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Mauritania…toccata e fuga di RoboGabr’Aoun

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By RoboGabr’Aoun
Originally Posted Wednesday, March 19, 2008

MAURITANIA…TOCCATA E FUGA

Robo Gabr’Aoun

 

 

…Eh sì…Qualcosa come 4 mesi di letture, notti passate a studiare mappe e cartine; poi ricerche, ore ed ore consumate a verificare coordinate di questo e quel viaggiatore, a confrontare itinerari, vagliare possibilità ed alternative di ogni percorso…Ed alla fine ci siamo, eccoci a poche ore dalla partenza di questa mia ennesima “immersione” nordafricana. Destinazione Mauritania. Piccolo gruppo (due sole auto, quattro persone, un cane, numeri perfetti…), niente guide ,accompagnatori, polizia turistica; nulla, solo noi ed il deserto mauro, con l’allettante visione di un lungo mese a nostra completa disposizione per goderci appieno questo Paese. E’ il pomeriggio del 24 dicembre e domattina all’alba parto. Sto ultimando il carico di Camilla, il mio fido Toyota Kzj95. Serbatoi, pompe, cassoni ed arnesi vari stanno già al loro collaudatissimo posto e sto tirando gli ultimi bulloni, stringendo gli ultimi dadi quando dalla voce di mia cognata mi arriva la notizia: quattro Francesi uccisi in Mauritania oggi alle 12 locali ! Mi precipito in casa sua, mi attacco a Sky ed al televideo. Confermato: quattro turisti uccisi a raffiche di mitra sulla strada tra Nouakchott e Nema . Torno in cortile e continuo a serrare i miei dadi, con un peso sul cuore ed una subdola preoccupazione che mi tormenta i pensieri. A questo punto si parte, nessun dubbio….Ed inch Allah.

25 dicembre; Santo Natale 2007. Ed eccomi in strada, per l’ennesima volta la stessa strada che attraverso Francia e Spagna mi porterà sino a Gibraltar. Due giorni di autostrada no-stop, cui seguiranno altri tre eterni giorni di trasferimento attraverso tutto il Marocco, fino al confine mauritano. Guido. Per radio si chiacchiera con i miei amici Mauro ed Edi, da ormai dieci anni fedeli compagni delle mie discese in Sahara in inverno. Intanto, dall’Italia, ci inseguono le notizie sul fatto di sangue in Mauritania, presso Aleg…le varie agenzie parlano di terrorismo più che di banditismo. I giornali francesi titolano a piena pagina l’accaduto e la preoccupazione non scema mentre, nonostante tutto, le migliaia di chilometri continuano a scivolare sotto le nostre ruote portandoci verso la meta. Anche la Spagna è alle spalle e finalmente sto ancora una volta in Africa.

Splendida sorpresa l’autostrada che collega direttamente ora anche Marrakech, dove apriamo le nostre tende per la prima volta la sera del 27 dicembre, dopo tre giorni di transfer europeo ed un giorno d’Africa. Giù, verso sud: Agadir, Guelmine, Tan Tan, Laayoune…Posti toccati e vissuti in decine di viaggi del passato, emozioni e ricordi che ritornano potenti mentre tra strade malandate e camping improponibili scendiamo verso la Mauritania. Sul mio satellitare giunge la notizia che la cellula terroristica è stata sgominata, gli assassini ed i mandanti individuati e catturati…Che sia vero?

Ed Al Daklha scompare dietro di noi, superiamo ancora una volta con le nostre ruote il Tropico; ormai ci siamo: è il 31 dicembre mattina e siamo a 200 chilometri dalla frontiera; al humdulillah! Che tutto vada liscio!

Mai creduto ai segni premonitori…Ma mi vengono i brividi quando foro due gomme in pochi chilometri. Accidenti! Mai forato con Camilla! Cos’è? La sfiga mauritana? Ma piantala Robo: siamo in Africa! E’ normale forare le gomme! Quante ne hai tagliate in Sudan?

Ruote cambiate, una sistemata, l’altra no ma non importa, ne abbiamo ben 3 di scorta per due auto, siamo in una botte di ferro. Ultimo distributore: si fa il pieno di tutte le riserve, che qui il gasolio costa la metà che in Mauritania. Ma quello cosa è? Un dromedario…Sì ma è tutto dipinto di rosso. E quello dove lo porta? Fermiamo le auto alle pompe, scendo e mi dirigo verso l’uomo con l’animale…Accidenti! Non è dipinto! E’ zuppo di sangue dalla testa ai piedi! Che succede? Muskila? ” Muskila k’bir: kelb…” mi dice l’uomo lasciato il dromedario oltre la strada accompagnandomi alle pompe di cui è il gestore. Kelb? Come sarebbe kelb: un cane????

E mentre rimugino su cosa cavolo vorrà dire questa risposta mi volto per dare uno sguardo al dromedario. E li vedo spuntare…quindici, venti cani rossi di sangue dalla testa fino alle zampe. Corrono in branco ventre a terra e puntano sul dromedario. “Kelb! Kelb!” grido, e mi butto di corsa verso di loro, con un paio di sassi in mano urlando come un ossesso. Gli sono addosso. Sulla groppa, sul collo, tra le zampe, sotto la pancia, mentre il povero animale urla disperato e scalcia alla cieca. Lancio i sassi e continuo a correre urlando, li raggiungo. Accanto a me arriva il gestore, seguito dal mio amico Mauro. Urliamo, lanciamo sassi, meno bastonate e i cani scappano, per fermarsi a pochi metri. Attendono: belve, affamate, pericolose. Il dromedario è schiumante, terrorizzato, freme come una foglia ed io anche. E’ una scena tremenda, raccapricciante. Cazzo! Se le gomme bucate non erano un monito questo cosa è ??? Portiamo l’animale alla stazione. Non ha ferite gravi ma perde sangue come l’avessero macellato. Medichiamo e lasciamo soluzioni antibiotiche prima di ripartire, con una bruttissima sensazione addosso…Siamo ad 80 chilometri dal posto di frontiera.

Cartelli avvertono della presenza di mine su entrambi i lati della strada, fino al confine…Ci siamo.

Si passa velocemente al gabbiotto della polizia. Qui ricevo la prima frammentaria notizia sulla gravità della situazione oltre frontiera, da un gruppo di roveristi di ritorno da Nouadhibo: la pista per Ouadane e per il Richat è chiusa, la pista per Choum vivamente sconsigliata: ci sono stati otto morti presso Ouadane in violenti scontri a fuoco tra esercito e separatisti appena tre giorni or sono….Ecco! E te pareva! Facciamo le pratiche frontaliere con zero allegria e con un crescente senso di preoccupazione. Oramai siamo qui. Passiamo di là e ci informiamo alla fonte: in fin dei conti ho un ottimo aggancio nelle persone di Abdel ed Ibhraim del Camping Abba di Nouadhibou, loro ci diranno come è in effetti la situazione. Così usciamo dal Regno di Mohamed VI e passiamo nella terra di nessuno tra i due Paesi, tra le carcasse contorte delle auto esplose sulle mine (ci sono, eccome se ci sono!!!) ed i relitti abbandonati chissà quando, chissà da chi. Passiamo la sbarra.

Ibhraim è lì ad attenderci, puntuale. Sbrighiamo tutto in meno di un’ora e voliamo verso il mare, verso Nouadhibou. C’è aria pesante: ai posti di blocco i militari sono decisamente nervosi e non mi piace. La richiesta di “mance”, della cui esistenza ero informato, è oggi plateale, senza filtri: tentano di prosciugarmi il portafogli polizia, esercito, dogana, tutti. Ecchecaz….! Entro in città. Non vedo turisti. Scivoliamo lenti nel traffico caotico fino al camping (santo GPS!), seguiti da qualche sassata…E mi tolgo subito il patema d’animo: sottopongo il mite Abdel ad un interrogatorio degno del KGB sulla reale situazione sicurezza nel Paese. Nicchia, glissa, pa de problem ma…Ma cosa? Dimmi del “ma”, non del resto! E viene fuori: viene fuori che l’esercito “sconsiglia” di addentrarsi in deserto e , più che altro, di passarvi la notte “al di fuori di strutture ricettive”….E dove diavolo le trovo le “strutture ricettive” tra Cinguetti e Kiffa??? E tra qui e Choum??? Eh si, appunto, meglio evitare la pista della ferrovia, a meno di pernottare nei villaggi, sotto la custodia magari dei militari…E perché??? Perché ci sono problemi con i separatisti e con qualche gruppo terrorista, pare…COME PARE???? Bè, potete fare la pista della costa fino alla capitale (non tutta però: gli ultimi cento km prima di Nouakchott non sono sicuri e i militari vi fanno uscire sull’asfalto…) !!!Ecco, pure la costa…No senti, non mi piace l’aria che tira. Che succede? Abdel mi guarda con aria rassegnata: “non è un buon anno per il turismo qui, adesso…”.

Mi cadono le braccia. Sento puzza di bruciato e non mi sento sicuro. Non mi piace l’idea di aprire il campo in deserto e passare la notte ad ascoltare i rumori della notte in preda al panico, né mi piace l’idea di temere un’imboscata ad ogni auto che incrocio su una pista. Tagliamo la testa al toro: si torna indietro. Tutti d’accordo? Assolutamente. Si torna.

Serata strana questa, qui a Nouadhibou…il gigantesco cartello pubblicitario con la scritta Toyota che troneggia sul camping sembra messo lì a puntino, proprio alle spalle della mia Camilla placidamente parcheggiata; un film, una visione, non so nemmeno io ma tutto pare tranne di stare in Mauritania. Gli altoparlanti di una discoteca sputano a tutto volume musica occidentale, distorta nei suoni e nel contesto, assordante; e sarà così fino alle 3 di questo mattino del Capodanno.

Non so dire se ci sia dispiacere per il viaggio mancato o sollievo per la decisione presa; forse entrambe le cose insieme. Il fatto certo è che il 1 di gennaio, alle 9,30 del mattino la frontiera mauritana sta alle mie spalle, e la mia fida Land Cruiser sbuffa nella terra di nessuno, nel campo minato. I gendarmi ed i doganieri marocchini, che si ritrovano in mano i nostri passaporti con l’inequivocabile timbro dichiarante il nostro passaggio in senso opposto appena poche ore prima, sogghignano nemmeno troppo velatamente; sanno, loro sanno…e certo non siamo gli unici ad aver ripassato velocemente questo confine negli ultimi giorni. Nessuno fa storie, nessuno chiede motivazioni od altro; sanno e basta. E in breve passiamo oltre. Rieccomi filare verso Al Dakhla. L’animo è decisamente risollevato. Presa la decisione di tornare e rientrati in Marocco è come se tutti noi avessimo tratto un bel respiro e digerito la medicina. Accidenti, mi spiace infinitamente di non aver portato le mie ruote a Ouadane o a Kiffa…Ma sono infinitamente felice di sentirmi straordinariamente al sicuro. Ed è una sensazione meravigliosa. Laayoune ci accoglie per la notte per la seconda volta in pochi giorni. Ed è di nuovo Africa, finalmente Africa quando la mattina presto , sgonfiate le ruote per bene, ci gettiamo sul bagnasciuga direttamente dalla strada del porto, in direzione nord. La spiaggia è la stessa di quattro anni or sono, con gli stessi relitti, le stesse capanne di pescatori, la stessa brezza. Eppure tutto è diverso, i passaggi sono diversi, le dune sono diverse, gli stessi colori sono diversi. Scivoliamo tra mare e sabbia su un tappeto di conchiglie di tutte le forme e dimensioni. Poi Tarfaya, l’asfalto, la gente. Ancora a nord, direzione Tan Tan.

Ci fermiamo alle lagune di Timris, ora divenute Parco naturale.. Vaghiamo tra le dune dorate nella luce del tramonto, su e giù per la falesia come bambini in un parco giochi. Il buio ci raggiunge ancora a sud di Tan Tan e troviamo ospitalità in un minuscolo camping assurdamente pretenzioso in questa costa desolata e ventosa. Ceniamo in fretta, assediati dalla nebbia e dall’aria resa pungente dalle correnti atlantiche poi il sonno mi vince, crollo in tenda come un vecchio abete senza più radici. Tre del mattino. Stanno scaricando un camion di ghiaia a due passi dalle mie orecchie, siamo pazzi?!?. Ora la ghiaia me la stanno scaricando sulla tenda… Ma che scherziamo?…mi sveglio definitivamente, rendendomi conto che non c’è nessun camion di ghiaia in scarico; diluvia, gocce pesanti come sassi si schiantano sulle tende con un’intensità tale che sembrano secchiate d’acqua. O teli tengono bene nonostante il vento faccia traballare la grossa fuoristrada come un fuscello. Va avanti fino all’alba, quando la luce del sole, nascosta da una coltre di nubi nere come la pece, riveste la costa del Sahara Occidentale di una luce tremula ed irreale. Non piove più ma il vento è incessante. Chiudiamo le tende ancora grondanti e prendiamo la strada del nord, verso Guelmine e Foum El Hassane inseguiti da un vento così tremendo che sembra di viaggiare nella nebbia tanta è spessa la coltre di polvere in sospensione. Guidiamo senza soste, che tanto le folate rabbiose di soste non ne permetterebbero per nulla, ed al tramonto troviamo riparo oltre una bassa scarpata sottovento che si apre ad arco di fronte ad una pianura di ciottoli neri infinita sino all’orizzonte, a mezza via tra Foum El Hassane ed Akka. Altra notte di scossoni, come se le mani di un gigante si divertissero a scuoterci come paglia nella tempesta…E quando al mattino il cielo limpido ed il sole ci fanno da sipario è un sollievo, dopo due giorni veramente pesanti. Tata con le sue mura rosa, i suoi graffiti, il suo mercato colorato. Poi Foum Zguid, con il suo palmeto splendido incastonato tra le rocce del Jebel Bani. E via, di nuovo in pista, verso Iriki, verso il deserto. Bivacco tra le acacie ai margini del grande lago prosciugato, corsa ai cento all’ora sullo strabiliante “biliardo” della Sebhka (dove troviamo, incredibile, un BAR, nel bel mezzo del lago…)ed eccole finalmente le dune di Ch Gaga. Puntiamo a GPS verso il centro, attaccando l’erg da sud, evitando piste e tracce. Quanto ho atteso questa giostra,ed eccomi di nuovo qui, con l’adrenalina a mille, e Camilla che mi porta tra le creste come se fossero le onde di un mare d’ocra. Duna dopo duna puntiamo dritti alla duna più alta, con qualche giro vizioso per via dell’inestricabile labirinto delle piccole ma infide barcane.

Appena raggiunti i rilievi più alti inizia lo slalom ad evitare i quattro o cinque campi tendati per turisti sorti al limitare delle dune da qualche anno. Sono deserti, oggi siamo fortunati, Ch Gaga è tutto per noi. Solo un unico insistente gestore ci rincorre tra i gassi serpeggianti continuando ad invitarci a pernottare presso la sua struttura. Passo oltre: non ho nessuna intenzione di infilarmi in una tenda beduina, ho solo voglia di “perdermi” nell’erg, aprire la mia tenda nel niente e godermi la sabbia tanto agognata. Proseguiamo per almeno un paio di chilometri, fermandoci nel cuore di questo Tenerè in miniatura in una spianata tra alte dune, aprendo le tende in un angolo di paradiso.

Dieci minuti, un quarto d’ora non di più ed ecco spuntare dall’ultima cresta il gestore del bivouac di cui poco fa, imperterrito, a reclamare il suo “diritto” ad avere noi, i turisti, nel suo Campo. Declino tutti gli inviti, garbatamente, ma non molla la presa. Ok; senti, noi di qui non ci muoviamo, perché di venire al campo proprio non abbiamo alcuna voglia. Se proprio non puoi fare a meno di noi allora facciamo una cosa: ci prepari un bel Tajine e ce lo porti qui. L’uomo mi guarda un po’ stranito. Come qui? Venite a mangiare al bivuoac no? No. Se vuoi ce lo porti qui, oppure niente.

Mi aspetto, ovviamente, che mi dica no, motivazione stessa della mia richiesta. Invece con mio immenso stupore acconsente e ci da appuntamento alle 19,30 con la sua bella tajine. Ed effettivamente arriva, nel buio, a piedi, portando con se'(non so come) un’enorme tajine pesantissima che dividiamo tra tutti (lui compreso naturalmente) ai nostri tavoli imbanditi. Credo sia in assoluto la migliore tajine che mai io abbia gustato in Marocco da dodici anni a questa parte!

Stupiti, positivamente colpiti dal tutto paghiamo il prezzo pattuito aggiungendo una lauta mancia e decidiamo di accompagnare il buon Youssef al suo Campo, avendo cura di lasciare una luce accesa alle nostre tende e di prendere con noi il fido Garmin con le coordinate. E ci incamminiamo nella notte, in allegria, tra le dune: quattro europei, un arabo ed una tajine vuote a piedi tra le dune, sotto le Pleiadi ammiccanti. Camminiamo per mezz’ora. Poi tre quarti d’ora, sempre in direzione sud, lungo l’asse maggiore dell’erg. No, qualcosa non va: camminiamo da troppo tempo e mi pare si stia facendo una specie di ellisse…Youssef: per caso ti sei perso? Mi guarda con un’espressione contrita e mi risponde ” un po’…”. Ed esplodo a ridere! Come un po’! E penso che potremmo tranquillamente essere i protagonisti di un romanzo di Stefano Benni, cinque uomini ed una tajine vuota persi nel deserto. Passata l’ilarità ed il momento di imbarazzo di Youssef ritorniamo seri ed in breve, ragionando, troviamo il bivacco, dove gustiamo un buon tè. Il ritorno, a GPS, richiede meno di venti minuti e la notte è tra le più calde di tutto il viaggio.

Note tecniche:

Durata del viaggio: 25 dicembre- 21 gennaio, km percorsi 11.100

Costi:

transfer italia- Gibilterra: autostrade 120 eu, carburante 200 eu.

Costo del gasolio: Francia 1,35 eu, Spagna 1,08 eu/litro

Costo Nave Tarifa-Tanger Eu 255 A\R due persone più auto (tempo di traversata 35 minuti)

Costo carburante in Marocco: Eu 0,72 al nord, Eu 0,42 nell’ex Sahara Spagnolo

Km transfer Italia-Frontiera Mauritania: km 2580 (cinque giorni e mezzo di viaggio)

Costo carburante in Mauritania: eu 0,80

Costo assicurazione in Marocco: eu 80 per un mese di validità

Costo assicurazione in Mauritania: eu 40 per un mese di validità

Visti a cura di Fuori Rotta di Ivana Dotti

Assistenza in loco (Mauritania) a cura degli amici del Camping Abba di Nouadhibou.

Mezzi: due Toyota Land Cruiser KZJ95 anno 1997, entrambe con 1000 km di autonomia carburante, tende da tetto Autohome, riscaldatori webasto, doppia ruota di scorta. Assetti Koni(+6) e Scola( +5), pneumatici 265\70\16 su cerchi originali, snorkel con prefiltro a ciclone, scorte acqua e viveri per 20 giorni. Peso dei mezzi a pieno carico kg 2800 circa. Cartografia Russa 1:500.000, Gps Garmin II non cartografico, impianti ricetrasmittenti Midland Alan.

Punti GPS delle tratte percorse a richiesta a robogabraoun@hotmail.com

Il giorno seguente è tutto dedicato a ChGaga; esploriamo a piedi gran parte del bacino ad est, verso il Draa e verso il confine algerino, per poi salire su una delle gurds più alte ad attendere il tramonto, il sole rosso inghiottito dalla muraglia del Jebel Bani. Nessun turista nemmeno oggi: il deserto è solo per noi. Partiamo con calma la mattina dopo, a tagliare la dura hamadat in direzione dell’Oasi Sacra di Oum Lalek, che ritroviamo purtroppo sempre più occlusa dagli alti muri perimetrali del Bivouac Iriki, la struttura turistica che sta letteralmente fagocitando l’oasi, ormai abbandonata dai nomadi. Poi via, verso nord ovest, a raggiungere il Bani e l’asfalto tra Tagounite e Mahamid.

Non posso fare a meno di fermarmi ancora una volta (quante sono? Dieci?) alla Kasbha di Isfoul, ad ovest di Tagounite. La Kasbha è immutata, perfettamente identica a come la trovai dieci anni or sono, sempre immersa nel silenzio e nella calma , in un tripudio di piccole dune color pesca, le antiche mura scarlatte che si nascondono tra i palmizi. Pernottiamo qui, in questa che fu la casa del mio vecchio amico Ikhlaff, oggi uomo, sposato con una francese e residente in tutt’altro luogo…

Saliamo a Zagora, la sempre più turistica Zagora, per poi prendere la strada dell’Ovest, verso Ouarzazate, lungo la più bella valle del Marocco, quella del Draa. Qui doveva arrivare una delle tappe della Dakar, nel frattempo annullata per motivi di sicurezza (e sempre più sono convinto di aver fatto bene a tornare indietro!). Via, ancora oltre, a ritrovare dopo più di un decennio il miraggio di Ait Ben Haddou e la pista fangosa per Telouet…Le “mille Kasbha” ci accompagnano lungo la Strada delle Rose, in direzione di Thinerir, sfiorando le pendici di quel Jebel Sahro che vide l’ultima resistenza dei berberi all’invasione Francese. Saliamo verso la Valle del DAdes, verso M’serir, incontrando la neve, sempre più spessa, sempre più gelida. Ci fermiamo a mezza valle, in una pensioncina minuscola (due stanze soltanto), dove per pochi spiccioli veniamo accolti come familiari, con una delle più deliziose cene che mi siano mai state offerte. Poi la neve troppo alta interrompe la nostra salita in quota. Ma non demordiamo: ritorniamo a valle e raggiungiamo il bivio per Todra e ci rigettiamo a nord, verso Agoudal. Sorpresa: hanno asfaltato tutto, dal fondo valle fino su al passo presso Agoudal, poco a sud del lago di Imilchil; praticamente l’asfalto unisce senza soluzione di continuità Todra, Tamtattouche, Agoudal e Rich. La stessa Tamtattouche, un tempo incubo dei passanti con le sue orde di bambini che si ingegnavano nel tracciare piste fasulle per trarre in inganno i viaggiatori, ora è un pullulare di alberghi, campi tendati, pensioni per turisti. Al fondo valle le gole sono praticamente intasate da decine e decine di bancarelle permanenti di venditori di oggettistica , tappeti, fossili, e sul fiume è stata ricavata una grande spianata utilizzata come parcheggio da decine di grandi pullman granturismo. Tutto è cambiato. Tutto ma non la natura, che con la sua forza ancora mostra chi comanda: il Todra si è divorato l’asfalto in enormi bocconi, su, verso Tamtattouche, costringendo ad un continuo saliscendi nel letto del fiume i nostri pesanti 4×4. Enormi frese da neve e giganteschi spazzaneve s’inerpicano su, verso Agoudal, a liberare dalle continue nevicate il manto d’asfalto, seguiti da gruppi di motociclisti occidentali su scintillanti moto da strada, cosa impensabile fino a pochi anni or sono, tempo in cui questa pista ancora era una prova difficile anche per esperti fuoristradisti.

Ritorniamo sui nostri passi, verso oriente; ho ancora voglia di deserto, di dune, di sabbia. Un tè ristoratore a Tamtattouche e giù, a palla di fucile in direzione di Erfoud. La raggiungiamo nel primo pomeriggio, giusto in orario per imboccare la pista per l’erg Chebbi nella luce giusta. Ogni sasso, ogni curva mi ritornano alle mente man mano che l’hamadat mi viene incontro con la sua distesa di macigni ossidati dal sole. In fondo, appena oltre le ultime alture della Valle dei Fossili, si innalzano maestose le grandi piramidi di sabbia del Chebbi. Puntiamo dritti a loro, lungo la più battuta di tutte le piste del Marocco. Poi, al margine occidentale dell’erg, cambiamo direzione ed anziché seguire la traccia normale, quella che conduce a Merzouga, giriamo di 90° verso nord e decidiamo di aggirare il massiccio sabbioso dal suo versante “nascosto”. E’ una sorpresa inaspettata. Superata la cortina dei bivacchi e degli alberghetti per turisti, che violentano tutto il limitare di questo tratto di deserto, ci ritroviamo completamente soli in un mare di piccole dune caotiche, bianche a nord e color senape a sud. Passaggi anche delicati, a fil di cresta, rendono il tragitto assolutamente piacevole, mentre le fide toyota non si lasciano intimorire dagli stretti imbuti e dai catini stile “erg orientale tunisino”.

Esploriamo l’erg nei suoi meandri più celati, andando e tornando su e giù per i suoi contrafforti più alti, ora lambendo la gigantesca sebhka che contorna il Chebbi da nord, ora scendendo a capofitto giù dai versanti scoscesi delle grandi gurds a sud, a poche centinaia di metri in linea d’aria da Merzouga ed Hassi L’biad. Due giorni splendidi nel cuore di un erg che pensavo mi avesse dato tutto in dodici anni di viaggi, e che invece ancora ha saputo meravigliarmi. Raggiungiamo M’fis ed infine i primi sobborghi di Taouz prima di ritornare ad ovest lungo il margine opposto dell’Erg, gettandoci sempre verso l’interno delle catene. Una piccola “piantata” ci rivela l’ennesima sorpresa: scesi a disinsabbiare le ruote intrappolate dal fech fech ci ritroviamo nel bel mezzo di un campo di fulguriti, ed ogni metro è una nuova scoperta…Oltre l’ultima duna l’inconfondibile sagoma della Torre dell’acqua di Merzouga ci si para di fronte, oramai quasi annegata dalle nuove costruzioni che lambiscono le dune; hotels, campi, caravanserragli sorgono ovunque qui intorno, mentre l’asfalto che giunge da Rissani porta qui, ai piedi delle colline di sabbia, nugoli di pullman, camper, berline da città. Ma è sempre Merzouga. Lontano a nord la piccola collina continua a dominare, isolata, la pianura dove fino a pochi anni or sono un lago effimero ospitava fenicotteri ed aironi…c’è un albergo sulla cima, quella stessa cima che nel 96 trovai deserta, silenziosa, con pochi ruderi cadenti.

Lungo il palmeto che da Merzouga porta verso Hassi L’biad gli alberghi si susseguono senza soluzione di continuità, uno dietro l’altro, tutti in fila ai piedi delle dune,ingoiandosi orti e giardini.

Ci fermiamo ad Hassi L’biad a consegnare la cassa di medicinali che le Farmacie Bovesane mi avevano gentilmente offerto per i nomadi mauri, ma anche qui ne hanno parecchio bisogno; la lascio in buone mani, presso l’ambulatorio aperto da una Onlus italiana molti anni or sono, Bambini nel Deserto. Ed eccoci nuovamente ad Erfoud, e su, tra le gole scavate dallo Ziz nei millenni…Una scappata a bagnare le ruote nelle acqua cobalto del lago di Er Rachidia prima di affrontare ancora una volta le nevi d’Atlante, con temperature di gran lunga sotto lo zero e tanti, troppi bambini a piedi scalzi…Fès, la magica Fès, con i suoi vicoli, i suoi colori, i suoi suoni. Quanto è cambiata in dieci anni; le sue mura sono intonacate, la lordura scomparsa dai vicoli, gli incroci nella medina segnalati da cartelli…Ma è sempre Fès e da sola vale un viaggio. Pochi chilometri ed un’altra babele di colori, Meknes, con le sue piazze, i suoi palazzi, i suoi prati verde smeraldo. Facciamo i turisti nella medina, ci godiamo le fresche spremute d’arancia, ci anneghiamo nei meandri dei suoi mercati fino ad avere i piedi consumati, bollenti. Notte umida, nebbiosa, ma il sole ci asciuga membra e sogni nella luce dorata del mattino, e ci lanciamo nelle campagne più fertili del Marocco tagliando verso nord ovest, verso Tangeri, verso il ritorno.

Ancora una tappa, Volubilis, a respirare un poco dei fasti dell’antica Roma in quest’area monumentale con dei mosaici così grandiosi che l’Umanità dovrebbe ribellarsi al loro degrado. Poi è solo una corsa veloce verso il Mediterraneo. Lo stretto di Gibilterra, come al solito, ci accoglie con una bella tempesta di pioggia, vento e nebbie gelide. Ma Tarifa è già lì, ad un passo. E l’Europa ci riprende con i suoi ritmi, i suoi costi assurdi, il suo tempo sempre scarso, la sua fretta. E’ di nuovo ritorno, le mappe spiegazzate ormai lasciate in fondo ai cassetti di Camilla, il GPS spento.

E poi? Poi dove andremo?…e nella mia mente di nuovo deserti.

RoboGabr’Aoun

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