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Tunisia CAP 180° NELL’ERG Orientale

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Robogabraoun
Originally Posted Friday, October 8, 2004

 

CAP 180° NELL’ERG ORIENTALE

Robo Gabr’Aoun

I quad mi precedono sulla pista verso il pozzo di Bel Haj Bhraim, su quella che un tempo era la via diretta per Ksar Ghilane, da Douz…Un tempo, perché oggi una nuova traccia è stata segnata, una super strada ben battuta che scende dritto dalla cisterna di Jebil sino all’argine di sabbia di Bab El Bhibane, lascia l’ebbrezza effimera di un piccolo cordone da superare per poi rilanciarsi, in un tripudio di ciottoli ben levigati fino alle pendici del vecchio forte Romano, a 4 km da Ksar Ghilane.

E per questa nuova via scendono i bolidi del Rally di Tunisia, con i loro ventri zeppi di 300 o 400 cavalli vapore, sfiorando le candide dune dell’Erg Zmileth…

Ci avviciniamo alle dune di questo Erg, ricordando le nostre traversate di tempo fa, nel labirinto di piccole barcane infide, goduria per gli iniziati alla guida su sabbia ed incubo dei neofiti, prive di corridoi e dal fondo talmente cedevole da sembrare farina. Eccole, superato il pozzo del nonno di Hedj, quel Bel Haj Bhraim che sarà per sempre ricordato dalla popolazione per aver donato alla comunità un pozzo ricco di linfa vitale.

Seguo le tracce dei quad, come zanzare danzanti sul mare ocra che si distende dinnanzi. Le radio crepitano le loro indicazioni e l’avanzare si fa semplice, con i ricognitori che filano ad evitare catini e buche, quasi sospesi sulle loro ruote troppo grandi, grottesche. Bab El Bhibane è raggiunta in un’ora di guida estasiante, in linea retta attraverso questo erg troppo spesso poco considerato.

Ed al cartello del mitico Cafè Bibhane iniziamo il viaggio vero, la nostra discesa a tutto sud fuori tracciato, a raggiungere le grandi guglie di sabbia di Zemleth Bhorma al di fuori di qualsiasi percorso conosciuto.

CAP 180 e via, dritti nella sabbia irta di cespugli, alla ricerca delle muraglie di El Midah, per affrontarle da nord, controvento.

La barriera si innalza improvvisa di fronte, 70 metri di cordone disordinato, una parete di piccoli panettoni di sabbia che deve essere scalata dal versante di caduta. E saliamo, sudando nei pericolosi traversi obbligati, ad aggirare le decine di creste minori che costellano la spalla cedevole del massiccio. Si scollina, scendendo sulla dura superficie compattata dal vento favorevole e subito un altro cordone e poi un altro ed un altro ancora: le quattro porte di El Midah, prive di chiavi se prese da questo assurdo versante, con le ruote che affondano nella leggera sabbia di riporto, e le piastre che fungono da passerelle effimere e quando le ruote le centrano si impennano come cavalli indomiti…Ma passiamo, e la pianura si distende di fronte a noi, e la percorriamo con un sospiro di sollievo, l’adrenalina ancora in circolo, sfiancati dalla tensione.

Via, oltre la piana, ancora a tutto Sud; ci inoltriamo nuovamente nelle dune, rasentando le aspre rocce di Dekamis, che vediamo scorrere a decine di chilometri ad occidente: scendiamo diretti, ignorando il passaggio usuale che porterebbe a sfruttare le pianure che si allargano intorno ai due picchi, il Grande ed il Piccolo, ricordando con nostalgia i cordoni splendidi che dalle montagne portano alle acque blu cobalto di Ain Ouadette…

Le colline di sabbia di Zemleth El Bidah ostacolano la nostra avanzata, con un bastione che scende come a perpendicolo, insuperabile. I quad cercano un passaggio lungo tutto il cordone, senza trovarlo. Rinunciare? Non se ne parla. E si sale per il canalone meno terrificante che troviamo, urlando insieme al motore al massimo dello sforzo. Insabbiamenti a catena, auto in bilico sui siouf, retromarce spaventose sul versante franoso contro vento. Tre ore di estenuante lotta, e quando tutte le auto stanno sulla cresta lo sguardo è appagato dall’infinita distesa di dossi dorati, che si perde a 360° tutto intorno a noi.

Corriamo tra le basse dune della pianura di Abd El Melak, sfiniti, svuotati. Il campo serale, il terzo dalla partenza da Douz, è silenzioso, come se anche la piana non intendesse darci fastidio dopo la giornata durissima. Non c’è vento, e ci rintaniamo velocemente, consapevoli del peggio che ancora dovrà venire. Ma inch Allah.

Il giorno inizia con la sabbia molle del Gassi che conduce alla base del massiccio sabbioso di Zemleth Toual, leggermente a sud est: impossibile scendere direttamente a sud, il fronte è davvero invalicabile. Costeggiamo la formidabile catena di dune seguendone la base, tra accumuli di sabbia disordinati, malevoli, che sembrano messi li apposta per rendere il nostro cammino impossibile.

Senza i quad non avremmo speranza, ci vorrebbero settimane solo per cercare a piedi i passaggi.

Pala’ ed Brasa e Dario Dromedario salgono e scendono dai cordoni in continuazione, macinando centinaia e centinaia di chilometri alla ricerca di passaggi al limite del delirio per i 4×4 impacciati dalle scorte d’acqua, cibo, carburante.

Dalle carte, dopo un intero giorno di lotta, siamo pressoché all’altezza di Gara El Melattah, 30 km più ad est del nostro campo…oltre il cordone pauroso c’è l’invitante pianura di sassi che aggira l’erg; valutiamo se sia il caso di cercar di scollinare ad oriente, il giorno dopo, ma no, non si può fare. Calcoliamo al millesimo le scorte di carburante, preoccupati del consumo quasi impossibile riscontrato nei nostri mezzi…i 4×4 hanno percorso in media 4 km con un litro, i quad poco di più, consumo triplicato! Proviamo ancora, ci siamo quasi.

La fine del vallone che costeggia Toual è un dedalo di dune alte, ancora controvento, ancora ripide.

I passaggi si susseguono lenti, ad ogni cresta perdiamo in media tre ore prima di essere tutti fuori dalla trappola…Ci inoltriamo nel corno di Erg che s’insinua nella piana di Bir Aouine, ancora 20 chilometri di inferno. All’ultimo cordone siamo costretti a scaricare le auto di tutte le casse, delle riserve, valutiamo persino se sia il caso di sbullonare le air camping dai tetti: è troppo ripido, troppo molle, troppo tutto. Ed invece, come per un miracolo, tutte le auto salgono sulla vetta, senza incertezze, senza dover fare altri tentativi…Anto porta su Camilla da sola, io in cresta a dare indicazioni per radio: arriva al primo gradone quasi al limite, sembra non farcela…Poi le ruote fanno presa e sale con un urlo di pistoni infuriati fino alla cresta. Siamo fuori…Siamo fuori!

La pianura di Bir Aouine è ai nostri piedi, dopo cinque giorni estenuanti, da cardiopalma…

Scendiamo fino alla pozza termale, zigzagando tra le graminacee sulla sabbia facile, ci sentiamo in vacanza dopo le muraglie dei giorni scorsi: poco più di 100 chilometri in cinque giornate da 10 ore di guida ciascuna, impressionante.

Il Campo è in festa, un tripudio di lampade, il vino che scende a fiumi nelle coppe di latta, a festeggiare la riuscita della traversata. Facciamo i bagordi ed il giorno successivo ce la prendiamo comoda, andando a zonzo per le grandi dune di Zemleth Bhorma, a piedi.

Ci resta appena gasolio e benzina sufficiente per arrivare a Kamour, sulla Pipe Line, 100 km più ad oriente. Ci arriviamo in un paio di ore, scavalcando la pianura stepposa fino alla pista dell’oleodotto. Riempite le pance vuote delle auto risaliamo velocemente a nord, verso Ksar Ghilane, lungo la grande pista: ci aspetta la diretta verso Tembaine, e la traversata da Jebil fino ad El Faouar, dritti attraverso le bianchissime dune del Chott….Ma questa è un’altra storia.

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