuti e sconosciuti per tutti i saggi della terra e per il potente Creatore.

Glossario

reg: morfologia tipica del deserto costituita da una vasta pianura di pietre e sabbia attraversata da solchi di secchi di fiumi (ouadi).
Oummi Routtila: personaggio femminile considerata dalla tradizione popolare pia e santa.
Sidi Touì: è considerato il marabuto di vertice, il riferimento spirituale di molte tribù del sud.
Kaba: è il grande catafalco che si trova nella città di Mecca in Arabia S., meta del pellegrinaggio di tutti i musulmani.
Akkàra: tribù storicamente insediata nella regione di Zarziz
Rebaya: tribù di grandi nomadi allevatori storicamente insediata tra la regione di Sidi Touì e l’Oued suf Algerino
Touazin: Tribù della pianura della Jeffara nei pressi di Ben Gardane
Jlidet: Tribù insediata a Tataouine
Gubbet: plurale di gubba, mausoleo di marabuto
Bandir: tamburo basso del diametro di circa 45 cm.
Hadra: in arabo significa la presenza (implicito di Dio, del santo etc.) rituale popolare che attraverso il ritmo del bandir il canto, il movimento e la respirazione si ricerca la trance.
Gauri: termine popolare che viene usato in tutto il Maghreb per indicare l’occidentale, la sua etimologia potrebbe essere “colui che fa la guerra” da ghirra contaminazione dal dialetto siciliano.
Wydian: plurale di oued = fiume o solco di fiume secco.

Marino Alberto Zecchini

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