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Boves – Djenne’, Tra terra e mare di Pierangelo Fissore

– Posted in: Africa, Africa Occidentale, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Pierangelo Fissore
Originally Posted Thursday, July 29, 2004

BOVES – DJENNE’

“TRA TERRA E MARE”

a cura di Pierangelo Fissore

www.totemtabu.it Totem e Tabù Club di Liberi Viaggiatori Boves (Cuneo)

Cronaca di un viaggio e storia della meritata fortuna che ha accompagnato cinque vecchie autovetture attraverso spiagge e deserti da Boves ai villaggi Dogon.

AUTOVETTURE

FORD TRANSIT FURGONE 1982
FORD SIERRA SW 1990
RENAULT 21 1986
PEUGEOT 505 1980
FIAT PANDA 1981

CHILOMETRI PERCORSI : 8700

NUMERO PARTECIPANTI: 12 QUATTRO DONNE OTTO UOMINI

INCONVENIENTI MECCANICI

GOMME FORATE 9
GOMME DISTRUTTE 2
SERBATOI FORATI 2
ROTTURE VARIE

1 MANICOTTO RADIATORE (ricostruito con una camera d’aria)
2 TUBI DEI FRENI
2 SERBATOI FORATI (riparati con sapone e cenere)
1 TUBO BENZINA (riparato con una BIC)
1 SPECCHIETTO RETROVISORE (perso chissà dove)
2 PARAURTI (persi chissà come)
2 MARMITTE (1 persa, l’altra forata)
1 FANALE
3 PORTELLONI DEL COFANO BLOCCATI
1 SOSPENSIONE DANNEGGIATA
2 BIDONI DI ACQUA PER RADIATORE
10 KG DI OLIO MOTORE

Dopo tante sere passate a raccontarci cosa sarebbe potuto accadere durante il viaggio che da Boves ci avrebbe portato in Mali, finalmente alle ore 1.15 del 22 febbraio il gruppo di Totem e Tabù lasciava Piazza Borelli per dar inizio ad una nuova avventura. Il progetto di Renzo di partire con delle vecchie “bagnole” si era concretizzato e l’emozione della partenza ci avrebbe accompagnato per tutta la notte.

In 36 ore attraversiamo Francia e Spagna per raggiungere le altre due vetture partite un giorno prima. Alle 18 di sabato ecco affiancati i nostri cavalli meccanici che ci accompagneranno per tanti chilometri in terra d’Africa. Il Ford Transit diventato per l’occasione la “chioccia”, il Peugeot 505 “Le Lion” pronto a ruggire al deserto, la Renault 21 con paio di sci sul tettino ed un paracadute nel baule, la Ford Sierra immacolata come appena uscita dalla catena di montaggio e lei, la mitica Panda 30 pronta a mordere l’asfalto marocchino per poi galleggiare sulla sabbia della Mauritania e arrivare trionfante nella coloratissima Africa nera.

Dopo 35 minuti di navigazione tocchiamo terra, l’Africa è lì, ci aspetta. Espletiamo abbastanza velocemente le formalità doganali di Ceuta, e nel buio della notte ci dirigiamo verso Tetouan dove pernotteremo.

Il mattino seguente, il nostro primo giorno africano, partiamo alla volta di Chefchaouen e Fez, attraversando il Rif con le sue verdi montagne coltivate che sembrano delle coperte multicolori appoggiate sulla terra. Scopriamo che il Peugeot di Renzo è senza olio. Non perché si sia consumato o perso, ma perché forse non è mai stato messo.

Incontriamo un numeroso gruppo di vecchie Renault 4 intente a compiere un lungo rallye marocchino, e questo ci fa ben sperare per le nostre “anziane” bagnole.

Fez ci accoglie nella sua veste più affascinante: molti giovani nelle loro vesti colorate passeggiano nella dolce luce del tramonto e c’è aria di festa. Un ragazzo ci guida nel souk dove, data l’ora tarda, i tanti negozi stanno chiudendo. Proprio questo ci permette di osservare meglio le viuzze che sono intricatissime; i portoni dei magazzini sono in legno scolpito, molti antichi e originali. Gli ingressi di alcuni edifici sono intagliati con ricchissime decorazioni in legno. La nostra giovane guida è un ragazzo sveglio, che si vanta di conoscere molte lingue e dice di andare a scuola (lo vedremo il mattino seguente mentre vende alcuni souvenir). E’ già buio e siamo molto stanchi: dopo aver scartato alcuni ristoranti perché ci sembravano troppo turistici entriamo decisi in un ristorante vicino all’albergo. L’aspetto è quello di un’elegante casa araba con patio interno, rivestito di azulejos e tappeti. Dopo due ore di attesa ceniamo malissimo e paghiamo molto. Il mattino seguente visitiamo la conceria all’interno del souk. E’ una specie di inferno sulla terra: a parte l’odore, a mala pena sopportabile, osserviamo quasi increduli i giovani che vi lavorano con le gambe a bagno e che svolgono un lavoro umanamente inaccettabile. Riprendiamo la strada alla volta di Asron Kasba, Tadtla attraverso un paesaggio molto verde, con la neve che imbianca le cime del Medio Atlante, la temperatura è bassa, pare di essere in Svizzera. Arriviamo a Kenifra e ceniamo in un albergo senza riscaldamento. La cena è buona: tashid e verdure.

Il giorno seguente arriviamo a Marrakesh insieme ad uno stormo di cicogne, siamo colpiti dalla pulizia e dai grandi viali con giardini rigogliosi. Ci sistemiamo all’albergo CTM, l’ex deposito della compagnia di autobus marocchina, che si affaccia sulla piazza Djemaa el Fna. Ceniamo ad una delle tante bancarelle presenti sulla piazza e bighelloniamo assistendo ai vari spettacoli degli incantatori di serpenti, farmacisti, dentisti, venditori di tutto. E’ interessante osservare i crocchi dove i cantastorie con i loro racconti vivaci e fantasiosi riescono a catturare l’attenzione delle persone locali che assistono quasi incantati alle loro storie che purtroppo sfuggono alla comprensione dei turisti occidentali.

Al mattino consumiamo la prima colazione sulla terrazza dell’albergo che si affaccia su Djemaa el Fna (le terrazze saranno un “”leit motiv” della prima parte del viaggio). Raggiungiamo la Moschea di Koutubia, simbolo della città ed osserviamo il minareto dall’esterno, in seguito visitiamo le tombe Sadiane.

Una seconda terrazza ci offre uno spettacolo interessante perché nella casa di fronte, alla nostra altezza si trova il nido con una coppia di cicogne che vediamo da vicino. Spuntino con frittata di cipolle e l’immancabile thè alla menta. Proseguiamo con una guida per una visita nel souk e sostiamo nei quartieri della tintoria, della lavorazione del ferro e del legno.

Verso sera tutti all’hammam, nella medina. Non quello per i turisti, quello vero: il locale è un po’ squallido ma c’è tutto quanto basta per rendere il bagno rilassante. Le donne si trovano sedute a terra nel vapore accanto a formose marocchine sorridenti, con capelli lunghissimi, che si strofinano incessantemente il corpo e si sciacquano con abbondanti secchi di acqua calda. Lo strofinamento con un guanto miracoloso rende la pelle morbida come il velluto e il massaggio vigoroso finale completa l’opera. Decisamente più rude l’impatto degli uomini con l’hammam, massaggiatori senza troppa grazia, fanno scricchiolare le ossa dei loro provati corpi. Ma dopo i primi minuti anche gli uomini riescono a rilassarsi.

Torniamo nella grande piazza e ceniamo alla bancarella n1 dove una bella e disinvolta ragazza ci serve la cena marocchina.

Ripartiamo alla volta di Essaouira, ex città coloniale, che ci offre la possibilità di gustare un’ottimo pranzo a base di pesce tra le bancarelle del porto.

Proseguiamo in direzione di Agadir, fermandoci a pernottare 20 km prima della celebre località balneare marocchina.

Il mattino seguente riprendiamo la strada alla volta di Tzinit , dove possiamo trovare bellissimi oggetti, monili, collane in argento antico. Facciamo una piccola variante al percorso previsto, e ci dirigiamo attraverso la pista sassosa a Fort Bou Jerif. Qui troviamo il sig. Yves, un chirurgo francese che 9 anni fa, ha deciso di stabilirsi in questo luogo, recuperare un vecchio fortino (molto kitch) e trasformarlo insieme ad alcune grandi tende in un campeggio per i viaggiatori.

Dormiamo in una grande tenda beduina,

L’indomani la direzione è sud, verso Gouelmine dove passiamo alcune ore passeggiando tra le bancarelle del mercato e assistiamo alle contrattazioni al mercato dei cammelli. Raggiungiamo più tardi Tam Tam Plage e ci concediamo una lunga passeggiata sulla spiaggia. E’ pomeriggio inoltrato e cerchiamo un campeggio per la notte. Nel tentativo di trovare un posto sulla spiaggia Renzo si insabbia rovinosamente, e Gigi rompe il tubo del serbatoio della benzina. Siamo stanchi ed è già buio quando i due problemi saranno risolti. Il primo con una lunga fune di traino, il secondo con una penna Bic che serve da by-pass.

Ceniamo finalmente sulla scogliera. L’aperitivo di Armando a base di aglio e l’insalata di cipolle ci riporta il buonumore e dormiamo tranquilli cullati dal rumore dell’oceano.

Il percorso che ci condurrà alla frontiera marocchina è ancora molto lungo. Decidiamo di scaglionare la partenza, in base alla potenza del mezzo. Armando e Lelia partono per primi con la loro mitica Panda30. Arriviamo a Tarfaya, sostiamo sul mare facciamo rifornimento qui la benzina è meno cara. Per pranzo siamo a Laayoune, e ci gustiamo delle splendide sardine ripiene. La notte la passiamo a Boujdour in un alberghetto. La cittadina è molto carina con un viale centrale all’europea e delle belle case. La cena è a base di pesce in un locale molto sporco e pieno di mosche, dove la proprietaria è grassa e unta; ma il giorno dopo tutto il gruppo è in forma.

Il mattino successivo ci aspetta l’ultima città marocchina, Dakla. La strada corre diritta, il paesaggio sembra subito monotono ma diventa affascinante: alla nostra destra l’oceano, rocce a picco, vaste spiagge, onde lunghissime. La roccia è sgretolata dal mare e nei punti di frattura sono visibili migliaia di conchiglie. La strada corre per circa 500km lungo l’oceano. Intorno c’è il deserto infinito e a tratti le dune. Dromedari al pascolo. Alle 13 ci fermiamo in riva al mare, sulla scogliera. Diego prova ad alzarsicon il paracadute trainato dalla peugeot di Renzo. . Incontriamo dei merchand francesi che stanno portando un vecchio Berliet 6×6 dell’armèè con una vecchia Renault 18 sistemata nel cassone,un pulman della gendarmeria e un vecchio mercedes dei Sapeur Pompiers. Destinazione Nouachott dove saranno venduti.

Alle 17,30 arriviamo a Dakla con l’affanno di non riuscire ad espletare tutte le pratiche per il convoglio militare che partirà domani mattina. Polizia, dogana, commissariato. Ad ogni passaporto un agenda, un calendario, una penna. Alla sera ci rilassiamo; siamo in possesso di tutti i documenti necessari. Dakla è un’affascinante città di frontiera dove puoi incontrare i personaggi più strani con i mezzi più disparati intenti ad affrontare in convoglio la pista minata.

Sono le 8 di martedì 6 marzo, siamo tra i primi ad essere incolonnati per partire con il convoglio ed anche rassegnati ad aspettare. Facciamo colazione sull’immancabile, provvidenziale tappeto di Renzo e con l’altrettanto indispensabile fornello a gas di Fiorenzo e Maria. Chiacchieriamo con i proprietari degli altri automezzi cercando di carpire qualche informazione preziosa sullo stato delle strade e delle piste.

I mezzi che a poco a poco si stanno incolonnando sono i più diversi: dal fuoristrada iperaccessoriato di una giovane coppia tedesca con prole al seguito, allo scassatissimo camioncino Mercedes con legata sopra una roulotte. Dal pulman della gendarmeria francese alle numerose vecchie Mercedes provenienti dalla Germania dell’Est. Alcune nuove auto di grossa cilindrata lasciano presagire un dubbia provenienza. Partiamo inaspettatamente presto, verso le 9. Il convoglio è composto da 50 mezzi circa, ma nell’arco di poco tempo ci ritroviamo soli. La strada è stretta ma bella; procediamo guardandoci a destra e sinistra pensando alle mine, vediamo un paio di carcasse, sostiamo prestando attenzione a non uscire dall’asfalto. La prassi vuole che i passaporti delle persone che intendono entrare in Mauritania vengono trattenuti a Dakla per poi essere restituiti all’ultimo posto militare marocchino.

Esiste tra il Marocco e la Mauritania una “terra di nessuno”, ed è qui che ci ricongiungiamo con il resto del convoglio. Ci assicurano che le mine in terra marocchina non esistono, solo in Mauritania.

Il convoglio si ferma apernottare all’ultimo avamposto marocchino. Sotto la sorveglianza dei militari allestiamo il campo per la notte. Ci rifacciamo delle fatiche del giorno con la pastasciutta con il sugo di Flavio che verrà invidiata dagli altri componenti del convoglio.

Il mattino seguente ci vengono restituiti i passaporti e usciamo dal Marocco. Dopo pochi chilometri si ricomincia con le formalità maure. Dogana, controlli vari, perquisizioni. Alle 11 ripartiamo e…..comincia il bello. Inizia la vera pista MINATA. Primi insabbiamenti: la Panda (leggera da tirare fuori), la Renault (un po’ meno), il Ford Transit (impossibile). Come per incanto, da una duna sbuca la nostra guida che si presenta con il suo nome.(Soufi ci era stato consigliato dal nostro amico Freddy esperto della zona), Siamo decisamente più tranquilli. Soufi ci propone di rinunciare ad arrivare a Nouadibou per risparmiare un giorno di marcia . Accettiamo e decidiamo di percorrere la pista consigliata dalla nostra guida Si aggiungono al nostro gruppo tre ragazzi di Lipsia a bordo di una Renault Express. I ragazzi tedeschi scendono verso il Senegal. Hanno già percorso alcuni tratti della pista ma temono il tratto sul bagnasciuga.

La pista non è facile ma insabbiamento dopo insabbiamento impariamo la tecnica della guida su sabbia: gomme sgonfie e velocità sostenuta. Il paesaggio diventa molto bello. Si attraversano i binari del treno più lungo del mondo che collega Zerouat a Nouadibou, poi lo spazio diventa quasi magico: si va a tutto gas sulla sabbia, si attraversa un grande chott; sembra di viaggiare sulla luna. Sole, dune, solitudine e silenzio. La Renault rompe ancora il tubo del carburante ma con un piccolo stratagemma il mezzo riparte dopo una piccola sosta. Il paesaggio cambia, la pista diventa accidentata, si alternano tratti sabbiosi, buche, tole ondulè, arbusti. Si procede con frequenti insabbiamenti. E’ buio, siamo letteralmente sfiniti, ma continuiamo perché Soufi la guida suggerisce di arrivare fino ad un accampamento a circa 100 km dalla spiaggia.

Dormiamo a Matlva sotto una bella tenda beduina, accanto ad una grande duna. Al mattino i colori sono bellissimi, intorno cammelli e caprette. Si parte presto, per sfruttare la frescura del mattino. Il paesaggio è splendido, sembra di volare nell’infinito: grandi distese, in lontananza le grandi dune, poi km e km di pista piatta. Sensazioni indescrivibili, viaggiare affiancati in questo immenso plateau. Stiamo entrando nel Parco Nazionale del Banc d’Arguin , giungiamo al villaggio di Ten Alloul dove ci rifocilliamo e paghiamo la tassa di entrata nel parco.

Nel tardo pomeriggio giungiamo a Iwik, un piccolo villaggio di pescatori al centro del parco d’Arguin. Dopo tanta sabbia, la tentazione di tuffarci nell’Oceano per un bagno ristoratore è tanta. Alla sera mangiamo sotto una grande tenda, un gustosissimo pesce accompagnato da una bottiglia di Lambrusco sbucata improvvisamente dal baule della Ford di Fiorenzo.

L’indomani ,noleggiamo presso il villaggio, due feluche e navighiamo spinti da una leggera brezza . L’acqua è calma e si vedono lunghe lingue di terra dove vivono le colonie di uccelli: cormorani, reali, trampolieri, aironi, fenicotteri spatole. In realtà si dovrebbe aspettare l’alta marea quando molte isolette saranno sommerse e le centinaia di uccelli si poseranno sull’isola più grande che rimane emersa. Purtroppo manca il tempo e dobbiamo riprendere la pista. Il vento cessa di colpo e rimaniamo fermi due ore sulla feluca. Nel lento dondolare della barca parliamo con i marinai delle usanze mauritane. Il vento continua a non soffiare il piccolo equipaggio delle feluche è costretto a trainare per un lungo tratto le barche a mano.

Ritornati a terra, riprendiamo le nostre auto e…via a tavoletta sul mare….di sabbia davanti a noi.

L’accampamento serale ha un ché di suggestivo, nel mezzo di un grande plateau, piantiamo le nostre tende, accendiamo il fuoco e ci gustiamo insieme ai nostri amici tedeschi un gustoso piatto di pasta. Dal sacco a pelo , vediamo la luna, l’aria è rarefatta, è chiaro quasi come di giorno, è un peccato dormire. Il fuoco resta acceso tutta la notte.

Alle 8.30 siamo tutti in pista. Oggi è il grande giorno del bagnasciuga. Attraversiamo circa 20 km di paesaggio incantevole: spazio piatto, luce, infinito, terra rossa. Ci avviciniamo all’Oceano dove una lunga lingua di terra forma uno stagno; si sente un odore buono di umido, di alghe. Ogni tanto gruppi di pellicani ci accompagnano lungo il mare. Intorno alle 10 giungiamo al villaggio che segnerà l’inizio del bagnasciuga, e qui ci fermiamo tra mosche e bambini, ad attendere le 14. Momento in cui il mare comincerà a ritirarsi e creare il naturale passaggio tra “terra e mare”. 180 km ci attendono, i primi 80 facili, gli ultimi incerti. Alle 14 la Peugeot di Renzo apre la colonna il Ford Transit la chiude. Al nostro passaggio centinaia di gabbiani si alzano in volo per poi atterrare nuovamente in cerca di facili prede. La sensazione è quella di volare tra le alti dune alla nostra sinistra e l’infinito Oceano alla destra che in certi momenti lambisce le ruote dei nostri mezzi. Davanti a noi numerosi relitti di navi, abbandonate al suo destino, divorate ormai dalla ruggine e dalla salsedine. Incontriamo dei pescatori intenti a caricare su un pick up decine di grandi pesci, accatastandoli come fosse legname.

Senza alcun problema ma ancora eccitati da tale spettacolo giungiamo alle 17, 30 accolti da centinaia di pescatori al porto di Nouachott.

Grazie alla nostra guida Soufi, riusciamo a trovare in mezzo alla folla la via di uscita dalla spiaggia. Attraverso una pista secondaria, arriviamo direttamente nel cortile del hotel de la rose. Un alberghetto consigliatoci dal nostro amico Freddy. Accompagnati dall’immancabile personaggio tuttofare ci rechiamo a stipulare l’assicurazione obbligatoria dei veicoli. Pena l’arresto. Intanto facce amiche ci raggiungono nel cortile dell’albergo. Sono i ragazzi tedeschi che viaggiano a bordo di due vecchi furgoni e che adesso si dirigono in Senegal.

Veniamo a sapere che Nouachott è una città piena di ladri, e capiamo il significato della doppia sorveglianza all’ingresso del cortile dell’albergo. Alla sera ceniamo presso un ristorante consigliatoci dallo chef dell’albergo, gestito da un europeo, ma rivelatosi una grande delusione. Ceniamo “male” , e ci vengono servite delle birre in bicchieri smaltati, con la preghiera di tenerle sotto il tavolo, in rispetto della legge islamica.

Ma nonostante tutto, il ricordo della magnifica traversata sul bagnasciuga, ci fa subito considerare questi inconvenienti piccole bazzecole. Domani lasceremo l’Oceano per inoltrarci nel cuore della Mauritania.

Sono le cinque e 500 km ci aspettano attraverso la “strada della speranza” l’unica strada che collega Nouachott a Nema. E’ ancora buio, e poco alla volta assistiamo al sorgere del sole. La strada asfaltata procede diritta verso est e penetra all’interno attraverso le rosse dune. Il colore di questo deserto è molto vario: rosse dune, e alberelli verde intenso, dune rosse e grigie a perdita d’occhio. La strada procede come tra le montagne russe e i villaggi ancora silenziosi si trovano tra un’avvallamento e l’altro. Attraversiamo Boutilimit dove tantissimi giovani nei loro vestiti colorati e svolazzanti si stanno recando a scuola. Incontriamo molte greggi e mandrie di cammelli. Fino a Magta Lahiar la strada è buona, poi inizia il calvario. Fa caldo e non troviamo la benzina che comincia a scarseggiare nei nostri serbatoi. Il caldo soffocante ci costringe a chiedere ricovero presso una tenda di un pastore e della sua giovane moglie. Prontamente ci viene offerto il thè e molti di noi si appisolano distesi su di un grande tappeto. Il pastore ci afferma che la giovane moglie soffre di problemi ginecologici. Probabilmente infezione. Non possiamo aiutarla. Ripartiamo per la rovente pista (42°) e poco dopo perdiamo la Renault che prende una direzione sbagliata. Percorriamo la pista a ritroso e finalmente dopo un ora ritroviamo la Renault e i nostri compagni smarriti. La strada asfaltata e segnata sulla cartina, sembra reduce da un bombardamento aereo. Impossibile percorrerla, optiamo per la pista che per decine di km la affianca. Poco a poco il paesaggio cambia: appaiono belle falaise di roccia scura, interrotti da varchi di sabbia rossa che si stagliano nel rosa del tramonto. Alle 19 ci fermiamo e chiediamo ospitalità per la notte in un villaggio e montiamo il campo nel recinto di una casa disabitata. Consumiamo spossati una calda minestra.

Ci svegliamo all’alba e assistiamo ad una bella scena di ragazze e asinelli intenti a prelevare acqua dal pozzo. Ne approfittiamo suscitando qualche risatina da parte delle bellissimi ragazze presenti. Giungiamo a Kiffa, una cittadina dove non si trova nulla ma all’apparenza sembra che ci sia tutto. Dopo svariati tentativi riusciamo a trovare finalmente della benzina per la Panda di Armando. Decine di Mauri si dimostrano subito interessati ad acquistare i nostri mezzi, offrendoci cifre considerevoli ma in moneta locale (Uguya). Ci presentiamo alla dogana per le solite formalità burocratiche armati di santa pazienza e “con una certa esperienza” . Pazientemente sbrighiamo le formalità e convochiamo un improvvisata riunione del gruppo. Ci affermano che a Nema ci potrebbero essere problemi di sicurezza (banditi), mentre scendendo verso il Mali 300 km prima “il n’y a pas de problemes”. Decidiamo di continuare, con qualche timore da parte di molti non manifestato.

In serata raggiungiamo Nema senza alcun problema, percorrendo un lungo tratto di strada ben asfaltato e veniamo ospitati nel cortile della casa di un doganiere. Stesi sul tappeto assaporiamo un dolce thè lasciandoci cullare da una luna gigante.

L’indomani noleggiamo un Totyota Pick Up che ci condurrà a Oualata, meraviglioso villaggio sperduto tra le dune, con le sue case finemente decorate. Oualata era una importante città carovaniera fra il XII e XIII secolo. Qui fiorivano commerci e culture, le case sono chiuse da muri color ocra o rossicci; gli ingressi sono decorati ai lati da grandi motivi tondeggianti colorati. Gli stessi motivi, profilati inquadrano i portoncini in legno, molto belli e arricchiti da borchie e decorazioni in metallo.

Ci dicono che sono le donne ad eseguire le decorazioni sulle case, che sembrano essere incise sull’intonaco e colorate successivamente.

Visitiamo alcune abitazioni, semplici ma funzionali al clima, e il caldo si fa sentire (42°). Dopo alcune ore ripartiamo alla volta di Nema: tre ore bollenti a tutta velocità sulle dune, assiepati nel cassone del pick up. Cerchiamo di aggrapparci a tutto quanto è possibile, la lamiera sulla quale cerchiamo di stare seduti è bollente e pizzica. La gita a Oulata ci lascerà un bel ricordo anche al nostro fondoschiena.

E’ mercoledì 14 marzo l’ultimo giorno di Mauritania, lasciando Nema percorriamo la pista che ci porterà al confine con il Mali. Per l’occasione ci accompagna un ragazzo che si è proposto come guida, ma che scopriamo essere un esperto meccanico. Infatti dopo pochi km dalla nostra partenza da Nema, la Renault di Gigi rompe un manicotto dell’acqua: Pas de problemes”, la guida ricostruisce il manicotto con una vecchia camera d’aria. Poco dopo è la volta della Panda e della Ford di Fiorenzo. Il problema questa volta sono i freni: tranciato il tubo dei freni. Ma la fortuna è dalla nostra e con pochi mezzi il nostro bravo meccanico riesce a riparare i guasti.

Nel tardo pomeriggio giungiamo al posto di frontiera di Adel Bagrou. Espletiamo le solite formalità burocratiche e con piacevole sorpresa veniamo ospitati presso la sua casa, dal capo della frontiera. Una persona squisita che senza chiedere nulla ci offre tutta l’ospitalità possibile in cambio di una semplice chiaccherata.

Ci riposiamo , facciamo la doccia e assistiamo ai preparativi della cena. A proposito della doccia qui in Mauritania, nelle case dove siamo stati ospitati, abbiamo fatto la doccia in locali abbastanza angusti e bui, che servono anche da gabinetto, tuttavia abbiamo constatato come ci si può lavare bene anche senza l’acqua corrente, con l’aiuto di un piccolo contenitore e di un secchio d’acqua di pozzo.

Il sole è tramontato, viene stesa una grande stuoia e nel centro vengono appoggiate delle tovaglie. Non essendoci la luce elettrica in tutto il villaggio, il padrone di casa dice che mangeremo al chiaro di luna.

Ci sediamo accanto a lui tutti attorno sulla stuoia e presto ci vengono serviti due grandi vassoi con spaghettini al sugo di montone il cui profumo ci fa venire l’acquolina in bocca.

Il nostro commensale vi aggiunge del burro fuso e con la mano fa delle piccole pallottoline. Gustiamo questo piatto con qualche difficoltà iniziale nel preparare le pallottoline. Veniamo invitati a fermarci ancora un giorno dal padrone di casa, ma il tempo non ce lo consente. Ci addormentiamo per terra, alla luce della luna, con la mucca, l’asino e le caprette che ci passeggiano indifferenti accanto.

Il Mali ci aspetta, e dopo un difficilissimo tratto sabbioso, dove esauriamo tutte le nostre forze nel cercare di tirare fuori i mezzi insabbiati, giungiamo a Nara, il primo villaggio del Mali.

Raggiungere l’Africa nera passando via terra, per i Paesi arabi è sempre un grande impatto. I tipici villaggi maliani con i granai vicini, aumentano man mano che i km passano veloci, grandi quantità di persone coloratissime nei capi di abbigliamento, e finalmente la birra. Dopo aver fatto dogana, ci concediamo una sosta in un ristorante locale dove perdiamo completamente il nostro self control mantenuto sino ad ora. Il caldo insistente contribuisce ad aumentare l’effetto della birra.

Dopo una piccola sosta, ripartiamo alla volta di Bamako. Ci aspettano più di 400 km di tole ma non sappiamo ancora cosa significhi.

Il paesaggio è magnifico, ma la pista diventa impossibile, le vibrazioni sono tali da far perdere paraurti, specchietti retrovisori senza accorgercene. Le forature sono disastrose, la Peugeot di Renzo fora il serbatoio riparato con una saponetta dal nostro amico meccanico.

Raggiungiamo con il buio Didieni, il nostro amico meccanico ci accompagna in un cortile buio dove passeremo la notte. Parcheggiati i mezzi ci avventuriamo nel buio più completo in mezzo a decine di persone, per le strade del paese alla ricerca di qualcosa da mangiare. Pollo e verdura ci vengono serviti e gustiamo il piatto servitoci comodamente seduti su delle originali sedie.

Con la luce del mattino e passata la stanchezza del giorno precedente veniamo svegliati dal vociare dei tanti bimbi che ci osservano dall’alto del muro perimetrale del cortile. In effetti non dobbiamo essere molto attraenti così impolverati e spettinati! Riprendiamo la pista, trasformatasi in una lungo nastro rosso che attraversa un paesaggio incantevole.

Ci fermiamo a riposarci a Kolokani, dove vive una delle due mogli del nostro amico meccanico. Nel giro di pochi minuti un nutrito gruppo di abitanti del villaggio ci viene a far visita e passiamo un paio d’ore a passeggiare per il mercato locale.

Alla sera giungiamo a Bamako, l’emozione è alle stelle, cerchiamo subito un cartello stradale per immortalare il nostro arrivo nella capitale maliana. Ci inoltriamo nel caotico traffico della capitale alla ricerca del nostro albergo. Lad Debo è il nostro centralissimo albergo gestito da una delle donne più ricche di Bamako. L’hotel non è dei migliori, e la tempuratura è vertiginosamente salita. Ancora galvanizzati dal nostro arrivo veniamo subito contattati dagli acquirenti delle nostre vetture. La sera ceniamo in un locale vicino all’albergo, a base di ottimo pesce del fiume Niger e concludiamo la serata assistendo ad un concerto live di musica maliana.

Il giorno seguente è il giorno dei saluti per parte del gruppo. Metà rientrerà in Italia, l’altra metà trascorrerà ancora cinque giorni visitando i villaggi Dogon e navigando lungo il fiume Niger a bordo di una piroga.

 

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