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Galateo sahariano a cura di Lorenzo Marimonti

– Posted in: Cultura, Flora e Fauna, Storia, Usi e Costumi

Originally Posted Monday, September 9, 2013

 

GALATEO SAHARIANO

di Lorenzo Marimonti

Si ritiene oggigiorno che il galateo (ossia la conoscenza e l’osservanza delle buone maniere) sia cosa superflua e decisamente “demodé”o meglio “out”, per usare una espressione corrente quanto banale. Non siamo d’accordo. Comportarsi correttamente, con cortesia, rispettando le opinioni ed il modo di fare del prossimo significa anzitutto accettare modi diversi di pensare e d’agire. Il che conseguentemente facilita la reciproca conprensione. Le cosiddette “buone maniere” si applicano naturalmente anche nei riguardi dell’ambiente naturale ed il fatto di non spargere dappertutto barattoli vuoti della Coca e mozziconi di sigarette è anzitutto un fatto d’educazione prima ancora che ecologico. Ed ecco allora un breve “Galateo sahariano” che può aiutare il viaggiatore nei suoi viaggi nel deserto a comportarsi proprio come un “vero signore”.

ACQUA – “Amman iman” dicono i tuaregh. Cioè l’acqua è vita. Viaggiando nel deserto non si dimentichino mai queste parole. Il turista che pretende di sprecare litri e litri d’acqua per superflui lavaggi non solo non capisce e non capirà mai cos’è veramente la vita nel deserto, ma spreca inutilmente un bene prezioso che per altri è “iman”, vita, cioè il contrario della morte.

BARAKA – E’ il destino, la strada scelta da Allah per noi e non ha senso cercare scioccamente di deviarla. Tutti gli uomini del deserto seguono la loro “baraka”, sempre di buon umore e con il sorriso sulle labbra, qualsiasi siano le circostanze, favorevoli o avverse. Una grande lezione da imparare.

CHECHE – Copricapo sahariano, sorta di turbante formato da una lunga pezza di cotone leggero, lunga da quattro a sette/otto metri e che avvolge il capo ed il viso lasciando liberi solo gli occhi. Secondo il colore ed il modo con cui viene annodato identifica la classe sociale del proprietario. Conoscere queste cose evita al turista clamorose “gaffes” delle quali poi i sahariani ridono per mesi e mesi nelle lunghe notti attorno al fuoco.

DJENOUN – (“Djinn” al singolare) Termine arabo per indicare gli spiriti maligni, i “kel-es-souf” dei tuaregh. Vivono principalmente nei vortici di sabbia che spesso il vento del deserto solleva ed avvita verso il cielo. Esorcizzarli protendendo la mano destra verso i l turbine in questione pronunciando a fior di labbra per tre volte la parola “Bismillai” (“nel nome di Allah”). Crescerete di colpo nella considerazione delle vostre guide sahariane che cominceranno e vedervi non più come un bizzarro essere che arriva da chissà dove e che si comporta in maniera incomprensibile.

ERG – Termine sahariano per indicare delle catene di dune che si propagano per grandi estensioni. Famosi per la loro complessità e bellezza l’Erg d’Admer, l’Erg du Tenére, il Grande Erg di Bilma, l’Erg Cheche, i Grandi Erg Occidentale ed Orientale. Le linee sinuose delle dune, specie all’alba ed al tramonto, sono di una bellezza e di un’armonia indescrivibili. Il “tè nel deserto” non è un’invenzione letteraria o cinematografica; i “figli della sabbia”, i sahariani, amano veramente salire le dune al calar del sole con tutto l’armamentario necessario per il tè e sorseggiare la calda e forte bevanda mentre il sole rosseggiante sparisce dietro le montagne di sabbia. Il turista che desideri salire una duna abbia l’accortezza di seguire una cresta: farà meno fatica che affrontare una delle ripide pareti e le sue orme saranno facilmente cancellate dal vento. Eviti di scendere a grandi balzi o rotolando per un pendio (siamo grandi dopotutto). Non lascierà così profonde ed antiestetiche tracce nella sabbia. I prossimi viandanti gliene saranno grati.

FENNEC – Volpiciattola sahariana dalle grandi orecchie e dallo sguardo dolce (Fennecus zerda). Offerto spesso in vendita ai turisti lungo le strade e piste tra Algeria e Tunisia ed incautamente acquistato e portato in Europa, vi conduce ivi una breve esistenza di sofferenza e di stenti per morire presto tra umide nebbie e con negli occhi un intenso dolore. A nessun sahariano in visita nei nostri paesi passerebbe nemmeno nell’anticamera del cervello di prendere un gatto o altro nostro animale domestico per portarlo a vivere tra le dune. Lasciamo il Fennec nell’ambiente che Allah ha per lui creato.

GHELTA – Sorta di cisterna naturale in genere in una grotta o comunque tra roccioni la cui ombra limiti la naturale evaporazione dell’acqua. E’ un punto d’acqua che può essere permanente o semipermanente ed il cui contenuto va utilizzato con la massima cura ed economia. Infatti, anche se gli immediati dintorni appaiono al neofita desolati e privi di tracce di vita umana, spesso le ghelte sono essenziali per la sopravvivenza di gente che nomadizza nella zona o per carovanieri che giungano da lontano e che ne conoscono esattamente l’ubicazione. Per essi trovare esaurita una ghelta che ritenevano ricca d’acqua può significare la morte.

HASSI – Pozzo in arabo. Scavato con fatica e pericolo (il terreno sabbioso può facilmente franare e seppellire chi vi sta lavorando) è uno dei grandi punti di riferimento del deserto. Giungere al pozzo dopo una lunga traversata sahariana (come quando si arriva a In Afellalah, a Tim Missao o all’Albero del Ténéré) è un momento sempre emozionante. Ci si avvicina camminando lentamente e con finta indifferenza, ma si getta subito giù uno sguardo per vedere a che livello è l’acqua, si fanno gli appropriati commenti e poi con calma si incomincia a tirare l’acqua. Quando il primo secchio affiora traballante e stillante di gocce che sembrano cosa viva, prorompe sempre una infantile allegria, si beve tra scherzi e risate, si commenta il sapore dell’acqua, si riempiono ghirbe e jerrican. Ci si lava anche un po’ il viso e la stanchezza è sparita. A una decina di chilometri a sud del pozzo di Isselan vi sono due tombe. Vi giacciono due cammellieri che nel 1980 non riuscirono a raggiungerlo. Ai loro piedi due tazze di ferro smaltato dai vivaci colori. I viandanti sahariani si fermano sempre, dicono a fior di labbro una preghiera, versano un po’ d’acqua nelle tazze, ultimo omaggio ai morti di sete.

INSABBIAMENTO – Costante incidente nei viaggi sahariani. Va preso con calma e filosofia. Se si cerca di uscirne senza le dovute cautele finisce che ci si insabbia sempre di più, si tocca con il ponte e con le balestre e diventa sempre più arduo liberare il fuoristrada. Bisogna invece fermarsi subito, spianare con la pala e con le mani il terreno, se necessario mettere le “scalette” sotto le ruote posteriori, innestare le marce ridotte e premere sull’acceleratore con la massima dolcezza possibile. I passeggeri devono scendere e spingere vigorosamente. Spesso (sembra incredibile) non lo fanno adducendo varie quanto inani scuse. Scadono in tal caso agli occhi dei sahariani presenti ad un livello infimo e dal quale non si risolleveranno mai più.

LAVARSI – Basta pochissima acqua usata accortamente. Un guanto di spugna ed un quarto di litro d’acqua permettono un lavaggio perfetto di pressoché tutto il corpo. Non si dimentichi poi che la sabbia è pulita e sterile e che di conseguenza non sporca. Lavarsi il viso solo ed esclusivamente con la mano destra essendo per i sahariani questa la mano dedicata alla pulizia della parte superiore del corpo. Ne consegue che la sinistra è per la parte inferiore. Se invitati a mangiare con i tuaregh evitare di toccare il cibo con la sinistra e portarselo alla bocca con questa mano. Cafoneria peggiore della nostra di tagliare pesce e frittata con il coltello.

MEHAREE – Termine della lingua francese, dal sahariano “mehari”, cammello da sella. Significa propriamente “viaggio nel deserto con cammelli”, diverso da “carovana” che è adibita solo al trasporto commerciale. Famosa la carovana dell’Azalai composta da centinaia di cammelli e che trasporta il sale dalle saline di Bilma e di Fachi attraverso le centinaia di chilometri del Ténéré. Spettacolo quanto mai affascinante ed ancora visibile ai giorni nostri, specie in Ottobre ed in Novembre. La “meharée” è invece un viaggio sahariano organizzato per turisti e per avventurosi viaggiatori ed è il modo più bello per vedere e vivere il deserto. Ci si sposta con ritmi antichi di millenni e ci si fa compenetrare lentamente dalla sottile malia del Sahara che troppo spesso sfugge all’affrettato passeggero del fuoristrada. Quando poi non è (horribile dictu) un partecipante o simpatizzante del Rally Parigi-Dakar, occidentale mostruosità inquinante di luoghi e di genti.

NULLA – Traduzione italiana del termine sahariano “ténéré”. Il “ténéré è il deserto più deserto che esista. Non un filo d’erba, non un albero (la famosa acacia che esisteva presso il pozzo detto appunto “dell’albero del Ténéré” ha avuto l’onore di essere segnata sulla Carta Michelin 1:40.000.000, dove 1 cm. è pari a 40 kilometri sul terreno), non la minima traccia di vita animale. Il “ténéré” per antonomasia è quello che si estende per centinaia di chilometri tra le falde sud-orientali dell’Air e la sponda sud-occidentale della falesia del Kauar, Più a nord c’è l’ancora più allucinante Ténéré di Tefassasset. La traversata del Ténéré è sempre un’emozione ed un’avventura anche per i sahariani più sperimentati. Va affrontata con preparazione e modestia, come si addice ad ogni impresa di un certo respiro. Il turista si immerga in questo mondo desolato ed affascinante ripetendo continuamente nella sua mente le parole di Balzac: “Le Sahara est Dieu sans hommes”.

OLEANDRO – Nei punti più umidi del deserto, specie presso certe ghelte, cresce inaspettato e rigoglioso l’oleandro che con le sue foglie verdissime ed i suoi fiori rosa intenso e bianchi ingentilisce la severità del paesaggio sahariano. Ma attenzione! Non lasciate che gli ingordi cammelli vi si avvicinino perchè le foglie della bella pianta sono fortemente velenose, come quelle grandi e carnose della “thora”, la Callotropis procera. La Natura le ha così difese dagli animali sempre affamati ed altere e verdeggianti sono un grato riposo per l’occhio del viaggiatore affaticato.

PALMA – Senza la palma non vi sarebbe l’oasi e senza l’oasi, sorta di isola in mezzo al mare, non esisterebbe vita umana in Sahara. Invece, da millenni, l’uomo ha imparato a trovare vene idriche pressoché inesauribili a ragionevole profondità. Con l’acqua ha irrigato la palma che gli dà i preziosissimi datteri ed alla cui ombra possono prosperare alberi da frutto, peschi, albicocchi, fichi, melograni. A terra l’abitante dell’oasi coltiva verdure e legumi. Per un viaggiatore la visita dell’oasi è fonte continua di stupore. Ogni centimetro è coltivato con cura, l’aria è fresca e piacevole e si sentono le tortore che tubano senza interruzione. Pochi metri oltre il limite dell’oasi rincomincia il deserto.

REDJEM – E’ un mucchietto d i sassi messo di fianco alla pista da precedenti viandanti ad indicare il cammino. E’ un punto di riferimento sempre gradito che aiuta la non sempre facile marcia nel deserto. Nei punti di più difficile orientamento spesso ci si ferma e si aggiunge un sasso a l mucchietto, gesto scaramantico per la buona continuazione del viaggio. Il turista neofita osservi questi gesti della gente sahariana: al suo ritorno nel nostro mondo convulso forse un giorno aggiungerà idealmente un sassolino ad un immaginario “redjem” urbano ad un difficile bivio sulla incerta pista della vita.

SILENZIO – Da “Sahara” di François Vergnaud: “…Un silenzio così corposo che viene voglia di morderlo. Questo silenzio pieno di sapori, di peso, non è un’assenza ma una presenza. Presenza di nessuno o cento o mille piccoli suoni. Musica concreta, dalla quale si può isolare ogni singola nota che a sua volta porta alla nostra mente un’immagine. La trama di questo silenzio ricamata da vaghi suoni o fruscii vi avvolge come un grande “burnus” di lana bianca: ci si sente bene, comodamente, in pace. Lo spirito vi si immerge con serena gioia: questo grande silenzio è catarico come una preghiera.”

TE’ – Impensabile il Sahara senza il té. Che viene fatto però in maniera completamente diversa dalla nostra. Ingredienti: té cinese verde a foglie intere, zucchero possibilmente a blocchi o a quadretti, se possibile foglioline di menta fresca. Attrezzatura: due piccole teiere panciute e con il beccuccio ricurvo e sottile, minuscoli bicchierini tanti quanti sono gli ospiti, legna dell’acacia rossa (“thala”) da cui ricavare rosseggianti braci. Escludere legno di tamerice (“ethel”) che dà troppo e sgradevole fumo. Il té, abbondantissimo, va fatto bollire a lungo in una teiera, poi versato nell’altra che contiene lo zucchero (abbondantissimo). Si continua, a versare da una teiera all’altra sino a che la mescolanza sia perfetta e si sia creata una spessa schiuma giallastra. Si versa nei bicchierini e si degusta con rumorosi schiocchi di labbra. Il “giro” viene effettuato tre volte facendo bollire sempre le stesse foglie. Ne consegue che il primo tè è il più forte, il secondo (con l’aggiunta di menta), il più gustoso, il terzo molto leggero, adatto a donne e bambini. Regole di comportamento: è offensivo bere il tè in piedi senza sedersi intorno al fuoco; salutare ed andarsene dopo il primo o il secondo senza attendere la fine della cerimonia, ivi compreso il lavaggio di teiere e bicchierini (fatto rigorosamente con la mano sinistra); non complimentare chi ha fatto il tè per la sua bravura e per l’aroma ed il gusto eccezionali. Il tè sahariano è forte, energetico e leggermente eccitante. Ritornati in Europa se ne sente per lungo tempo la mancanza.

UADI – Letto seccato di antichissimo fiume nel quale molto raramente ora scorre un po’ d’acqua in occasione di improvvisi temporali che possono essere distanziati di decenni. Quest’acqua è però sufficiente ad alimentare la falda sotterranea che dà vita a varia vegetazione che cresce nello uadi, luogo di vita permanente nell’aridità del deserto. “Uadi” è termine arabo. E’ “oued” in Algeria, “kori” in Niger, “enneri” in Chad.

VIPERA – Vivono in Sahara due specie di vipere: quella delle sabbie (Cerastes vipera) e quella cornuta (Cerastes cerastes), entrambe pericolose per l’uomo. Fortunatamente sono rarissime (è da sfatare la leggenda che dipinge il Sahara brulicante di vipere e di scorpioni pronti ad avventarsi sull’incauto viaggiatore), in letargo da ottobre ad aprile, di timide e notturne abitudini. Si rischia più la vita sull’autostrada Milano-Bergamo in una serata di nebbia che in anni ed anni in Sahara.

WHISKY – Ricordino i viaggiatori che la totalità dei sahariani è di religione islamica. Evitino dunque di bere alcolici ostentatamente in loro presenza, anzi è “bon ton” disprezzare whisky ed affini conversando con loro (salvo poi andare in tenda o dietro a dei macigni per farsi un goccio di salutare bevanda).

YALLA – Termine arabo (in lingua tuareg suona “tìkli”) che significa: andiamo. Lo si sente ripetere spesso dato che in Sahara si è sempre in movimento, grazie a Dio. Noi in Europa non siamo in movimento ma solo in agitazione perenne. Differenza di gran conto.

ZIP – Chiusura a lampo. In Sahara funzionano male, vuoi per la sabbia che le blocca, vuoi per il nefasto influsso dei “djenun” (vedi tale voce). Meglio allora dormire sotto le stelle ed addormentarsi con l’Orsa, il Cigno, Orione o le Pleiadi negli occhi. Già, le Pleiadi, “Chetahàd”, le Figlie della Notte, come le chiamano i figli del deserto.

 

2 comments… add one
Abdoul August 31, 2014, 23:11

Sono Abdoul, originario del Sahara, i miei nonni emigrarono dal Mali seguendo le carovane del sale. Mia nonna, una donna touareg che sposo’ e segui’ il suo uomo fino in Marocco. Oggi gestisco un’agenzia di escursioni nel deserto. E di solito, il regalo più grande che un viaggiatore riesce a lasciarmi e’ l’aver compreso il significato di questo galateo di cui parli. Il rispetto per la grande anima del Sahara il cui respiro ha soffiato sulle nostre culle di sabbia fin da bambini. Bessalama.

Armando Colagiacomo January 26, 2018, 08:55

Egr. Signor Abdoul, buon giorno.
Ho visto con interesse quanto qui riportato.
Vorrei chiederle una cortesia.
Mi potrebbe inviare una breve descrizione di un tipico fidanzamento berbero del sud Libia (il Fezzan)?
Le sarei veramente grato.
Se lo trova o ce l’ha in inglese o francese va bene lo stesso.
Grazie di nuovo.
Armando Colagiacomo

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