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Sulla via del ritorno attraverso Zambia, Tanzania e Uganda di Gian Casati

– Posted in: Africa, Africa Centrale, Resoconti di viaggio

By Gian Casati
Originally Posted Tuesday, November 8, 2011

SULLA VIA DEL RITORNO: ATTRAVERSO ZAMBIA,TANZANIA E UGANDA

Per chi non ha letto i precedenti resoconti ricordo che siamo partiti (allora eravamo quattro macchine) dall’Italia nell’ottobre 2007 ed in varie tappe abbiamo attraversato tutta l’Africa scendendo dalla parte orientale fino al Capo di Buona Speranza. Ora stiamo risalendo verso Nord.

PARTECIPANTI: Gian Casati con Rosalba Basile e G. Carlo Mazzari

MEZZO: Toyota Land Cruiser hj61 del 1987 con alle spalle circa 300.000 km.

2 ottobre 2011

Partenza da Malpensa con Ethiopians Airways via Addis Abeba ed Harare per Lusaka dove arriviamo, puntualissimi il

3 ottobre

Un po’ di suspense perché i bagagli tardano un po’ ad arrivare; ci accoglie Robert uno zambiano che ci porta a casa di Alan, il nostro magnifico amico che ha ospitato per qualche mese la nostra Toyota. Qui ci aspetta una poco simpatica sorpresa: i topi durante la nostra assenza hanno alloggiato in macchina approfittando delle nostre cibarie e soprattutto facendo i loro “porci” comodi dappertutto. Il tempo che avevamo programmato per sistemare il bagaglio e la macchina viene utilizzato per rimediare ai danni. Lavoriamo fino a sera.

4 ottobre

Affidiamo la Toyota al meccanico di Alan che dovrà sostituire i vecchi pezzi dello sterzo (che ci avevano procurato guai nel viaggio scorso) coi i ricambi portati dall’Italia. Nel frattempo Robert si occupa di fare l’assicurazione r.c.(obbligatoria) e di pagare la carbon tax entrambe scadute (ci chiariranno poi che la tassa non è dovuta). Noi andiamo a fare un po’ di rifornimenti di cibarie varie e di acqua in un bel centro commerciale. La macchina è pronta solo nel tardo pomeriggio e cosi dobbiamo sistemarla che ormai fa buio, in piu’ ci si mette un bel temporale che durerà molte ore (temporale del tutto fuori tempo perchè, ci aveva assicurato Alan e non solo lui, fino al 15 novembre non piove). Per cena avevamo programmato di uscire con Alan al ristorante ma l’acquazzone ci sconsiglia di uscire e così tra musica e bevute consumiamo i nostri addii.

5 ottobre

Finalmente si parte. Attraversiamo il relativo caos di Lusaka e ci dirigiamo verso Nord-Est per la T2. Lasciata la capitale la strada è bellissima e veloce ed il traffico abbastanza modesto. A Kapiri Mposhi si piega verso Est, il panorama fin qui un po’ monotono, diventa sempre più interessante con belle foreste di alberi che in questo inizio di primavera hanno foglioline verdi (come da noi) ma sopratutto foglioline amaranto, arancioni e rosse sicchè l’intera foresta sembra contemporaneamente in primavera ed in autunno. Sfioriamo il Congo che si vede non lontano,la strada è sempre bella e veloce, incontriamo solo grandi camion molto carichi e molto veloci. A Serenji rabbocchiamo il gasolio e proseguiamo per qualche km per prendere un pista secondaria che porta alle Kudalila Falls dove dovrebbe esserci un campeggio come ci hanno indicato dei viaggiatori incontrati lungo la strada. In effetti il campsite esiste anche se mooolto spartano, non c’è acqua ed i cosiddetti servizi è meglio evitarli ma il posto è molto bello e siamo del tutto soli. Nota negativa il costo del campeggio è di addirittura 15$ a testa piu’ altri 15$ sempre cad per entrare nell’area naturale, che è minima. Comunque siamo molto contenti della “location” del nostro primo campo che festeggiamo con un lussuoso gin and tonic (prelevato dalle nostre riserve alcoliche anche se non molto fresco per la verità..!). Oggi fatti 498 km.

6 ottobre

Sveglia con tempo orrendo, tutto coperto e piovviginoso e nero e fa piuttosto freddo. Siamo veramente meravigliati e soprattutto scocciati perché a detta di tutti questo dovrebbe essere un periodo stagionale caldissimo e senza acqua (quindi ideale per vedere gli animali che si concentrano nelle poche pozze d’acqua rimaste). Andiamo a vedere le cascate che non sono certo maestose ma comunque sono in un contesto naturale molto bello con un magnifica vista su una grande valle, con una luce decente (che non c’è) deve essere uno spettacolo. Ritorniamo sulla strada principale, la T2, che attraversa zone veramente molto belle, foreste e colline rocciose che però in qualche modo solo immaginiamo perché il tempo è veramente pessimo, in alcuni tratti addirittura siamo nella nebbia. A Mpika che è l’ultimo centro di una certa importanza (quattro case!) ci concediamo un caffè (una sbrodaglia che del caffè non aveva neanche il colore), rabbocchiamo il gasolio e cambiamo un po’ di euro visto che forse qui c’è l’ultima banca prima di arrivare in Tanzania. A Chitempo lasciamo la T2 e prendiamo la pista che attraverso una magnifica foresta (peccato sia rovinata da irresponsabili incendi) in 42 km porta al gate di ingresso del North Luangwa National Park. Anche se è pomeriggio molto presto ci fermiamo al pulitissimo campsite gestito dalla comunità locale (15 $ a testa). Siamo immersi nella foresta ai bordi del piccolo fiume Mwaleshi, il tempo è sempre orrendo e spesso piovvigina. Oggi abbiamo fatto 308 km.

7 ottobre

Entriamo nel parco (25$ cad + 15$ la macchina) avendo ingaggiato come guida George gestore del campsite. Il tempo non promette niente di buono, ancora coperto e piovigginoso. Si entra nella foresta di grandi piante soprattutto decidue ma con sottobosco assai intricato e si scende dai 1400 mt del campsite ai 600 mt della piana del Luangwa. La pista è ripida ma buona, la natura della parte bassa del parco è completamente diversa, erba molto alta ed alberelli abbastanza piccoli. Il paesaggio è stupendo e selvaggio, è un’Africa primordiale assai lontana da quei parchi tipo Etosha che in realtà, almeno per la parte che ci fanno vedere, sono degli enormi zoo-safari. Purtroppo vastissimi incendi provocati, così ci dicono, da bracconieri, hanno devastato grandi aree del parco. La parte piu’ interessante, come sempre è quella lungo il fiume che è giustamente famoso per le numerosissime famiglie di ippopotami.

Divertente l’attraversamento del Luangwa su una zattera che si muove grazie ad un ingegnoso anche se faticoso sistema a propulsione umana.

Gli animali non sono molti ma l’ambiente è tanto interessante che la visita rimane comunque entusiasmante. Il giro del parco è lungo ben 187 km (tanti ne abbiamo fatti) e dopo 12 ore di pista rientriamo nel nostro campsite che è buio. Per fortuna i nostri amici del campo ci fanno trovare un bel fuoco acceso ed un grande pentolone di acqua calda con cui ci facciamo un bella lavata ristoratrice.

8 ottobre

Finalmente bel tempo !! Lasciamo il campsite e ripercorriamo a ritroso i 42 km che ci riportano all’asfalto. Col bel tempo apprezziamo ancor piu’ la stupenda foresta che ci circonda. Siamo all’inizio della primavera africana e fra me penso che siamo proprio in un mondo alla rovescia. Siamo in ottobre ma è primavera, le prime foglioline degli alberi, che da noi sono verdi, qui sono in prevalenza rosse, arancioni, amaranto insomma hanno i colori autunnali (per non dire del sole che nel suo percorso da Est verso Ovest non passa dal Sud come da noi ma dal Nord!). Raggiungiamo l’asfalto della T2 che percorriamo per pochi km per poi girare a sinistra su uno sterrato che ci porterà alla M1. Si entra in una bella foresta poi si attraversa una zona coltivata, ex azienda agricola (Shiwa Ngandu) di un signore inglese che ai principi del novecento ha trasportato l’Europa qui. Costruzioni rurali inglesi che poco hanno a che fare con l’ Africa. Superato questo complesso agricolo la pista si snoda attraverso montagnotte ricoperte di alberi dalle forme più svariate e dai colori più sgargianti; questo ottimo sterrato porta alla M1 la perfetta strada asfaltata che va al lago Tanganika e poi alla Tanzania. Fino a Kasama, un grosso centro molto vivace, il panorama è stupendo poi un po’ monotono fino ad Nbala. Qui dai 1500 mt si scende per una valle molto panoramica fino agli 800 mt circa del lago Tanganika. Siamo a Mpolungu, un brutto paesotto portuale sporco ed incasinato ed ove le strutture alberghiere (stiamo cercando un alloggio) sono da paura. Non so perchè ma ci aspettavamo un porticciolo tipo Portofino quindi siamo molto delusi, scappiamo dalla orrenda cittadina e seguiamo un cartello che indica Tanganika Lodge, il cui nome ci ispira fiducia. Sette km e mezzo di pista a tratti veramente infame (con la Toyota che manifesta tutto il suo disappunto) portano ad una struttura molto molto spartana ma accogliente proprio in riva al lago. Vista la pista non capiamo come possano arrivare fin qui dei clienti ma poi scopriamo che il lodge viene normalmente raggiunto dai solo via lago. Fatti 494 km.

9 ottobre

Dormito poco e male, preoccupazione per i 7,5 km di pista che ci riporteranno sull’asfalto. Molto suggestiva l’alba sul lago con piroghe che partono dal vicino villaggio, che vado a vedere attorniato da ragazzini festanti che mi chiamano da ogni parte gridando “mzungu” (che vuol dire “bianco” ma viene utilizzato per indicare lo straniero).

Ritorniamo sull’asfalto facendo a ritroso la micidiale pista di ieri. Va meglio di ieri sera soprattutto perché utilizzo il “metodo Red” che mi è tornato in mente stanotte. Il “metodo Red”, dal nome del mio amico che lo utilizza nei guadi, consiste nello scegliere il rapporto adatto (in genere prima o seconda ridotta) e poi tirare l’acceleratore a mano (naturalmente il metodo vale solo per chi ce l’ha) fino ad arrivare a 1200 giri circa, dopodiché si lascia andare la macchina da sola. Con questo sistema si evitano scossoni eccessivi e strappi inevitabili quando è difficile o impossibile dosare la giusta pressione sull’acceleratore. Ritrovato l’asfalto, invece di entrare subito nella vicina Tanzania come avevamo programmato, andiamo a vedere le Kalambo Falls come ci ha suggerito una ricercatrice svizzera conosciuta al lodge. Questa imprevista escursione (molto bello l’ambiente, la foresta, la vista dall’alto di alcune isole nel lago) ci fa perdere quasi tutta la mattina perché la pista è molto lenta. Per vedere la cascata (la seconda per altezza di tutta l’Africa ma di portata molto modesta) si pagano 15$ cad piu’ 5$ per la macchina, francamente non so se ne vale la pena. Vista la cascata ci dirigiamo verso la frontiera per una pista pessima. Arrivati alla fine della pista chiediamo dov’è il posto di frontiera perché non riusciamo ad individuarlo. Ce lo indicano (una modestissima costruzione con una bandiera) ma al momento la frontiera è chiusa perché i funzionari (due) stanno mangiando. Molto gentilmente dopo neanche 5 minuti di attesa un gentile signore che si qualifica doganiere viene a chiamarci dicendoci che si potevano fare le formalità di uscita, che in effetti sbrighiamo in due minuti. I doganieri però visto la grande novità del passaggio di tre mzungu italiani chiamano un fotografo (con macchina analogica) e chiedono di essere fotografati insieme a noi, il tutto tra grandi abbracci. Per arrivare in Tanzania si percorre una specie di campo arato perché la pista non c’è! La dogana tanzaniana è molto bella e moderna ed anche qui, anche perché siamo gli unici, le formalità sono molto veloci. Per l’auto oltre al carnet si pagano 25$ per la temporanea importazione del mezzo. Non so se il visto sia ottenibile in questa frontiera ed a quale prezzo, noi l’avevamo ottenuto dal console onorario di Milano. Raggiungiamo quindi che ormai è buio la cittadina di Simbawanga, dove ci fermiamo al Moravian Conference Center (una struttura religiosa con alloggio, due stanze dignitose con servizi per 30.000 kwacha circa, cinque euro!). Abbiamo fatto 238 km e sono abbastanza stanco, penso per la notte quasi insonne e per la pista certo non scorrevole.

10 ottobre

Subito in banca per avere moneta locale (attenzione i tagli grossi spuntano un tasso migliore). Proseguiamo verso NW su uno sterrato abbastanza buono fino a Chala dove deviamo verso Ovest per raggiungere il Lago Tanganika. Il paesaggio cambia radicalmente, dall’altipiano a circa 1500 mt caratterizzato da amplissimi orizzonti (non esaltanti però) si scende, attraversando una magnifica foresta, agli 800 mt circa del lago. Dopo l’abitato di Namayere è uno spettacolo indimenticabile, sono circa 60 km di foresta relativamente rada in aspetto primaverile avanzato con gli incredibili colori di cui ho gia’ detto.

Arriviamo quindi al grande lago, a Kipili un simpatico villaggetto di pescatori. Qui seguiamo le indicazioni per Lakeshore Lodge, aspettandoci di trovare un modesto alloggio visto il posto veramente sperduto. Invece questo lodge è un vero spettacolo con un rapporto prezzo/qualità/location veramente eccezionale (in tre abbiamo alloggiato in due lussuose bandas, la tipica costruzione tanzaniana col tetto in paglia, abbiamo beatamente sorseggiato tre gin and tonic, gustato tre ottime cene a lume di candela sul bagnasciuga del lago, per un costo complessivo di 275 $). Fa piuttosto caldo ed un bagno nel lago, (esente da bilharzia e da coccodrilli ci assicurano) è una goduria assoluta. Dopo l’ottimo pic-nic all’ombra di un maestoso mango andiamo a visitare il suggestivo complesso abbaziale benedettino che domina da una altura il lago. Il monastero, che ricorda molto l’abbazia di Chiaravalle (alle porte di Milano), è in rovina ma il fascino che emana è senza dubbio molto forte. Ci dirigiamo quindi un po’ a N al villaggio-porto di Kirando.

Questo è un villaggione in cui tutto gravita attorno all’ animatissimo porto sul lago. Enormi lance di legno (che ricordano un po’ le pinasse del Niger) trasportano merci e persone collegando molti villaggi del Tanganika tanzaniano e congolese che non sono raggiungibili via terra. Posto molto “africano” quindi molto interessante. Al tramonto siamo al nostro magnifico lodge dove, ripudiando per una volta la nostra vocazione nomade, ci godiamo una cena a lume di candela nello sciabordio del lago, sentendoci dei ricchi signori. Oggi fatti 179 km.

11 ottobre

Lasciamo lo Lakeshore lodge e torniamo sui nostri passi fino a Namayere, qui rabbocchiamo il gasolio e, per andare al Katavi National Park, ci dirigiamo verso N raggiungendo il pistone che viene da Sumbawanga. Siamo circondati da foreste bellissime, ma lo sterrato che attraversa il parco ha molte buche e tanta brutta tòle ondulee. Avvistiamo solo qualche scimmia e per un pelo non ci scontriamo con un branchetto di facoceri che ci attraversano improvvisamente la strada. Siamo un po’ perplessi perché pur trovandoci in un parco, per quanto su una strada di grande comunicazione anche se di traffico scarsissimo, gli animali sono pochissimi. In effetti poi scopriamo che al parco vero e proprio si accede attraverso una pista che parte dal quartier generale che a sua volta è situato poco prima (provenendo da sud) del piccolo villaggio di Sitalike. Paghiamo 20 $ cad +40 $ per l’auto oltre 30 $ cad per dormire in una discreta banda mono-letto (con servizi propri). Il posto è molto bello e selvaggio e gli animali si trovano tutti attorno al lago Katavi (che in effetti è solo una depressione erbosa ove solo dopo la stagione delle grandi piogge rimane un poco d’acqua). Abbiamo appena iniziato a bordeggiare il lago quando raggiungiamo un albero che un grande cartello indica come l’albero sacro per le tribù che abitavano questi luoghi. Sotto l’albero una pelle di leopardo in posizione del tutto innaturale, le zampe in alto e la testa rovesciata all’indietro. Siamo in Africa il paese dei riti magici e delle superstizioni, sicuramente si tratta di un feticcio. Mentre questo pensiero mi attraversa la mente, il feticcio si sveglia e senza troppo scomporsi si rimette in piedi, gira attorno all’albero e dopo averci osservato si allontana sdegnosamente verso la foresta.

Finalmente il tanto cercato ed agognato leopardo, il quinto dei big five che inseguiamo da quando abbiamo incominciato a girare per l’Africa nera. E lo troviamo nel più “sbagliato” dei modi, nel primo pomeriggio (è un animale prevalentemente notturno o al più crepuscolare), sotto una albero (e non sopra come i sacri testi insegnano) e proprio sotto l’albero sacro, cioè un posto dove non puoi aspettarti un animale tanto cauto. Il nostro entusiasmo è alle stelle anche perché poco dopo avvistiamo un bel gruppo di elefanti, tra cui alcuni vicinissimi, che tentano di dissetarsi in buche da loro stessi scavate.

Torniamo quindi al gate di ingresso poco dopo il quale scorre (anzi dovrebbe scorrere) un fiumiciattolo letteralmente invaso da decine forse centinaia di ippopotami che si disputano nel fango e negli escrementi il pochissimo liquido (ormai non è più certo acqua) rimasto al culmine della stagione secca. E’ uno spettacolo impressionante e penoso a vedersi. Oggi abbiamo fatto 276 km.

12 ottobre

Appena svegli una spiacevole sorpresa: una gomma a terra (scontiamo la fortuna del leopardo??). Saltiamo la prima colazione e ci diamo da fare perché vogliamo visitare l’altra parte del parco partendo presto. Andiamo quindi a prendere Gerard la guida che abbiamo ingaggiato ed entriamo nella parte Est del parco. Paesaggio stupendo e selvaggio; come sempre nella boscaglia non c’è niente da vedere (o per lo meno è molto difficile vedere qualcosa) ma quando poi si arriva nel pianoro aperto ed al fiume, ora quasi prosciugato, incontriamo animali dappertutto. Branchi di zebre, impala ed antilopi varie, giraffe, elefanti, bufali (pochi),e nel fiume enormi coccodrilli e sopratutto, intrappolati nel poca acqua fangosa rimasta centinaia, forse migliaia di ippopotami e poi tanti LEONI, che sono sempre una “preda” ambitissima.

Magnifica e sorprendente, perché normalmente i maschi adulti se stanno per conto loro, una famiglia con due leoni maschi, alcune femmine ed alcuni cuccioloni. Siamo estasiati ed eccitati e poniamo questo parco, in una ipotetica graduatoria tra parchi, ai primissimi posti perché ci sono tanti animali ma mai si ha la sensazione di essere in uno zoo-safari (al riguardo chi ha avuto la pazienza di leggere gli altri miei resoconti sa cosa ne penso dei parchi tipo Etosha con le pozze artificiali costruite accanto alle strutture ricettive per dar modo ai visitatori di osservare comodamente e senza fatica gli animali). Lasciato il parco proseguiamo e pur essendo abbastanza presto, riparata la gomma (come al solito il gommista africano non aveva nè la chiave per svitare i bulloni nè il crick per sollevare la macchina!), decidiamo di fermarci a Mpanda presso quella che appare la migliore sistemazione possibile (City Hotel, albergo modesto ma ancora passabile) perchè Rosalba accusa qualche malessere. Fatti km.193

13 ottobre

La pista che ci porta a NW è molto lenta e bisogna guidare con estrema attenzione, brutte buche si parano improvvise anche nei tratti che sembrano scorrevoli e che invitano ad andare veloci. Per fare i 3oo km che ci separano da Kigoma, importante centro sulle rive del Tanganika, ci mettiamo oltre 8 ore; da qui andiamo ad Ujiji, nei tempi passati importante insediamento, famoso perché qui avvenne il famosissimo incontro tra Stanley e Livingstone. Oggi è un modesto villaggio fagocitato dalla vicina Kigoma. Qui becchiamo la prima sòla del viaggio: il Livingstone Memorial. Fanno pagare un ticket d’ingresso (circa 3 € cad) per mostrare due uomini di cartapesta che fanno il gesto di incontrarsi, qualche copia di modeste stampe ed alcuni quadri pseudo-naif dipinti negli anni ’50 del secolo scorso ed una lapide sotto un mango (trapiantato) ove si dice avvenne l’incontro, veramente poco! Lasciamo alquanto sconcertati il memorial e ci dirigiamo verso il vicino villaggio di pescatori Kibirizi, animatissimo porticciolo ove sono ormeggiate grosse barche di legno accanto a piu’ piccole barche da pesca. Ormai è sera e ci fermiamo al St.Martha Nzimano Hostel, gestito da suore cattoliche (circa 10 euro in tre per due camere, cena compresa), poco fuori Kigoma. Siamo stanchi e letteralmente coperti di polvere rossa che solo una bella doccia riesce ad eliminare. Oggi abbiamo fatto 330 km. di pista spesso orribile.

14 ottobre

Mannaggia, sveglia con la pioggia che qui vicino deve essere stata torrenziale perchè c’è abbondante e vorticosa acqua dappertutto. I primi 80 km sono una pena, pioggia, fango, buche e via andare. Per fortuna dopo Kubulu la pista migliora ma l’attenzione deve essere massima perché i non molti mezzi che incrociamo, grossi camion corriere e pulmini viaggiano, anche in queste condizioni, come pazzi senza mai alzare il piede dall’acceleratore (ed infatti di tanto in tanto ci sono le tracce di grossi incidenti). In compenso il paesaggio è veramente stupendo, molto africano, foreste, villaggi molto caratteristici, gente molto cordiale, pista rossa. Solo ad una cinquantina di km. da Biharamulo troviamo un po’ di asfalto e la piatta strada in costruzione che ci consente di tirare un po’ il fiato. Dopo quasi 10 ore di guida praticamente ininterrotta ci fermiamo al Robert Hotel di Biharamulo; dovrebbe essere la sistemazione migliore, constatiamo che forse è la migliore per chi è in cerca di sesso. Comunque le camere sono africanamente accettabili e non veniamo disturbati. Oggi abbiamo fatto 379 km, molti anzi troppi viste le condizioni della pista e del tempo ma non c’era molta scelta perché prima di Biharamulo non c’erano posti ove fermarsi.

15 ottobre

La visita al boma tedesco, indicato sulla guida come unica cosa da vedere, non vale. Proseguiamo verso Nord ed il lago Vittoria; prima c’è un po’ di asfalto poi la liscia strada in costruzione che di colpo diventa una fangaia pazzesca (per noi in leggera discesa) che ieri è diventata una trappola infernale per una paio di camion che sono ancora lì, immersi nel fango. Dopo la fangaia riprende la vecchia pista, dal fondo abbastanza buono, che attraversa una magnifica boscaglia, grande riserva di caccia (infatti si vede qualche antilope). In prossimità del Lago Vittoria riprende un magnifico asfalto ma riprende anche a piovere a dirotto e non riusciamo che ad intuire il bel panorama verso il grande lago. Facciamo una breve deviazione per la grossa cittadina di Bukoba in cerca di qualche souvenir tanzaniano da portare a casa ed in cerca di una banca per prendere valuta ugandese convertendo gli ultimi kwacha, ma falliamo entrambi gli obbiettivi perchè qui non esistono turisti quindi niente souvenirs e le banche hanno code kilometriche forse perché oggi è sabato giorno di paga. Una bellissima strada ci porta al confine e poco prima del confine, al villaggio di Nsunga, ci fermiamo ad un animatissimo mercato locale.

Le formalità di uscita dalla Tanzania sono velocissime non altrettanto quelle per l’entrata in Uganda; si suda sia per il caldo umido che per il trottare da un ufficio all’altro e anche, diciamolo, per quel po’ di tensione che c’è sempre quando si attraversano queste frontiere. Come spesso succede in queste dogane veniamo assistiti ed aiutati da un “faccendiere” che si dimostra molto utile anche se non sempre si capisce se si è in ufficio doganale o meno. Comunque la trafila è stata piu’ o meno questa : si va ad un ufficio della dogana dove vogliono vedere il carnet, poi si va a fare l’assicurazione che pare fattibile solo per un anno e non meno (noi l’abbiamo fatta valevole solo per l’Uganda pagando 150.000 ush (circa 40 € mentre per 150 $ si può fare una assicurazione valida in tutti i paesi Comesa, cioè Tanzania, Kenya, Rwanda ed altri). Fatta l’assicurazione la dogana timbra il carnet in entrata e poi si paga una specie di tassa di circolazione (55.000 Ush circa 15 €). Esaurite le formalità per la macchina si passa all’immigrazione ove si fa il visto d’entrata (50$ cad), a questo punto uno crede di poter partire invece bisogna passare da un poliziotto che deve solo registrare il nostro passaggio e per fare questo (lui dice per velocizzare la pratica, anche se siamo gli unici a passare in quel momento) spudoratamente ci chiede una mancia che naturalmente gli sganciamo perchè non solo non vogliamo certo fare questioni di principio con chi veste una divisa in questi paesi ma sopratutto non vediamo l’ora di allontanarci il piu’ velocemente possibile dalla zona di frontiera. Numerosi cambia-valute ci consentono di cambiare un po’ di soldi in valuta locale ad un tasso accettabile. Finalmente possiamo ripartire, fa caldo ed abituati allo scarsissimo traffico della Tanzania qui siamo sorpresi nel vedere tante auto, motociclette con minimo tre occupanti, bici sovraccariche e tante persone che viaggiano da un villaggio all’altro. Anche il paesaggio è molto diverso, molto verde, molto coltivato (canna da zucchero, caffè, banane sopratutto) e molto abitato. Tante le famose vacche ankole dalle immense, esagerate corna. Cerchiamo di allontanarci il piu’ possibile dal traffico; è quasi buio ed abbiamo qualche problema a trovare una sistemazione per la notte quando come per incanto incontriamo il bel motel Skyblue poco fuori Lyatonde, ottime camere spaziose e pulite (due stanze molto belle con doccia per 37 €) e buono il ristorante. Fatti 420 km.

16 ottobre

Dopo un ottimo e ricco breakfast ripartiamo, superiamo la caotica Mbarara per poi raggiungere Bushenyi dove rabbocchiamo il gasolio. Fino a qui il paesaggio non è particolarmente interessante, verdissimo, appena ondulato, coperto di coltivazioni di banane; non so perchè mi ricorda la Colombia (dove in verità non sono mai stato!). Sono vagamente deluso perchè tutti avevano descritto l’Uganda come un paese bellissimo, addirittura la perla d’Africa (Churchill, pare) e fino ad ora non mi pare certo eccezionale. Ma poi mi rendo conto che mi sbagliavo e si trattava solo di avere pazienza perché da Bushenyi tutto cambia, dapprima estese e belle piantagioni di the con verdissime colline che si susseguono l’una all’altra poi,quasi di colpo, ci si affaccia sulla depressione della Rift Valley, una grandissima piana costellata di acacie e verdi altissime erbe. Dall’alto si vedono contemporaneamente il lago George e l’Edward collegati dall’ampio canale naturale Kazinga. Siamo in prossimità del Queen Elisabeth National Park e cominciamo a vedere i primi animali (bufali, antilopi e qualche isolato lontano elefante). A Kutunguru c’è il quartier generale del Parco dove prendiamo informazioni sul campeggio e sul parco stesso. Imbocchiamo quindi il lungo sterrato (circa 80 km non sempre scorrevoli) che ci porta alla remota Ishasha, al confine col Congo. Lungo la pista buchiamo ancora la gomma posteriore destra, la stessa di qualche giorno fa, anzi è la base della valvola che si taglia (nella tubeless era stata inserita, perchè non abbiamo trovato altro, una camera d’aria di misura di 15″ anziché di 16″). Un cartello ambiguo ci fa deviare su una pista via via impraticabile per il fango e l’acqua, da abitanti di un piccolissimo insediamento non riusciamo a ricavare utili indicazioni per la impossibilità di comunicare. Ritorniamo allora sui nostri passi e troviamo (pochissimo dopo la deviazione sbagliata) l’indicazione per il vero e proprio gate del parco dove paghiamo i costosi diritti d’ingresso (35 $ cad piu’ 150$ per la macchina piu’ 30$ cad per usufruire dello spartanissimo campeggio). Proprio nell’uscire dal campeggio ho un difficile incrocio con una jeep di ranger con turisti che non mi da lo spazio sufficiente per passare (e ne aveva !) e cosi la mia macchina scivolando quel tanto che basta sul terreno friabile tocca la jeep rompendo il fanalino posteriore destro (santo scotch americano!!). Siamo nella remotissima parte del parco famosa per i leoni che stanno sugli alberi, e per avere maggiori probabilità di vederli ingaggiamo (per 20 $) un ranger che ci accompagni. Il contesto è bellissimo, la luce del tardo pomeriggio è stupenda anche per la presenza di forti temporali nel vicino Congo, vari branchetti di gazzelle brucano l’erba ma dei famosi leoni neanche l’ombra. Torniamo un po’ scornati (anche se sulla presenza dei leoni sugli alberi eravamo alquanto scettici) al nostro molto basic campsite situato in riva al fiume Ishasha, la riva opposta cioè si e no 25/30 mt è Congo. Fatti 315 km.

17 ottobre

Senza ranger, ma confortati dalle chiare indicazioni di Tracks4Africa, percorriamo parte del cosiddetto circuito Nord di Ishasha, magnifico il contesto naturale, visti branchi di bufali, gazzelle e bellissime gru corona simbolo dell’Uganda e da lontano begli elefanti.

Percorriamo quindi a ritroso lo sterrato che ci riporta a Katunguru dove speriamo di far aggiustare la gomma. Deviamo dalla strada principale per raggiungere due interessantissimi villaggi di pescatori sul lago Edward, Rwenshama (dove compriamo due pesci siluro da mangiare a sera) e Kisenyi.

Tante belle barche da pesca e pescatori che preparano le reti, gente molto cordiale. Traversato il ponte sul canale Kazinga entriamo nella parte superiore del Parco. Qui la vegetazione e completamente diversa rispetto alla parte al di là del canale, là era savana e/o foresta mentre qui gli alberi sono piu’ radi e piu’ cespugliosi e la euforbia (una cactacea molto grande) domina. Si incontrano molti animali sopratutto elefanti che si possono ammirare molto da vicino. Si arriva quindi all’estremità della penisola che entra nel lago Edward, a Mweya dove c’è un grosso e lussuoso lodge e dove c’è il vero ingresso al parco col centro visitatori, il campeggio e diverse strutture del parco. Per 30$ cad riusciamo ad imbarcarci su una lancia del lodge per fare quella che viene annunciata su tutti i testi come una gita memorabile: invece è la seconda sòla del viaggio, almeno per noi che abbiamo visto dall’acqua ben altro (nel Chobe ad esempio). Anzitutto la “crociera” pur durando due ore si sviluppa su un km scarso di canale non particolarmente bello ove si vedono bufali ed ippopotami (ma noi non ne possiamo piu’ di ippo!) ed una serie di uccelli, sinceramente ci aspettavamo molto di piu’. L’unica cosa che salva questa gita è la presenza di un leone maschio (che solo un occhio particolarmente esperto poteva individuare) letteralmente appollaiato sulla forcella formata dai rami portanti di una enorme euforbia. Il tutto purtroppo non fotografabile perché il leone, comunque molto lontano, si intravvedeva appena. Comunque il fatto che fosse su un albero ci ha fatto pensare che i leoni sugli alberi, per cui Ishasha è famosa, non sia una bufala. Al calar del sole, attorniati da violentissimi temporali, facciamo campo al campsite del parco attorniati da facoceri. Incredibilmente i temporali ci girano intorno risparmiandoci. Fatti 131 km tutti nel parco.

18 ottobre

Usciamo brevemente dal parco per andare a vedere le saline vicine al villaggio di Katwe.

La visita è molto interessante (10$ cad): si tratta di un lago salato dove da secoli si estrae sale che viene esportato anche in paesi abbastanza lontani da qui come il Sudan. Pare che nella stagione secca ci lavorino 5000 persone. Ora che è iniziata la stagione delle piogge c’è molto meno movimento pur rimanendo un posto assai animato. Rientriamo nel parco per fare il circuito dei crateri, niente animali (come preannunciato) ma spettacolo naturale fantastico. I crateri sono diversi l’uno dall’altro: chi ha un fondo di sole alte erbe, chi di foresta impenetrabile, chi un lago.

Usciamo quindi dal parco ed, attraversato la linea dell’Equatore (con l’immancabile foto ricordo), ci fermiamo a Kasese che è una grossa cittadina dove ripariamo la gomma sostituendo la camera d’aria e dove faccio aggiustare da un elettrauto (parola grossa per il simpatico tipo, peraltro bravissimo) le frecce che da giorni non funzionano e che in Africa, insieme al clacson, sono basilari per circolare nei centri abitati. Riprendiamo quindi il nostro viaggio, la temperatura non è elevata (circa 28/30 gradi) ma è molto umido. Finita la natura selvaggia siamo di nuovo in un contesto molto verde e coltivato, sopratutto banane della varietà che si coglie verde e si cucina per ottenere il matoke che è una specie di polenta che è la base della alimentazione degli ugandesi. A Fort Portal, che sta alla base del massiccio del Ruwenzori, alloggiamo al Golf Court guest house semplice ma pulita struttura ove sono tutti gentilissimi. Ci concediamo un ottimo gin and tonic (ottimo per festeggiare come avrete capito) ed un’ottima cena. Fatti 164 km.

19 ottobre

Ci svegliamo con la pioggia ma poi il tempo migliorerà fino ad un bellissimo pomeriggio. Ci dirigiamo verso il Semliki National Park, la terza e (per fortuna) ultima sòla di un viaggio nell’insieme straordinario. Dai 1500 mt circa della zona di Fort Portal, attraverso una scoscesa valle i cui lati sono tutti coltivati da contadini-scalatori ed ove stanno costruendo (cinesi o coreani) una enorme strada che condurrà a zone ove recentemente sarebbero stati scoperti importanti giacimenti petroliferi, si arriva ad un’altra depressione della Rift Valley, il lago Albert. La vista è veramente fantastica. In fondo alla discesa si prende a sinistra una pista che si addentra nella intricatissima foresta pluviale, immersi nella nebbia (che poi col sole si diraderà) e nell’umido. Alberi immensi, liane, alte erbe, sottobosco impenetrabile, fiori stupendi.

A questo punto chi legge si chiederà: ma la sòla dov’è?? Eccola: alla fine della discesa si arriva agli uffici del parco Semliki ove scopriamo che qui non è previsto alcun game drive (il giro del parco in auto attraverso varie piste per vedere gli animali) ma solo una brevissima passeggiata a piedi per la foresta pluviale con avvistamento di un paio di scimmie (che sono le bellissime black and white colobus) per arrivare ad una sorgente termale con acqua bollente su cui si possono cuocere delle uova (di cui i rangers sono forniti per lo spettacolo a pagamento).

Da notare che si fa un giretto nella foresta tanto per giustificare la presenza obbligatoria del ranger perché tra la sorgente e gli uffici ci sono si e no trecento metri che si fanno direttamente al ritorno agli uffici. Il tutto per la cifra di 28 € cad, veramente una sòla. Ritorniamo quindi sui nostri passi e al villaggio di Karugutu prendiamo il bello sterrato che ci porta al lago Albert, fino al villaggio di pescatori di Ntoroko, molto meno interessante dei villaggi del lago Edward e con gente che appare se non proprio ostile per lo meno non molto ospitale. Anche il lago è molto meno attraente degli atri specchi d’acqua visti fin qui, le acque sono alquanto limacciose ed i gigli d’acqua abbondano, segno che le acque non sono fonde. Si è fatto ormai pomeriggio, la luce è stupenda, alcuni temporali ci circondano, molti animali (gazzelle, facoceri e scimmie) animano la bella piana della Toro-Semliki Game Reserve. A sera siamo nuovamente a Fort Portal alla stessa guest house. Fatti 179 km.

20 ottobre

Lasciamo Fort Portal con tempo incerto ma con il massiccio del Ruwenzori ben visibile (cosa rara perché questa montagna è sempre avvolta dalle nuvole). Ordinatissime ed estese piantagioni di the ai lati della bella strada che porta alla capitale. Abbiamo almeno mezza giornata di anticipo sul nostro programma e cosi decidiamo di lasciare l’asfalto della strada principale per addentrarci nella bella campagna ugandese, dirigendoci dal villaggio di Kyegegwa verso la Katonga Game Reserve. Questa pista è bellissima per panorami, foreste, coltivazioni e vivaci villaggi. Il parco invece è sostanzialmente chiuso perchè le piste interne sono impraticabili dopo le recenti piogge. Dopo un lungo giro, a Lusalira ci si ricongiunge alla strada che porta a Kampala. Decidiamo quindi di fermarci a Mityana che è una cittadina che ci appare alquanto caotica e sporca, qui stiamo per fermarci all’Hotel Emirates che sembrava la soluzione meno disastrata ma poi ci rendiamo conto che il posto è veramente terribile con servizi igienici (in comune) che definire cessi è troppa grazia. Visto che non c’era neppure la promessa acqua ce ne scappiamo e scopriamo che poco dopo questo hotel (??) c’è l’Enro Hotel che a prezzo veramente modico offre ottime camere (due stanze per 28 €) con acqua calda in camera e ristorante piu’ che dignitoso e cortile sicuro per l’auto. Fatti 337 km.

21 ottobre

Una settantina di kilometri di strada molto rovinata ed intensamente trafficata e siamo a Kampala. Ad una stazione di servizio dedichiamo la giusta attenzione alla vecchia e gloriosa Toyota: cambio olio e filtro, filtro gasolio, ingrassatura, controllo e rabbocco olio cambio e trasmissione, incredibile aggiustatura mediante cucitura di un grosso manicotto che congiunge il filtro dell’aria al motore, pulizia accurata da acqua e schifezze varie accumulate nel prefiltro del gasolio di cui il 61 è per fortuna dotato.

Facciamo sistemare anche il vetro elettrico di Rosalba che non scende (ma in compenso sale) e che è così da tempo. Nel corso di questi vari controlli ci accorgiamo anche che abbiamo perso un bullone che ferma l’aggeggio che unisce la balestra anteriore allo chassis, balestra che così avrebbe potuto improvvisamente uscire dalla sua sede; il bravo meccanico sistema anche questo. Grazie sempre alla mappa di T4Africa attraversiamo abbastanza agevolmente Kampala, anche se molto lentamente per il caotico traffico, per raggiungerne la periferia verso il Lago Vittoria dove è la missione di Padre John che ospiterà la Toyota per i prossimi mesi (e noi per le prossime due notti). Oggi abbiamo fatto 76 km. per un totale complessivo di 4748 km.

22 ottobre

Mentre la vecchia Toyota meritatamente riposa noi giriamo un po’ per Kampala che offre veramente poco. L’unica cosa che appare meritevole di una visita sarebbero le tombe dei re dell’Uganda (il re, che ha una funzione puramente simbolica, esiste ancora) se non fossero bruciate completamente in tempi recenti e non ancora ricostruite.

23 ottobre

Da Kampala ad Entebbe per prendere l’aereo per l’Italia dove siamo arrivati il giorno successivo senza bagagli (che arriveranno dopo un giorno).

Gian Casati