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Deserto Andino By Gaetano Passigato

– Posted in: Resoconti di viaggio, Sud America

By Gaetano Passigato
Originally Posted Thursday, January 3, 2013

 

 

Deserto Andino

“I giorni trascorrevano tutti uguali, in un’arsura infinita, un paesaggio spoglio di terra brulla e pietra dura che odorava di bruciato e di cenere di spino,dipinto con colori accesi dalla mano di Dio” (da “Ines dell’anima mia” di Isabel Allende)

Il romanzo della Allende parla della “conquista” del Cile e della traversata del deserto di Atacama, ma questa descrizione si può estendere a tutto il territorio che, dalla costa cilena, attraversa le Ande e si spinge per centinaia di chilometri fino alle “quebradas” e ai vigneti dell’Argentina. Territori arsi e difficili, dove la mancanza d’acqua, l’altitudine e la tenacia degli indigeni hanno messo a dura prova gli invasori spagnoli.

Dopo aver visitato, lo scorso anno, la Patagonia e la Terra del Fuoco (vedere report su questo stesso sito), ci è piaciuto proseguire quest’anno con la scoperta dei paesaggi andini di Argentina e Cile. Eravamo stati in passato sia in Perù (1985) che in Bolivia (2004). In particolare, la Bolivia ci aveva fatto scoprire i “salares” e i deserti di alta quota. Da questo punto di vista, l’Argentina presenta ambienti comparabili con quelli boliviani, abitati (sarebbe meglio dire “disabitati”) dalle stesse popolazioni indigene e con rilevanti tracce delle civiltà precolombiane.

 

L’itinerario

Nella mappa qui sotto, il tracciato dell’anello che abbiamo percorso in senso antiorario. L’itinerario ha fatto capo a Salta, città dotata delle infrastrutture necessarie (aeroporto, noleggio auto, attività commerciali) per avviare e terminare un viaggio di questo tipo.

Sono complessivamente 5400 km in diciotto giorni effettivi di viaggio, con prevalenza di strade sterrate. Il percorso è entrato in Cile attraverso il Paso de Jama (4200 m) ed è ritornato in Argentina attraverso il Paso de San Francisco (4700 m). Altra quota notevole si incontra al Paso Abra de Acay, lungo la Ruta 40, che con i suoi 4895 metri sul livello del mare è il valico stradale più alto delle Ande, ma è da notare che gran parte del percorso si è sviluppato tra i 3000 e i 4000 metri e che i valichi oltre i 4000 metri sono abbastanza frequenti anche se non sempre segnalati (è utile avere un altimetro per soddisfare la propria curiosità).

Qui sotto, la tabella con le distanze percorse ogni giorno:


giorno


descrizione


km rilevati


Quota (mslm)


notte

1

Salta > PN
Calilegua > Calilegua

228

447

Calilegua

2

PN Calilegua
(escursione) > Jujuy > Purmamarca

396

2324

Purmamarca

3

Purmamarca >
Humahuaca > Abra Pampa > Salinas Grandes > Purmamarca

348

2324

Purmamarca

4

Purmamarca >
Tilcara > Susques

193

3896

Susques

5

Susques > Paso
de Jama > San Pedro DA

336

2440

San Pedro

6

San Pedro DA
(laguna Miscanti e salar)

365

2440

San Pedro

7

San Pedro DA >
Antofagasta > PN Pan de Azucar

679

0

Pan de Azucar

8

PN Pan de
Azucar > Chanaral > Copiapò

224

391

Copiapò

9

Copiapò > PN
Tres Cruces > Paso de San Francisco > Tinogasta

553

1505

Tinogasta

10

Tinogasta >
Hualfin > El Penon

390

3400

El Penon

11

El Penon
(anello Volcan Galan)

347

3400

El Penon

12

El Penon
(campo de Piedra Pomez)

70

3400

El Penon

13

El Penon >
Antofagasta DLS > Salar de Arizaro > Tolar Grande

307

3500

Tolar Grande

14

Tolar Grande >
RP 129 > San Antonio del los Cobres

268

3775

San Antonio

15

San Antonio
DLC > Paso Abra de Acay > Cachi

149

2350

Cachi

16

Cachi > PN
Cardones > Cafayate

249

1683

Cafayate

17

Cafayate >
Quilmes > Cafayate

121

1683

Cafayate

18

Cafayate >
Salta

209

1152

Salta

 

 


5.432

 

 

 

La parte più interessante è sicuramente il tratto da Hualfin a San Antonio del Los Cobres (passando per El Penon, Antofagasta de La Sierra, Tolar Grande) che comprende la cosiddetta “Puna de Catamarca”: deserti di alta quota, salares, laghi, distese di lava, di cenere vulcanica e di pietra pomice. Questo era il motivo principale che ci ha guidato nella scelta del viaggio, e ne è valsa la pena.

Il percorso ha incluso anche due parchi nazionali con ambienti diversi da quello andino: il Parque Nacional Calilegua (in Argentina) e il Parque Nacional Pan de Azucar (in Cile). Il primo, nelle “Jungas” (o “selvas de nubiado”, ambiente di transizione tra la pianura e la montagna, coperto da foreste), ci ha dato poca soddisfazione dal punto di vista faunistico. Il secondo, che occupa un tratto della costa pacifica, merita una visita soprattutto per l’escursione in barca all’isola Pan de Azucar, che consente di vedere una grande varietà di uccelli marini (pellicani, pinguini e altri meno noti) e una colonia di pinnipedi.

Abbiamo fatto il percorso in senso antiorario sia perché le guide lo consigliano (ad esempio per il Paso de san Francisco e per il Paso Abra de Acay), sia perché volevamo tenere la parte più interessante (la Puna) alla fine.

Le tappe del viaggio sono state programmate sulla base dei luoghi di interesse, delle distanze e dei punti di sosta possibile. Le parti più interessanti sono descritte di seguito. Abbiamo fatto una certa fatica a trovare le informazioni essenziali in Italia, quindi crediamo che quanto riportato in questa relazione possa servire ai prossimi viaggiatori.

Le parti più turistiche, invece, non richiedono particolari segnalazioni. Sono sufficienti le mappe e le guide in commercio.

Il Paso de Jama e il Cile (quattro giorni)

La strada del Paso de Jama è un nastro impeccabile di asfalto, sia sul lato Argentino sia su quello Cileno. Partendo nel pomeriggio da Purmamarca, abbiamo sostato per la notte a Susques (a circa 130 km dal passo, sul lato argentino), unico centro abitato della zona, all’incrocio con l’attuale tracciato della Ruta 40. Lungo il percorso si valicano due passi rispettivamente di 4170 e 3800 metri e si attraversa la distesa abbacinante delle “Salinas Grandes”. Il poco traffico è composto principalmente da autotreni che portano in Argentina le automobili giapponesi e coreane scaricate nel porto cileno di Antofagasta. Il posto di frontiera Argentino è poco prima del passo de Jama, mentre il posto di frontiera Cileno (con la solita dogana che ispeziona rigorosamente tutti i bagagli) si trova a San Pedro de Atacama (200 km e 1800 metri più a valle) e serve per i passi Jama, Sico e per la frontiera Boliviana. In pratica, si può uscire dall’Argentina ed entrare in Bolivia senza passare il controllo Cileno.

Qui sopra, il Salar de Quisiquiro, scendendo dal Paso
de Jama (Cile)

Qui sopra, le Monjas de la Pacana, scendendo dal Paso
de Jama (Cile)

Oltre il passo de Jama, in territorio cileno, una strada perfetta si snoda in un altopiano che oscilla tra i 4200 e i 4700 metri. La deviazione verso Salar de Tara, che non abbiamo visitato per problemi di tempo, è
segnalata da delle grandi formazioni rocciose che si stagliano sul deserto di sabbia rossa (le Monjas de la Pacana). Più avanti, la strada costeggia per alcuni chilometri il confine boliviano, lasciando intravedere l’”altiplano” con la Laguna Verde e la laguna Blanca. Al bivio per la frontiera boliviana, abbiamo deviato verso il valico che attraversammo otto anni fa provenendo dal salar de Uyuni e dall’”altiplano”. Nulla è cambiato: la stessa baracca e la stessa bandiera stinta. A San Pedro de Atacama siamo scesi allo stesso albergo del viaggio precedente. Anche San Pedro non è cambiata molto in otto anni: la stessa periferia disordinata, la stessa fauna turistica giovanile, le stesse strade polverose, gli stessi cani, ovunque.

Da San Pedro, dove abbiamo sostato due notti, abbiamo cercato di vedere le cose non viste nel 2004 (se andate a San Pedro per la prima volta, vi serve più tempo). Abbiamo evitato i Geyser del Tatio e siamo andati alla scoperta del Salar de Atacama e delle lagune Miscanti e Miniques (“lagunas altiplanicas” a 4200 metri di quota, ai piedi dei due vulcani omonimi). Con il solito GPS, non abbiamo incontrato nessun problema di orientamento. Le strade non sono perfette, ma sono percorribili anche con un’automobile normale (le comitive dei turisti arrivano tutte con i Mercedes Sprinter).

Qui sopra, la Laguna Miscanti e il vulcano omonimo
(Cile)

Qui sopra, l’itinerario attorno al Salar de Atacama
(365 km)

Ma il vero deserto di Atacama (quello del romanzo di Isabel Allende) lo abbiamo trovato il giorno dopo, uscendo dal Salar omonimo in direzione di Calama. Da lì ad Antofagasta e poi giù fino a Copiapò è un deserto inospitale senza forme di vita naturale, animato solo da un numero infinito di miniere e dal mondo operoso che ci gira attorno.

La strada è ottima e permette di tenere medie di 100 km orari, ma i distributori di carburante sono rarissimi (in media, uno ogni 200 km). Vale sicuramente la pena di deviare e sostare una notte nel Parque
Nacional Pan de Azucar, dove si può pernottare in campeggio o in cabanas.

 

Parque National Tres Cruces (Cile) e Paso de San Francisco (un giorno)

Da Copiapò, per la RN 31 (il percorso internazionale per il Paso de San Francisco) si risale una valle rossa con un’insolita ricchezza d’acqua e, dopo una deviazione e un valico di circa 4700 metri dove soffia un vento fortissimo, si arriva al Parque Nacional Tres Cruces. Il parco inizia con la Laguna de Santa Rosa e si estende verso sud (Laguna Negra) per oltre cento chilometri. La zona è poco segnalata e completamente deserta. Abbiamo incontrato solo una volpe, in cerca di cibo facile, che si avvicinava con sicurezza alla nostra macchina.

La discesa verso la Laguna de Santa Rosa, sullo
sfondo il Nevado Tres Cruces (PN Tres Cruces, Cile)

La pista che riporta alla RN 31 per il Paso de San Francisco si individua con qualche difficoltà (le mappe cartacee sono poco dettagliate e anche la mappa nel GPS non indica nulla) e sbocca sulla RN 31 a monte del posto di frontiera. Bisogna scendere per circa 20 km fino al posto di frontiera per registrare l’uscita, e poi ritornare a salire per la stessa strada verso l’Argentina, che dista 90 km.

Questo tratto di strada è sterrato, con ghiaia anche profonda. Solo dopo il valico, sul lato argentino, la strada diventa impeccabile: una discesa di asfalto interminabile dai 4700 metri del passo fino ai 1500 di Fiambalà, tra rocce e ghiaie dai colori più incredibile e un’abbondante popolazione di vigogne. La nostra giornata è terminata a Tinogasta, a 553 km da Copiapò.

La Puna de Catamarca, da Hualfin a San Antonio del los Cobres (cinque giorni)

Hualfin è solo un piccolo villaggio con un distributore di carburante sulla Ruta 40, ma è anche il punto di partenza della RP 43, in parte asfaltata, che si inoltra nella Puna de Catamarca. La strada si snoda in un paesaggio straordinario, scavalca un passo di circa 4000 metri e scende alla prima oasi, El Peñon (m 3400), dove c’è il nostro alloggio. Abbiamo fatto base per tre notti nell’Hosteria de Altura el Peñon, una struttura con 10 stanze estremamente ospitale e curata, di proprietà di un italiano (Fabrizio Ghilardi, in queste zone lo conoscono tutti). Il personale dell’hosteria organizza anche le escursioni nei dintorni (vedere www.socompa.com) ed è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie anche per il viaggiatore autonomo. Raccomandiamo le escursioni al Volcan Galan e al Campo de Piedra Pomez.

A El Peñon non c’è carburante. Bisogna andare nel villaggio più vicino (Antofagasta de la Sierra, a 60 km), dove la pompa è spesso fuori servizio ma alcuni abitanti (“particulares” cioè “privati”) hanno le scorte e le
vendono a prezzo maggiorato (1.3 Euro al litro invece che un Euro come alla pompa).

Il percorso per il Volcan Galan parte da El Penon e si può estendere fino al Salar de l’Hombre Muerto per realizzare un anello di circa 350 km (“la vuelta del Galan”) che sale fino a 4700 metri di quota, richiede tra
le 10 e le 12 ore ed un automezzo a trazione integrale. Nell’ordine, si incontrano: Laguna del Cavi, Laguna Grande, cratere del Volcan Galan, Laguna Diamante e sorgenti termali (nel cratere), Farallones Los Tobas del Rio, Salar de l’Hombre Muerto, RP 43, Antofagasta della Sierra. Anche se si possiede il tracciato GPS del percorso (come avevamo noi), è comunque consigliabile farsi accompagnare da un “baqueano” (persona del luogo che, pur non essendo una guida patentata, conosce il territorio). Il percorso ha alcuni punti assassini, per esempio dei corsi d’acqua in avvallamenti profondi trasversali alla pista che si vedono solo all’ultimo momento e nei quali si può cadere rovinosamente quando si viaggia a 60 km/h. Jaime, il nostro “baqueano”, conosceva la pista come le sue tasche ed era un ottimo navigatore. Il personale dell’Hosteria El Peñon può mettervi in contatto con Jaime o con un suo collega per un costo di circa 50 Euro al giorno. Il percorso attraversa paesaggi straordinari e nessuna fotografia riesce a rendere loro giustizia.
Colori, superfici, luce e solitudine. Solo a sud si incontra qualche recinto (corral) per la pastorizia stagionale e a nord qualche miniera ancora in esercizio. Il cratere del Galan è un’immensa conca (circa 30 km di diametro) che contiene anche la laguna Diamante e una sorgente di acqua bollente.

 

Verso la laguna Grande, sulla pista per il Volcan
Galan (Argentina)

Laguna Grande, sulla pista per il Volcan Galan
(Argentina)

Formazioni rocciose, sulla pista per il Volcan Galan
(Argentina)

Il cratere del Volcan Galan, una conca di origine
vulcanica larga 30 km (Argentina)

Per il campo de Piedra Pomez, che abbiamo visitato il giorno seguente, ci sono circa 25 km di sterrato dal bivio sulla RP 43 (dopo 9 km da El Peñon). Non è necessaria la guida, soprattutto se si ha il tracciato GPS. Il percorso, dopo l’attraversamento di un deserto lunare, sale su una specie di argine e si affaccia sulla distesa di pomice: un mare di rocce bianche e rosse, orientate lungo una direzione prevalente, che da lontano sembra un’enorme seraccata. Si può arrivare in auto fino al margine della “seraccata” e camminare tra le rocce, scavalcando le onde lavorate dal vento. Dopo la distesa di pietra pomice, la pista continua e consente di arrivare alla Laguna Carachi Pampa e al vulcano omonimo. Noi siamo ritornati per la stessa strada. Ci rimane il ricordo di un paesaggio che, con i vulcani, la lava, la cenere immacolata ci ha trasportato indietro nel tempo di qualche milione di anni.

 

Verso il Campo de Piedra Pomez (Argentina)

Formazioni di pietra pomice nel “campo” omonimo
(Argentina)

Da El Peñon, la RP 43 prosegue per Antofagasta de la Sierra (60 km), dove finisce definitivamente qualsiasi traccia di asfalto. Da lì si può andare direttamente al Salar de Pocitos e San Antonio de Los Cobres per la RP 43 oppure deviare per Antofalla e il salar de Arizaro fino a Tolar grande (la nostra scelta). 

La pista da Antofagasta a Antofalla è deserta di umani ma popolata da numerosi vigogna e lama. L’ultimo tratto si apre sul Salar de Antofalla, verso cui scende con ripidi tornanti. Antofalla è una piccola oasi in una valletta ai margini del salar omonimo: nonostante siano solo poche case, c’è la scuola, la sala civica e un punto di assistenza medica con l’ambulanza. Anche da Antofalla al Salar de Arizaro, non abbiamo incontrato nessuno. La pista percorre un lungo falsopiano (oltre 30 km) coperto da erba gialla fino al Salar de Arizaro (il secondo del Sudamerica per estensione dopo quello di Uyuni). Sul bordo meridionale del salar si trovano una miniera di opale e il Cono de Arita, un perfetto cono di lava che sorge dalla superficie
ruvida e grigia del salar (niente a che fare con il bianco levigato del Salar de Uyuni).

La pista che attraversa il Salar de Arizaro arriva a Tolar Grande, un pueblo polveroso con alcuni ruderi di “archeologia industriale” (la stazione abbandonata del treno per il Cile). Abbiamo trovato l’ultima stanza disponibile nell’Hostaria Municipal, una struttura appena inaugurata e dotata di tutto quello che serve al viziato turista europeo. In totale sono 390 km da El Peñon.

Salar de Antofalla (Argentina)

Il Cono de Arita nel Salar de Arizaro (Argentina)

Ripartendo da Tolar Grande verso san Antonio de los Cobres, si può osservare il tracciato della ferrovia che un tempo congiungeva Salta con Antofagasta (in Cile). E’ impressionante vedere il piccolo solco delle rotaie che taglia i pendii delle montagne per mantenere una pendenza ridotta e costante. Anche la strada per San Antonio de los Cobres attraversa paesaggi notevoli, in particolare fino al Salar de Pocitos. Da lì, come suggerito dalle guide, abbiamo preso la RP 129 che, con percorso meno diretto ma più spettacolare, passa per Santa Rosa de los Pastos Grandes e scavalca un passo di 4800 metri prima di ricongiungersi con la RN 51 per il Paso Sico (frontiera Cilena) a pochi chilometri da San Antonio de los Cobres.

San Antonio de los Cobres è un paese polveroso con molte case in adobe ma che, rispetto alle descrizioni delle guide e alla solitudine dei giorni precedenti, ci è sembrato vivace e attivo.

 

Da San Antonio del los Cobres a Cachi, per il Paso Abra de Acay (un giorno)

Questo tratto della Ruta 40 (siamo attorno al km 4500) unisce l’altipiano desertico di San Antonio de los Cobres con le più ospitali e turistiche Valles Calchaquies passando per il passo Abra de Acay, il più alto valico stradale delle Ande (4895 m). Sul lato nord la strada sterrata copre i circa 1000 metri di dislivello con una pendenza regolare nel paesaggio tipico dei valichi andini, mentre sul versante sud, tra il passo e Payogasta ci sono circa 2300 metri e il tracciato della strada ricorda di più i nostri valichi alpini, con tornanti stretti e cigli strapiombanti (ovviamente senza asfalto e senza protezioni). Nella zona del passo abbiamo incrociato solo due auto, una delle quali a fianco della strada con la gomma a terra. Solo avvicinandosi ai primi centri abitati delle Valles Calchaquies, il traffico diventa più intenso. Dopo Payogasta ritorna l’asfalto, compaiono i turisti e finisce la poesia.

La discesa dal Paso Abra de Acay verso sud
(Argentina)

 

La cartografia e le guide

Per quanto riguarda la cartografia, non abbiamo trovato molto né in Italia né sul posto: solo carte a piccola scala con scarsi dettagli. Anche quest’anno è stata fondamentale la cartografia elettronica di Projecto Mapear (per Garmin), scaricabile gratuitamente da internet (www.proyectomapear.com.ar): è stata utile sia in campo (nel GPS) che durante la programmazione (sul PC portatile) perché consente di verificare le strade, le piste e i punti di interesse (esempio i distributori di carburante) meglio che sulla cartografia cartacea disponibile.

Per quanto riguarda le guide, a parte la Lonely Planet che in questa zona non è di grande aiuto, abbiamo trovato sul posto (Salta) alcune guide locali in spagnolo, in particolare la Guia YPF – Noroeste (editore YPF S.A. Buenos Aires), molto dettagliata e aggiornata sia sulla viabilità che sulle attrattive turistiche, sugli alberghi e sui ristoranti.

Per la ricerca e la scelta di alberghi e ristoranti, il riferimento è stato internet, con i siti come Trip Advisor e analoghi, dove si trovano informazioni anche sui luoghi più sperduti. Tra l’altro, in Argentina e Cile l’internet wi-fi è disponibile praticamente in tutti gli alberghi e pensioni, anche nei più modesti e remoti (meglio che in Italia).

 

L’automezzo e il carburante

Abbiamo noleggiato l’automezzo a Salta: una “camioneta” Toyota Hilux molto spartana (con specifiche da miniera, senza ABS, telecomandi, vetri elettrici, ruote in lega e altri capricci), ma che non ha mai tradito (non abbiamo mai aperto il cofano) e che è molto diffusa (le gomme 205/80/16 si trovano anche nei villaggi più sperduti).  Il nostro noleggiatore è stato Perfil Rent a Car (www.perfil-rentacar.com.ar), che ha prezzi abbastanza contenuti sul mercato locale (che in generale ha prezzi alti). Si consiglia di farsi dare una seconda ruota di scorta e di registrare l’usura degli pneumatici alla consegna della vettura, per evitare discussioni nel caso di sostituzione per danneggiamento (cosa abbastanza probabile).

Il noleggiatore non ci ha voluto dare taniche per la scorta di carburante (ha affermato che sono vietate dalla legge e che la polizia le avrebbe sequestrate). Noi abbiamo gestito i pieni con prudenza (per esempio
fare il pieno ogni volta che si incontra un distributore, non è detto che il successivo sia fornito) e ce la siamo cavata con l’autonomia dell’Hilux, che consuma relativamente poco (700-800 km con un pieno).

 

Questo è tutto. Per informazioni più dettagliate, scrivetemi.

 

Gaetano Passigato, Mezzane di Sotto (Verona), gae.passigato@gmail.com

 

 

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