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#86431 - 08/26/08 11:55 AM Re: Incontrare i TUAREG [Re: Lone Land]
raskebir Offline
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Registered: 12/29/02
Posts: 1414
Loc: Piemonte
Purtroppo la storia dell'umanità si dipana in modo ineluttabile, nuove culture man mano ne sostituiscono altre, può dispiacere veder scomparire usi e costumi legati ad una popolazione, però mantenerli in vita in modo artificioso sarebbe in fondo solo una finzione.

Come dice Lone, da parte nostra cerchiamo per quanto possibile di non contribuire all'estinzione di queste culture.

Nel recente viaggio in Namibia ho osservato con curiosità ed interesse gli himba incontrati per strada (bellissime le donne), ma non ho ritenuto opportuno intrupparmi nella visita organizzata ad un loro villaggio.



Edited by raskebir (08/26/08 11:58 AM)
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raskebir
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#86528 - 08/31/08 06:15 AM Re: Incontrare i TUAREG [Re: raskebir]
Administrator Offline


Senior

Registered: 12/09/01
Posts: 2328
Loc: Canada
Molto interessante questo tread.
Se non altro per chi ha una certa sensibilta' questa discussione potra' rappresentre un punto ri partenza per riflettere sulle ripercussioni delle sue azioni su altre culture.

Penso che ormai sia piuttosto difficile trovare tribu' "vergini" che non hanno mai visto "l'uomo bianco". Consigliereri lasciare questa attivita' a antropologi, che per quanto magari non sono molto diversi da noi possano documentare e lavorare in maniera scentifica l'approccio con tali popoli.

Lasciarli nella loro situazione e' anacronistico e i "mercanti" sono i primi normalmente a "soprire" tali popolazioni se possono trovare qualcosa di economicamente di valore da scambiare o depredare (avorio, oro, schiavi... la storia e' vecchia, oggi sono magari manufatti, maschere, (vedi le razzie nei paesi dogon)

La nostra cultura consumistica e sicuramente appetibile speciamente ai piu' giovani automobili, telecamere, macchine fotografiche, bibite fresche, dolci, fanno una certa leva sulle aspettative e sui valori.

E ridicolosamente e' ancora la nostra cultura consumistica che ha l'ossessione di trovare, documentare immortlare l'indigeno, l'aborigeno, il Dogon, il Tuareg, l'Himba,... metter sotto vetro un copricapo, una maschera, una collana, un oggetto che ci ricollega al mito dell'uomo "primitivo", una ricerca del "paradiso perduto", della vita collegati alla natura che viene vista in modo naif e idilliaco, mentre alla fine molte donne forse preferirebbero avere un rubinetto al villaggio invece che portare sulla testa i vasi con l'acqua.

Non ho una risposta ma ho molte domande, quando bambini ti corrono incontro chiedendo caramelle, penne o altro quale e' il comportamento da tenere ?
Per me dipende dalle circostanze, ad esempio nei villaggi normalmente i ragazzi dovrebbero essere a scuola, se li trovate in giro spesso e' perche' sperano di trovare qualche turista che gli da qualcosa da barattare successivamente.
Se in mezzo alle montagne un pastore mi viene in contro magari gli riempio la borraccia con dell'acqua. Cerco sempre di non fare regali inappropriati , se non in cambio di qualche servizio.
Comunicare spesso richiede tempo e pazienza, purtroppo mi sembra pratica comune "rubare" fotografie dalla vettura in movimento, senza neanche fermarsi e lasciando il malcapitato in una nuola di polvere. Non mi stupisce che la situazione si ribalti e il prossimo incontro di una un viaggiatore sia magari con un sasso scagliato dall'appiedato "indigeno" stanco di essere derubato della sua immagine.

Vi lascio con un bellissimo racconto di Leonardo Calconi,
Forse lo avete gia' letto quando a suo tempo lo avevamo lincato sul sito
buona lettura


Avere un problema


Finalmente Omar aveva un problema.
Erano passate dodici lune dal giorno che aveva lasciato le sue caprette, laggiù in basso nel Grande Reg del Mille Venti, per raggiungere il Passo-delle-pietre-che-bucano-gli-zoccoli dove con un dito poteva toccare tutte le stelle del cielo ed unirle con linee immaginarie nei misteriosi simboli del tifinar.
Già da cinque lune si era reso conto di avere realmente un problema.
Le prime sette le aveva spese cercando di scoprire se quella magnifica ed inquietante sensazione che progressivamente gli era entrata nel corpo fosse veramente un problema.
Problema.
Una parola che lo affascinava, gli incuteva paura per la sua enormità.
Una parola che si appropriava di ogni atomo del suo corpo quando la sera, attorno al fuoco, i capi ne parlavano con solennità.
Ognuno di loro aveva un problema. O più problemi se era un uomo importante. E ne parlava con gravità, quasi il problema avesse un corpo e un'anima. Il problema era l'essenza della vita, la ragione stessa dell'essere, in funzione del quale ognuno era sollecitato a dare il meglio di sé.
L'amrar, il capo dei capi, l'aveva del resto detto più volte rivolgendosi agli altri: ognuno di noi ha un problema. Avere un problema era segno di nobiltà, dell'essere imohar, l'uomo libero, di distinzione dai servi che non sono liberi e non hanno problemi.
Lui, Omar, piccolo e mingherlino, umile guardiano di capre, che problema poteva mai avere? Se avere è possedere, lui non aveva perché non possedeva nulla oltre la tunica marroncina di lana caprina ispida come un'acacia ed i sandali del colore del cielo che aveva trovato tempo addietro, abbandonati ai bordi della Grande Pista che porta a Nord.
Ah, che gran giorno quel giorno!
Quasi non voleva credeva ai suoi occhi nel percepire quella minima stonatura di colore nell'arancione infuocato della sabbia della grande pista, fumante di diafani miraggi nell'ora più calda di quella giornata d'ewilen.
Tra i fiumi della silice in liquefazione ondeggiava quella macchiolina visibile ad intermittenza, tra il c'è e il non c'è.
Incertezza di un segno che alle volte demarca con la sua estraneità al tessuto del deserto il confine tra la probabilità di una direzione qualunque e la certezza del nulla, tra la vita e la morte.
Quel giorno, assieme alle volute maligne del calore, si agitava un djenoun6 che trascinava nel suo vortice leggere volute di sabbia fine facendo affiorare, quel giorno per poco tempo e poi mai più per tutta la vita dell'universo sino alla sua fine, un paio di vecchi sandali di plastica azzurrina col tallone tutto consunto che chissà chi aveva chissà quando abbandonato proprio lì, dove Omar passava in quel momento e dove non sarebbe mai più passato per tutta la sua vita sino alla fine dei suoi giorni.
Per la prima volta in vita sua Omar aveva calzato una protezione sotto la pianta dei piedi.
Per molti giorni la felicità gli aveva oscurato i sensi, tanto da non accorgersi che lui con quegli attrezzi ai piedi camminava male e lentamente e che gli provocavano delle spellature tra le due dita più grandi. Poi i piedi impararono a muoversi assieme a quei due corpi estranei, le spellature si trasformarono in pelle scura e grinzosa e non gli dettero più fastidio.
Il tempo passò ancora e cambiò anche la pianta dei suoi piedi, che divenne più chiara e più morbida, tanto che nelle ore più calde della giornata non ne voleva sapere di stare a contatto diretto con la sabbia incandescente.
Ecco, grazie a quel fortunato ritrovamento di tante lune prima che aveva completamente cambiato la sua vita, ora lui, assieme alla tunica e ai sandali finalmente aveva anche un problema.
Per la verità soffriva un po' per il ginocchio destro, molto gonfio e bluastro, ma era felice.
Oh, come avrebbe desiderato essere al campo in quel momento!
Giunta la sera, consumata la semola e il tè assieme ai capi ma all'esterno della circonferenza che essi, seduti, descrivevano attorno al fuoco, lui avrebbe atteso che ciascuno iniziasse ad esporre il suo problema. Per tutti quasi certamente sarebbe stato lo stesso problema del giorno precedente, che era lo stesso del giorno prima, che era a sua volta lo stesso del giorno prima ancora. Dovevano passare tantissime lune prima che qualcuno potesse avere un nuovo problema. Ma non importava. Tutti avrebbero esposto il loro con solennità, col tono e coi gesti di sempre, e ne avrebbero discusso in comune con gli altri ogni aspetto. Ed anche se le conclusioni erano sempre le stesse, ne avrebbero parlato come se quella fosse stata la prima volta.
Omar avrebbe atteso ancora che ciascun capo, in ordine decrescente d'importanza, prendesse la parola ed esponesse il suo problema.
Poi , quando il fuoco fosse stato sul punto di spegnersi ed i corpi avessero iniziato ad assumere posizioni più adatte al riposo notturno, lui sarebbe entrato nel circolo con molta legna secca tra le braccia, avrebbe cavato dai tizzoni ormai scuri una bella fiamma gialla e crepitante, avrebbe allestito un nuovo bricco per il tè.
Sempre in silenzio, senza dir nulla, consapevole che gli occhi di tutti erano fissi sulla sua schiena e che questi occhi lo interrogavano silenziosamente sui motivi di quel suo strano agire, lui avrebbe continuato a rimestare la brace, a sistemare per bene il grande bricco di smalto verde in bilico tra i tizzoni.
E quando avesse percepito, pur senza guardar nessuno, che una bocca era prossima a muoversi per chiedergli conto di quelle azioni che nessuno gli aveva ordinato, ecco, allora lui, Omar, il piccolo capraio figlio delle dune, avrebbe destato in quei grandi uomini, padroni del più grande deserto del mondo, un'attenzione ormai corrotta dal sonno.
Si sarebbe voltato rispettosamente e con voce calma anche se un po' tremula per l'emozione, con gli occhi verso la sabbia per non sostenere tanti sguardi importanti, avrebbe detto: «Ho un problema.»
Ah se avesse potuto essere al campo stanotte!
Nelle ultime due delle cinque lune nelle quali aveva acquisito la consapevolezza del suo problema, ogni qual volta con lacrime di gioia pensava al campo e alla sua presenza al centro del circolo dei grandi capi, una strana ed estranea sensazione aveva cominciato a far capolino in mezzo a tanta felicità.
Si imponeva un'accurata analisi della questione perché Omar non era disposto a permettere ad alcunché di oscurargli quel sogno così a lungo inseguito e finalmente realizzato.
Dopo altre due lune giunse alla conclusione che c'era un problema nel problema.
Possibile che nel cielo per lui fosse scritto un destino così luminoso?
Possibile che lui, Omar, fosse giunto in sole 14 lune al punto di possedere ben due problemi?
14 lune.
Il tempo che occorre, dalle Montagne Parlanti dove lui si trovava, per raggiungere il Pozzo dello Spirito Nero.
L'unico posto dove, scavando con attenzione e con pazienza, era possibile trovare qualche ciotola d'acqua nel tempo che occorre al sole che sorge per mangiare ogni ombra sulle sabbia.
Due problemi!
Quando capi valorosi e discendenti da antiche e fiere famiglie portavano davanti al fuoco della sera sempre lo stesso problema che gli altri ascoltavano ormai solo per rispetto.
Doveva esserci un trucco.
Sicuramente uno dei Dijn più maligni si era insinuato nella sua testa passando dal naso, o dalla bocca, o forse dall'orecchio, organi che solo un'Imohar ha diritto di proteggere col lungo tagelmust.
Ed ora questo spirito malvagio lo stava ingannando.
Omar sentiva che qualcosa non andava, che una voce estranea gorgogliava parole incomprensibili dal tono minaccioso.
Il suo ginocchio era ormai grosso, tondo e liscio del colore dell'afeleleh ma non gli dava fastidio eccessivo. Certo, non poteva alzarsi, camminare, ma non ne aveva bisogno.
I suoi animali erano in giro, al sicuro su un buon pascolo, con acqua in abbondanza a poche lune di distanza.
Ma l'acqua era ormai poca per lui, che aveva bevuto in quantità eccessiva da quando sul Passo-delle-pietre-che-bucano-gli-zoccoli aveva deviato stupidamente e senza ragione di pochi metri sulla destra, inciampando, cadendo e rompendo il sandalo dalla parte della mano pulita.
Era nato il suo problema, forse due problemi, ma anche un gran caldo interno, più caldo del caldo del sole, che gli aveva seccato la bocca e la gola e che lo aveva costretto a bere come un uomo del deserto non fa mai.
Era l'acqua, dunque, il problema nel problema?
No.
L'acqua non è mai un problema per un uomo del deserto, imohar o schiavo che sia, perché un uomo del deserto sa sempre dove trovare, un attimo prima di morire, l'acqua necessaria alla sua vita e a quella dei suoi animali.
Ma il djenoun continuava a soffiare minaccioso nella sua testa.
Il suo piede privo di sandalo non avrebbe più camminato sui sassi aguzzi e taglienti del Passo che taglia come un colpo d'accetta le Montagne Parlanti.
La quindicesima luna faceva capolino dietro il Pestello di Allah dando inizio al nono tallit.
Quindici pietre tonde, perfettamente sferiche e dal caldo colore della terra rossa, erano disposte a semicerchio accanto a lui. Al suo polso il filo di cuoio rosso che lo circondava contava ormai quindi nodi.
Dal suo riparo poco distante dal Passo-delle-pietre-che-bucano-gli-zoccoli, un gran taffone liscio e curvo su di lui, Omar vedeva riflesso nel cielo il tenue rossore delle fiamme che, al di là delle Montagne Parlanti, aveva acceso la gente del suo kel venuta a cercarlo.
Ora che da due lune aveva terminato l'ultima goccia d'acqua contenuta nella sua pelle di capra e che aveva schiacciato sotto i denti l'ultimo nocciolo dell'ultimo dattero rimastogli, Omar riusciva a seguire i suoi pensieri con molta efficacia.
Come l'acqua scorre fluida attorno alle pietre dell'oued, irresistibilmente attratta dalla sabbia nella quale andrà a morire, così lui accarezzava i suoi pensieri, sfiorandoli attento con le mani del cieco che palpa un oggetto a lui sconosciuto per costruire nella sua mente un'immagine personale di ciò che non può vedere.
Il sandalo... il piede... il ginocchio... l'acqua... il freddo della notte che mordeva il suo corpo indifeso.
Sorrideva Omar, pensando a quanto privi d'importanza fossero questi singoli pensieri di fronte alla grandezza del suo problema che lui avrebbe portato in mezzo al campo in mezzo al circolo dei capi: trovare il miglior sistema per riparare il suo sandalo rotto.
Ma il dejenoun nella sua testa soffiava sempre più forte.
Ed il soffio prendeva sempre più il tono di una voce distorta e lugubre.
E poi la voce diveniva sempre più chiara e comprensibile.
E diceva che lui, Omar, capraio tredicenne figlio di un amore illecito durato il tempo di una luna breve, sarebbe morto entro sette lune, molte meno delle venti o trenta che sarebbero occorse alla sua gente per trovare, non distante dal Passo-delle-pietre-che-bucano-gli-zoccoli, una nicchia liscia e ricurva per la quale si passa una volta sola nella vita e poi mai più.
Morto col suo problema che nessuno avrebbe mai saputo essere esistito, per aver inciampato a causa dei sandali di plastica coi quali non aveva mai imparato a camminare bene, a pochi metri dal Passo-delle-pietre-che-bucano-gli-zoccoli dove nessuno passa mai, dove lui non sarebbe mai dovuto passare.

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#86557 - 09/01/08 05:10 PM Re: Incontrare i TUAREG [Re: Administrator]
raskebir Offline
Senior

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Loc: Piemonte
Alcuni anni fa in un viaggio in Tunisia mi accorsi di aver dimenticato a casa le ciabatte da doccia.
Ero a Tataouine, entrai in un negozio e ne uscii con un paio di splendidi sandali di plastica azzurra, sui quali era stampata la stella 3 punte che è il logo della Mercedes (per la verità c'erano anche ciabatte gialle con il logo Renault e logicamente costavano qualcosa meno).
Sono molte robuste ma anche pesanti, dopo quel viaggio non le ho praticamente più usate, pensavo di riportarle in africa e lasciarle al bordo di qualche pista perchè qualcuno le utilizzasse.
Ma dopo aver letto e meditato il racconto di Alvise anch'io ho un nuovo problema: non sono più sicuro che sia bene farlo......
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raskebir
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#86592 - 09/02/08 09:34 PM Re: Incontrare i TUAREG [Re: raskebir]
pyr Offline
Utente temporaneamente sospeso

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Loc: Segrate (MI)
Mah, voi vi preoccupante tanto per i Tuareg, che bene o male riescono a campare, nel senso che grazie al turismo e ai petrolieri tutto sommato si sono adattati. Certo, fate benissimo a lamentare una cultura in via di estinzione (ma certamente non è così per l'etnia). Ma tutto sommato i Tuareg sono dei "parvenu" del Sahara (i cosiddetti "Guerrieri libico-berberi", antenati degli attuali Tuareg, arrivarono nel Sahara, anche se non si sa bene da dove, solo nel 3500-3000 B.P.). Nel frattempo molte altre etnie e culture sahariane sono svanite nel nulla, in parte estinte a causa degli stessi Tuareg che notoriamente erano un'etnia di guerrieri e conquistatori. Quello che ci hanno tramandato queste antiche culture scomparse sono solo i graffiti e i dipinti che da molto tempo ci hanno affascinato e intrigato, e forse qualche tomba.

Credo che adesso stiamo per assistere alla definitiva estinzione dei boscimani di cui (almeno io!) non ho trovato più traccia in tutto il Botswana. Persino il villaggio pseudo-turistico di Tsodilho Hills è stato abbandonato e nessuno mi ha saputo dire dove sono andati gli ultimi abitanti.

Gli ultimi boscimani si erano autonominati pochi anni fa "The First People" per ricordare a tutti che loro erano gli unici abitanti originari dell'Africa australe e che la loro cultura risaliva almeno a 27.000 anni BP.

Evidentemente pochi o nessuno li ha ascoltati, preferendo la più comoda definizione di "The Harmless People".

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#86599 - 09/03/08 09:51 AM Re: Incontrare i TUAREG [Re: pyr]
louis Offline
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Loc: torino
A parte pochi (negozio tribale a Ghanzi o forse Maun), gli unici San li ho incontrati in Sudafrica a Kagga Kamma, in cui in cambio di alcuni servizi "stanziali" (scuola, assistenza medica) si offrivano alla vista dei turisti lavorando frecce e altro.
Vederli mi ha intristito molto più degli Himba.

So che sono stati cacciati pochi anni fa anche da un insediamento nel Central Kalahari NP dopo la scoperta di un'ennesima area diamantifera...

Sembra che anche in base ad analisi sulle mutazioni del DNA possa essere giustificata la loro definizione di "first people" (Le scienze, sett/08).

Sul discorso delle culture in estinzione però vorrei fare due considerazioni, non credo che tutti saranno d'accordo:

1. una cultura non va prevaricata ma lasciata vivere ed evolvere, anche aiutandola, ma:
2. una cultura deve essere vitale, come qualsiasi organismo; mantenerla artificialmente in vita è inutile

Questo si applica anche alle lingue, che sono solo un aspetto delle culture. Permettetemi di parlare di me: la mia madrelingua (il francoprovenzale / arpitano: http://it.wikipedia.org/wiki/Arpitano) è in rapida sparizione, per una serie di motivi inutili da citare qui.

La cosa mi rattrista, perchè significa anche la scomparsa di un mondo contadino/montanaro che l'ha originata, ma non so quanto sia possibile fare per salvarla, nè se sia "giusto" farlo a tutti i costi. Gli unici che vorrebbero tornare alla vita grama di una agricoltura di sopravvivenza sono quelli che non l'hanno provata.
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#86602 - 09/03/08 09:59 AM Re: Incontrare i TUAREG [Re: louis]
Lone Land Offline


Senior

Registered: 12/16/01
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Loc: Italia
Inizialmente inviato da: louis

Sul discorso delle culture in estinzione però vorrei fare due considerazioni, non credo che tutti saranno d'accordo:

1. una cultura non va prevaricata ma lasciata vivere ed evolvere, anche aiutandola, ma:
2. una cultura deve essere vitale, come qualsiasi organismo; mantenerla artificialmente in vita è inutile

..................
Gli unici che vorrebbero tornare alla vita grama di una agricoltura di sopravvivenza sono quelli che non l'hanno provata.


Difficile darti torto Louis...
Ho già scritto credo che i processi evolutivi del mondo passano anche attraverso la scomparsa (modifica) di culture e di etnie.
Quello che mi rattrista maggiormente è però il fatto che tali scomparse (evoluzioni?) sono precedute da un periodo di decadenza davvero penoso, che quasi sempre priva queste genti della loro dignità... \:\(
Personalmente preferisco fare di tutto per non partecipare (o peggio ancora essere incauto protagonista) di tale degrado.
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Lone Land
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#86604 - 09/03/08 12:05 PM Re: Incontrare i TUAREG [Re: Lone Land]
pyr Offline
Utente temporaneamente sospeso

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Loc: Segrate (MI)
Mi spiace, ma non sono d'accordo.

Sarebbe come dire che quando i Bantù o i Boeri arrivarono in Sud Africa sterminando e cacciando i Boscimani, i quali purtroppo non erano preparati ad opporsi a questi agguerriti invasori, bene hanno fatto a distruggere la loro cultura ed etnia, e non sarebbe etico intervenire, ma bisognerebbe lasciare che ineluttabilmente si estinguano.

O forse ho travisato il vostro discorso...

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#86607 - 09/03/08 12:50 PM Re: Incontrare i TUAREG [Re: pyr]
Lone Land Offline


Senior

Registered: 12/16/01
Posts: 5729
Loc: Italia
Inizialmente inviato da: pyr
Mi spiace, ma non sono d'accordo.
....................
O forse ho travisato il vostro discorso...

Per quanto mi riguarda temo proprio di si... \:\(
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Lone Land
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#86608 - 09/03/08 04:46 PM Re: Incontrare i TUAREG [Re: pyr]
louis Offline
Senior

Registered: 12/16/02
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Loc: torino
Inizialmente inviato da: pyr
...O forse ho travisato il vostro discorso...


Veramente ho detto che
Inizialmente inviato da: louis
1. una cultura non va prevaricata ma lasciata vivere ed evolvere, anche aiutandola


Voglio dire che è giusto proteggere anche energicamente il diritto ad esempio dei San di poter disporre di un territorio in cui possano vivere di caccia e raccolta, se lo vogliono.
Nel contempo è patetico creare riserve in cui imporre loro di vivere "secondo la loro cultura" se questa ormai non esiste più.
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#86613 - 09/03/08 06:07 PM Re: Incontrare i TUAREG [Re: louis]
pyr Offline
Utente temporaneamente sospeso

Registered: 01/20/03
Posts: 1014
Loc: Segrate (MI)
Scusate Lone e Louis, evidentemente avevo travisato i vostri post!

A quanto ne so ora i Boscimani stanno accusando Survival Int., colpevoli, a sentir loro, di aver fatto al governo del Botswana delle richieste inaccettabili e che ora loro ne subiscono le tristi conseguenze.

Una piccola notazione: non chiamateli "San" ma Boscimani, al contrario di quanto si creda "San" è un termine fortemente spregiativo in lingua Shona (???) che significa "cani".

Mi spiace ancora per il mio qui pro quo...

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