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EGITTO 2007

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Patrizia Messina e Edoardo Bauer
Originally Posted Tuesday, September 4, 2007

EGITTO 2007

testo di Patrizia Messina, foto di Edoardo Bauer

Sono centinaia o forse anche migliaia i racconti di viaggi nel deserto africano; come è possibile riuscire a raccontare questa avventura senza rischiare di diventare retorica e scivolare nei soliti luoghi comuni? E’ successo frequentemente a tutti noi di leggere alcuni reportage molto meno interessanti dei viaggi realizzati.

Pertanto non mi dilungherò nel tentativo di compilare un elenco dettagliato relativo a forature, insabbiamenti e verricelli ma vorrei tanto trovare le parole adatte per descrivere l’appassionante “navigazione” attraverso le sterminate onde di sabbia del Great Sand Sea; oppure vorrei riuscire a narrare con semplicità il sorprendente paesaggio del Gilf el-Kebir o del Deserto Bianco, luogo di accecante splendore ai confini dell’irreale.

Vorrei solo che le parole ricreassero le immagini di quanto visto e suscitassero il desiderio di partire, o ripartire, immediatamente.

Ritornare in Africa è sempre un’emozione e non appena gli spazi iniziano ad allargarsi ci si rende subito conto di quanto ci sia mancata; è un po’ come riascoltare una musica tanto amata: è dolcissimo risentirne le note.

Ritornata tra le mura domestiche, i ricordi continuano ad ammucchiarsi nella mente senza uno schema preciso: Grotta dei Nuotatori, Wadi Hamra, i sogni e le tracce di Almasy…

Tutti noi volevamo ritrovare i sogni di Almasy; ecco perché siamo partiti.

Fantasticavo che lui sorvegliasse il nostro percorso e tenevo sempre vicino il suo libro nella speranza di ritrovarne le testimonianze e riconoscerne i paesaggi da lui descritti.

Inizio a sfogliare gli appunti di viaggio e ne ritrovo le date precise…

La mattina del 1° agosto, dopo 3 giornate di trasferimento attraverso Tunisia e Libia, arriviamo finalmente alla frontiera egiziana: decine di uomini e donne che, con la schiena piegata ad angolo retto da fardelli pesantissimi, sfilano accanto ai nostri6 fuoristrada, carriole con chissà che cosa dentro che vanno e vengono…

…E io mi sorprendo a immaginare quanto sarebbe entusiasmante scorrazzare in lungo e largo attraverso un’Africa senza frontiere, senza confini, senza guerre, senza difficoltà: sarebbe semplice fare una capatina a sud poi un’altra un po’ più a ovest e poi tagliare verso est; ci si potrebbe spostare ovunque, un’esplorazione senza limiti di nessun genere.

E invece, attendiamo pazienti che un egiziano infili le braccia dentro ogni cofano delle nostre auto, riconosca i numeri del motore e del telaio e appiccichi una cartina sull’ennesima pratica doganale; dai su, sbrigatevi che dobbiamo arrivare presto a Siwa!

Ci fermiamo una giornata a Siwa, oasi con giardini meravigliosi dove si mescolano palme e oliveti; della cittadella, la cui costruzione risale al 1203, rimangono solo le rovine a causa dell’alluvione che nel 1928 sciolse letteralmente la fortezza.

Ovunque carretti, ovunque botteghe colorate, ovunque barattoli di olive, ovunque bimbetti saltellanti.

Riempiamo i serbatoi fino all’orlo; come uno scoiattolo, il bambino del distributore si arrampica in quattro e quattr’otto per raggiungere anche le taniche sistemate sul tetto: abbiamo bisogno di circa 400 litri per portare a termine l’itinerario previsto in totale autonomia.

Sveglia all’alba: il Grande Mare di Sabbia ci aspetta. La maestà regale del Grande Nulla. Il simbolo dell’infinito e dell’eterno. I colori del silenzio. Bellezza struggente.

E’ come se un immenso oceano d’acqua si fosse trasformato in sabbia, sabbia vellutata a perdita d’occhio.

“La sapienza è amica del deserto” fece presente il filosofo Filone di Alessandria e Victor Hugo scrisse che “il deserto è quel posto dove c’è Dio e non c’è l’uomo”.

Intuizioni perfette, come è perfetta l’immagine della nostra guida egiziana che prega Allah prostrandosi sulla sabbia in direzione della Mecca; pregare nel deserto: esiste forse un luogo più spirituale e più mistico per parlare con Dio?

Frammenti di silica glass sono presenti in un unico punto del mondo, quella parte di Sahara a cavallo tra Egitto e Libia: è proprio lì che arriviamo il 4 agosto.

L’aspetto è simile a quello di uno smeraldo ed è elettrizzante vederla luccicare nella sabbia, si tratta invece di una pietra misteriosa di origine cosmica battezzata “silica glass” perché composta di silicio puro al 98%.

Era conosciuta già ai tempi dei faraoni tanto che un esemplare è incastonato in uno dei gioielli del tesoro di Tutankhamon. La sua origine e formazione, stimata intorno ai 28 milioni di anni fa è per la scienza ancora un enigma: asteroide, cometa o meteorite?

I giorni successivi vengono dedicati all’esplorazione dell’altipiano del Gilf al-Kebir e ai tre wadi che prendono il nome di Talh, Abd al-Malik e Hamra.

Mi ricordo perfettamente che in ogni istante era di scena l’infinito ed essere sopra il plateau del Gilf al-Kebir era come essere sul tetto del mondo.

Finalmente siamo nei luoghi tanto amati e setacciati da Almasy e da Clayton negli anni ’30: ma esisteva sul serio l’oasi di Zerzura? E già che ci siamo con i misteri, dove sarà finito l’esercito di Cambise partito da Dakhla e diretto a Siwa? Dove saranno seppelliti i 50.000 guerrieri investiti da una tremenda tempesta di sabbia e di cui non si è mai più saputo nulla?

Scendere di volta in volta nelle ramificazioni dei wadi significa assistere a un’esplosione di luce e colore, soprattutto del Wadi Hamra che è rosso, incredibilmente rosso e punteggiato da alcune acacie che viste dall’alto sembrano bonsai. Roccia nera e sabbia rossa, è tutto così sorprendentemente fantastico.

Ancora assonnati per la consueta sveglia al sorgere del sole, l’8 agosto siamo nel Wadi Sora e questo sottintende grotta dei Nuotatori e grotta Foggini-Mestekawi. Il nome “Sora” significa appunto pitture ed è stato proprio Almasy a dare questo nome.

La giornata si presenta subito densa di emozioni e pensare che ancora non immaginiamo che cosa ci sarebbe successo nel tardo pomeriggio…

Chissà la commozione provata da Almasy nello scoprire questo riparo nella roccia e trovarvi queste figurine rosse di 10 centimetri che sono la testimonianza autentica che nel Sahara l’acqua esisteva veramente.

Non lontano dalla grotta c’è una lastra di roccia su cui Sabir, l’autista di Almasy, incise una mappa geografica con il Nilo, il suo delta e le indicazioni del sito.

La grotta Foggini, giustamente battezzata “La Cappella Sistina del Sahara” è semplicemente un’apoteosi di dipinti: ovunque innumerevoli pitture rosse che si rincorrono e spesso si sovrappongono. Si potrebbe stare incantati a osservarla per ore e provare a scavare ancora sotto la sabbia per capire fino a che profondità è stata dipinta.

Ed ecco ciò che avevo anticipato qualche riga più su… Prima di arrivare al Chianti Camp – dove dopo i vari saccheggi rimane solo la base di uno dei fiaschi – una magnifica sorpresa, un’affascinante scoperta: abbandonato sulla sabbia un fagotto di abiti ed effetti personali di una soldatessa della seconda guerra mondiale appartenente al Long Range Desert Group. Ma ci sono anche il passaporto, le lettere di un’amica, le foto…

Khaled ha portato tutto all’ambasciata inglese al Cairo e che cosa hanno scoperto? Che la soldatessa, Alexandra Ross, è morta nel 2004 ma la sorella si recherà personalmente in Egitto per riavere tutto.

La mattina del 9 agosto troviamo il monumento del principe Kamal al-Din, grande esploratore del deserto, amico e finanziatore delle spedizioni di Almasy; ai piedi del cumulo di pietre c’è proprio la lapide lasciata dallo stesso Almasy in sua memoria nel 1932.

Poco dopo, circa 350 taniche di latta infilate nella sabbia vanno a disegnare un’enorme freccia e a scrivere “8 BELLS”, campo di atterraggio durante la seconda guerra mondiale; forse anche Alexandra Ross passò di qui?

Iniziamo a risalire verso nord con direzione Dakhla che comunque dista ancora ben 2 giorni di fuoristrada da dove siamo, visto che intendiamo fare un salto al Cratere di El Baz, cono vulcanico che interrompe i cordoni del GSS, per farli incredibilmente riprendere sul suo versante sud. La sera del 10 agosto riusciamo a fare campo presso le cave di ocra, polvere rossa molto friabile che gli antichi Egizi utilizzavano per produrre i loro colori.

Alle prime ore del mattino dopo, arriviamo ai “Red Lion” o “Mud Pan”. A Siwa avevo sfogliato un libro con delle bellissime foto, mi era sembrato un luogo fatato e incantato e lo è veramente: la magia del vento è stata capace di scolpire delle formazioni di fango che assomigliano a dei leoni marini che nascono dalla sabbia puntando tutti il muso verso un’unica direzione.

Situata a circa 240 km a sud–ovest da Dakhla, Abu Ballas rappresentava un punto strategico di rifornimento d’acqua; è stato il principe Kamal al-Din a chiamare così questa collina perché attorno alla sua base trovò centinaia di anfore per contenere l’acqua. “Abu Ballas” significa infatti “padre delle anfore”.

Con il sole a picco, facciamo una sosta proprio vicino alla lapide posta in onore di Samir Lama morto solo alcuni anni fa e considerato dal popolo egiziano una leggenda. Arrivò per la prima volta sul Gilf nel 1946 e riuscì a trovare un nuovo passaggio per salirvi.

Il 12 agosto siamo a Dakhla e ci affidiamo a Ibrahim per visitarne la città vecchia vagamente somigliante a Ghadames per il dedalo di stradine strette e buie al riparo dal sole. Odore acre di polvere e di spezie, asini che rimorchiano carretti carichi di frutta e cianfrusaglie, il laboratorio di un fabbro nascosto dietro un cortile.

Giungere a Farafra equivale ad arrivare poco dopo nel Deserto Bianco; come è strano trovare l’insegna “White Desert” ai margini di una strada statale asfaltata che lo spacca in due parti.

Abbagliati ed estasiati dall’impatto con le rocce candide di gesso che galleggiano sulla sabbia, fantastichiamo su un ipotetico animale, un castello, una sfinge, una mongolfiera; siamo nel paese dei balocchi, in una galleria d’arte moderna a cielo aperto, a un balletto surrealista in uno dei luoghi più straordinari del pianeta. Non manca una puntata nella Hidden Valley, nascosta e bellissima, una trentina di chilometri ad est del Deserto Bianco.

Raggiungiamo Bahariya il 14 agosto e non possiamo assolutamente perderci la visita alle tombe per ammirarne le stupefacenti pitture che decorano le pareti. Sotto gli occhi della storia, rimaniamo esterrefatti e sconcertati.

Ferragosto straordinario nel Wadi El-Hitan, area giustamente protetta dall’Unesco a causa del ritrovamento di fossili di balena risalenti a 40 milioni di anni fa.

Dopo quasi 2 settimane di solitudine nel deserto, credo non esista modo più traumatico di tornare alla civiltà che immergersi nel traffico del Cairo dove l’anarchia assoluta, con la perenne colonna sonora dei clacson, regna sovrana. Ma nello stesso tempo è quasi tutto così assurdamente comico, allegro, esilarante!

Mi emoziona ricordare l’alba del 28 luglio quando, scesa sotto casa, ho preso il mio fuoristrada e ora… ora sono arrivata fino al Cairo, accanto alle Piramidi! Quasi un viaggio d’altri tempi.

Il museo egizio conserva ancora le stesse vetrine inattuali e polverose ma trovarsi faccia a faccia con la maschera di Tutankhamon rimane comunque un incontro di grande intensità.

Dopo una temeraria corsa in taxi, è rassicurante sedersi a sorseggiare un tè alla menta a El-Fishawi, un fascinoso caffè primi Novecento incastrato dentro al mercato di Khan el-Khalili, dove era facile incontrare il premio Nobel per la letteratura Mahfuz.

L’ultimo ricordo che conservo del Cairo è la splendida voce di un muezzin che invita alla preghiera; non una di quelle voci registrate ma certamente una voce dal vivo e quindi possente, stentorea, soave.

Mi piace l’idea di chiudere questo racconto non con la malinconica visita al sacrario di El-Alamein ma scomodando ancora una volta il conte Almasy che scrisse: “…Io amo il deserto… Il deserto è terribile e spietato, ma chi lo ha conosciuto è costretto a ritornarci”.

Note Tecniche

Come persona incaricata dal gruppo di organizzare il tour, inserisco a complemento del report di Patrizia alcune annotazioni “tecniche” sul viaggio. Riguardo le foto, ho volutamente tralasciato graffiti e pitture varie, viste e riviste un po’ dappertutto, inserendo invece immagini che, spero, riescano a suscitare qualche emozione anche a chi non ha mai visto quei luoghi. Tantissime sono quelle che l’Egitto ha suscitato in me e, credo, in tutti i partecipanti.

Concedetemi un grazie a Mauro “Gatti Off Road” e Cinzia, impeccabile meccanico/preparatore il primo, validissimo aiuto alla trattoria desertica “Chez Edouard” la seconda.

Edo

PARTECIPANTI: Agostina, Alessadro, Andrea, Cinzia, Edoardo, Isabella, Mauro, Paolone, Patrizia, Riccardo, Roberta, Sandra, Stefano

Auto: 3 Toyota HDJ80, 3 Land Rover Defender 110

KM Totali: 10.000 – Fuoristrada 2500

Percorso: Tunisia, Libia, Siwa, Wadi Abd El Melik, Wadi Thal, Wadi Abd El Melik, Lama-Monod Pass, Altipiano Gilf, Wadi Hamra, Deep Camel Pass, “Khaled’s Cave”, Wadi Sora, Grotta Mestekawi, Chianti Camp, Monumento Kemal El Din, El Baz Crater, Cave di Ocra, Red Lions, Abu Ballas, Sugar Loaf, Dahkla, Farafra, Deserto Bianco parte sinistra, Hidden Valley, Deserto Bianco parte destra, Bir Maghfi, Baharija, Wadi Hitan, Cimitero Balene, El Cairo, El Alamein, Mathrou, Libia, Tunisia.

Libia: per l’attraversamento della Libia ci siamo serviti dell’agenzia Ghadames Tour. Aboubaker si è dimostrato preciso ed efficiente, risponde alle mail in tempo quasi reale e, cosa non trascurabile, ha pure il conto corrente in Italia. La guida che ci aveva affidato, Hassan, è stato semplicemente fantastico: tutte quattro le frontiere libiche in 20 minuti ciascuna.

Egitto: per le pratiche doganali bisogna armarsi di un po’ di pazienza. Gli adempimenti sono più o meno come quelli libici, ma qui bisogna arrangiarsi. 4 ore per 6 auto all’andata, 2 ore al ritorno (sapendo già dove mettere le mani e… i carnet). Conoscere qualche parola di arabo, come sempre, aiuta molto e “abbatte” molte barriere. Si trova sempre qualcuno che aiuta e normalmente ti fanno saltare le interminabili code dei locali che “trafficano” tra i due stati.

Per la guida obbligatoria in Egitto ci siamo serviti di Oscar Tour, agenzia che si è dimostrata sicuramente all’altezza, disponibile e professionale. Insomma, perfetta. Donia, che si occupa della parte burocratica è precisa, Khaled, il responsabile “tecnico” è una delle guide più preparate (22 anni di esperienza) ed è una persona molto intelligente. Sono inoltre molto competitivi sulle tariffe alberghiere; prenotando da soli costa mediamente un 30-40% in più. La guida è obbligatoria da Siwa a Dakhla, poi non serve. E’ comunque vietato, senza permessi e senza guida, campeggiare nel Deserto Bianco. L’ammenda è di 1000 dollari.

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