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«Ho scavato 100 pozzi nel deserto dove il mio Manuel morì di sete»
Como, l' impegno di Mario Rumi per aiutare i popoli dell' Africa
L' amore di un padre verso il figlio che un giorno partì per l' Africa e non fece più ritorno si è trasformato in una straordinaria missione umanitaria
DAL NOSTRO INVIATO LIPOMO (Como) - Prima ancora che il racconto di un miracolo, questa è la storia di uno straordinario amore. Quello tra un padre e un figlio, uniti dalla passione per l' Africa, dai silenzi immensi del Sahara, dalle desolate vallate del Niger. Un legame speciale che sopravvive, se possibile ancora più forte, a diciotto anni da quel giorno in cui Manuel in sella alla sua Yamaha rossa infilò tutto solo una pista del deserto e non fece più ritorno. Aveva 27 anni. Da allora la vita di Mario Rumi, il papà di Manuel, è diventata una missione. «La morte si sconta vivendo» ha scritto - citando Ungaretti - nell' incipit del libro dedicato al suo Tuareg. Lui la sconta con un instancabile impegno a favore degli altri, ma soprattutto aiutando quei popoli sfortunati dell' Africa che Manuel amava tanto. Nel 1991 ha costituito un comitato, diventato poi associazione onlus (di cui Rumi è direttore operativo), che ha come scopo principale quello di costruire pozzi d' acqua nel deserto: sono 94 quelli realizzati sino ad oggi. In Algeria, Niger, Benin, Burkina Faso, Ghana, Kenya, Mali Ciad e Tanzania. Un vero miracolo in un continente che, stando alle stime degli scienziati, entro la fine di questo secolo avrà un quarto del suo territorio prosciugato. «L' acqua più che mai in Africa, vuol dire vita», spiega Rumi. E portando la vita laggiù a lui sembra di dare un senso alla fine assurda di Manuel. La cameretta del figlio, nella taverna della villetta di Lipomo, è diventata la base operativa dell' associazione. Foto dei viaggi appese dappertutto, pile di libri, di diapositive, di ricordi. Per raccogliere fondi, Mario Rumi si è inventato di tutto. Realizza documentari, gira nelle scuole, scrive libri, poesie, organizza spettacoli teatrali, laboratori, un torneo di calcio, tiene un sito internet su cui si possono trovare tutte le informazioni sull' attività dell' associazione (www.manuelrumi.org). E poi continua a viaggiare. «Ogni volta che costruiamo un pozzo - dice - vado sul posto all' inizio dei lavori e ci torno alla fine». Per dieci anni almeno due mesi l' anno li ha passati su è giù per l' Africa, e anche adesso che l' età comincia a farsi sentire, non riesce a fermarsi mai. La scelta di dove realizzare i pozzi non è mai fatta a caso, ma in base alle necessità che vengono segnalate da una rete di «referenti». In Niger, per esempio, c' è un nobile tuareg che raduna i vari capi tribù e insieme scelgono dove è necessario il pozzo. Ma una delle prime opere realizzate, in mezzo al deserto, e proprio su quella pista algerina che da Bordj-Omar-Driss porta a Illizi, dove Manuel morì disidratato dopo che la sua moto si era fermata. Per la costruzione dei pozzi più semplici, quelli profondi da 7 a 20 metri, l' associazione si avvale della collaborazione dell' Amref (African Medical and Research Foundation). «In questi casi - spiega Rumi - noi pensiamo all' acquisto della pompa di aspirazione e al trasporto, loro allo scavo che viene realizzato pagando manodopera locale. Ma il lavoro più impegnativo è quello nelle zone in cui l' acqua si trova a profondità che raggiungono anche i 120 metri. Di questi pozzi ne abbiamo realizzati 34, e ognuno ci costa circa 25 mila euro». I pozzi, tutti costruiti lontano dai villaggi perché destinati a uso pastorale, vengono scavati a mano e quando si incontra la roccia, guai a impiegare l' esplosivo. «Lì - spiega Rumi - gli indigeni non lo usano. Per rompere la roccia buttano brace nello scavo e sopra secchi d' acqua. Con questo sistema si avanza 3-4 centimetri alla volta, quando lo strato da bucare arriva a sette metri. Ci vuole tempo e pazienza. Ma ogni volta che consegniamo un pozzo agli indigeni sentiamo di aver fatto qualcosa di concreto per aiutare questo sfortunato continente». Luigi Corvi La tragedia 18 anni fa Fu una catena di circostanze sfortunate a portare Manuel all' appuntamento con la morte. Quell' agosto del 1988 il ragazzo aveva deciso di attraversare in moto il deserto da Tunisi a Lomè. Il padre che doveva seguirlo in macchina si ruppe un ginocchio, all' amico che doveva sostituirlo si guastò l' auto. Manuel cercò un biglietto aereo per il Nepal ma i voli erano completi, allora partì lo stesso per il Sahara con l' amico Renato, che però alla frontiera algerina venne fermato: era senza visto. Manuel proseguì con un tedesco che però poco dopo ruppe la moto e tornò indietro. Manuel restò solo e quando la sua moto si bloccò non c' era nessuno a soccorrerlo IL COMITATO La cameretta del figlio è diventata la base operativa I CANTIERI Si lavora con manodopera locale e senza esplosivi
Corvi Luigi