Sahara.it

Sahara.it

il sito dedicato al sahara, alle sue genti ed ai suoi viaggiatori

Diario semiserio di un viaggio in Marocco By Paolo Conti Giuseppe Viesti Juri Radicchi Sauro Conti

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Paolo Conti Giuseppe Viesti Juri Radicchi Sauro Conti
Originally Posted Wednesday, August 18, 2004

Diario semiserio di un viaggio in Marocco

aprile 2000

Prefazione

Sono felice che le mie indicazioni ed i miei punti GPS, utilizzati per questo moto-tour,abbiano permesso a questi ragazzi di incontrare l’Africa, respirarne l’essenza,amarne gli uomini.La Madre Africa è ora anche loro madre. La mia esile traccia è stata punto di partenza ,ed ognuno di loro ha poi tracciato la propria…

E questa, per me, è la gioia più grande.

ROBOGABRAOUN

“I ricordi sono come perle, o sassi, o piume leggere. Dipende da come li infiliamo nella collana della nostra vita. Alcuni volano come se non fossero mai stati, altri schiacciano l’anima con il loro peso, ma poi ci sono quelli che rimangono come gioielli preziosi in quel soffio stupido magnificamente irripetibile che è la nostra vita”

 

 

22 Aprile 2000: Nave Marrakech

(Paolo) Un affitto non un semplice biglietto.

Siamo qui sulla Marrakech, la nave che sposta i marocchini da Seté (FR) a Tanger (MA), è il secondo giorno di viaggio in mare, il primo ci siamo imbarcati nel primo pomeriggio dopo aver passato la mattinata in moto; venivamo da Arles in Provenza. Arles: una bella cittadina dominata dal grande anfiteatro romano, siamo capitati proprio nei giorni della feria, festival di corride e toros che la città vive con sincero entusiasmo per tutti e quattro i giorni. Si canta si balla e si beve pastis 51 fino a tarda notte.

La sera ad Arles eravamo veramente stanchi, avevamo fatto quasi 700 Km: Firenze-Genova-Cannes-statale sul mare S.Raphael-Aix en Prov.-Salon-Arles. Siamo partiti verso le dieci da S.Casciano e non c’era più tempo per l’annunciato “prologo” Spedaletto-Bardella off-road,

(Juri) Così Paolo è arrivato ultimo visto che il prologo si è svolto su asfalto, ma giura vendetta sul primo sterro…

Il trasferimento autostradale è stato come doveva essere: noioso, caro e spacca schiena, ma è servito a prendere confidenza con le moto in versione Africa; soprattutto con le gomme Desert che nonostante le proteste del portafoglio abbiamo montato tutti per la gioia del nostro fido gommaio DIOnisio (ma in Marocco ci sarà un gommaio ALLHAnisio?)

Appena incontrati è partita la sfidina al bagaglio più tekniko: c’era Beppe detto “il salumiere” per il suo aspetto sano e colorito ma soprattutto per il suo bagaglio: una mortadella chiusa in budello stagno rilegato in elastico naturale. Il “Capitano Kirck” Sauro Conti dopo il lungo restauro della sua Cosmomoto, che lo ha portato ad abbandonare moglie, figli (?) ed una raggiante carriere da barista, si è presentato con una sacca di unmetroetrenta dal misterioso contenuto (calzini?, mutande? Fazzoletti? Accendi?…)

(Paolo) Juri con la Dark Fenner all’apice della sua vita sessuale, in ottimo stato ma ormai incalzata dalle ultime novità tecnologiche cerca un rilancio in terra d’Africa per riaccendere la fiamma della passione con il suo cavaliere.

(Juri) Paolo non si è schiodato dal solito TT (due palle!), il mondo va avanti ma lui nega sapendo di negare. Nonostante le numerose pressioni di Marco Rigo e della Belgarda lo ha lasciato tutto di serie escluso un bel portapacchino artigianale, la cui realizzazione gli ha tolto il tempo di farsi la barba, i capelli, e di curarsi gli sfoghi cutanei.

(Paolo) [dichiaro di fronte a tre testimoni di farmi i capelli da un barbiere marocchino.

In fede

Paolo Conti

 

(Juri) Adesso siamo qui su questa nave piuttosto dignitosa nonostante le cabine-loculo senza finestra e si respira già Africa…

23 aprile: Tangeri

(Paolo) Si respira già Africa assai quando sbarchiamo. Prima ci intossichiamo ben bene a benzene e piombo nella stiva causa la smania di sgasare dei marocchini ancor prima che la nave attracchi poi un rapido controllo al passaporto mentre tocchiamo terra e via verso la dogana, dove i poliziotti o simili ci fanno cenno di scorrere via veloci, magari inpennando…

Ma noi dobbiamo fare l’assicurazione alla roulotte! Cioè alla moto, ma si fa alla roulotte, per la moto senza traino… Il “campeggiatore” dell’ufficio ci chiede la carta verde che ci dovevano aver dato alla frontiera… Carta verde? Frontiera? Ci dovevano dare? Ci dovevano dare!

Ritorniamo indietro. CAOS!.

La frontiera è un qualcosa che delimita un territorio in maniera precisa e chiara: un muro, un fosso, una cresta montagnosa, un fiume. Qui la linea di frontiera ha uno “spessore” che varia da 60 a 100/150 m, a seconda della voglia di sole dei sostenitori del M.L.D.S.B. (Marocco Libero Dalla Soffocante Burocrazia)

Per fortuna c’è uno sciame di benefattori che esibiscono tesserini con scritto: scrivano pubblico

Qualcuno non ce l’ha, lo ha lasciato a casa, ma si sa sono sempre di fretta…

Questi tipi sembrano avere il monopolio delle carte verdi e quindi il turista è costretto a passare dalle loro mani e dalle loro tasche. Il tipo ci compila il modulo poi, con la sua supervisione, ci manda allo sportello dogana, un malconcio container con due tavoli in formica scortecciata e tre sedie mangiate dai cani ed un computer (acceso!)

Aspettiamo circa un’ora, i nostri passaporti passano le mani di diversi poliziotti, Juri segue attentamente tutte le mosse, ma nonostante l’esperienza acquisita dal suocero prestigiatore questo è qualcosa di più del gioco delle tre carte. Hanno tutti il baffetto, quasi tutti magri e vestiti di azzurro con l’uniforme. Aiuto! Non capiamo più a chi abbiamo dato i passaporti!! Per fortuna abbiamo il nostro scrivano che ci tranquillizza. Ahh che fortuna aver incontrato quest’uomo, e poi proprio qui, alla frontiera dove ce ne era bisogno!

Eh ma qui non si scherza, qua siamo alla Frontiera, qua i nodi vengono al pettine! Sulla carta verde di Juri c’è qualche problema, un numerino che non torna. Il sant’ uomo pubblico prende Juri e lo porta alle “alte sfere” del piano superiore, rassicurandolo che quel numero è solamente…falso (?)

“L’onnipotente” taglia tutta la fila e attacca la segretaria da dietro, il dialogo si scalda. Quella sana sicurezza che gli riempiva la faccia sembra allentarsi. Juri trema. Ha paura che possa rimettere il mandato. Ma con un colpo i reni e di Dirham riporta a valle anche l’ultima carta verde. Holè!

Attraversiamo Tangeri dopo aver passato il terzo fermo dei poliziotti. Che pignoli. La città di primo impatto mi ricorda le città portuali del Venezuela, unte e polverose, ricche di uomini che affollano i numerosi bar con il piccolo salone buio ed il tavolo da biliardo stroncato. Le strade che dal porto si dirigono verso le maggiori città sono belle larghe, gli incroci grandi piazze rotatorie con “stupefacenti” obelischi in cemento armato. Non abbiamo tempo per visitarla ma di certo non ci viene voglia. Usciamo in direzione Chefchauen costeggiando dei piccoli villaggi in mattoni. Qualcosa mi dice che sia stato seguito una sorta di piano regolatore per la loro costruzione. La campagna è meravigliosa, la luce del primo pomeriggio illumina le colline con forza ma con rispetto. La temperatura è ideale, la strada ottima, sempre larga sale la montagna verso il Rif. Che bella montagna, un po’ rocciosa ma subito sotto le colture ordinate, pulite, tanti olivi, qualche mandarino e poi i campi di grano. Mi colpisce una ragazza con dei vestiti caratteristici assai colorati. È molto giovane, ha un bel colorito ed è bella, sta lavando i panni nel fiume anzi in un bel torrente pulito e sassoso. È un’immagine d’altri tempi. Saliamo al paesello dove via via incontriamo i venditori di fumo che con qualsiasi scusa cercano di fermarci. Ne carico uno e lo porto fino al paese che decisamente non è dei più accoglienti. Torniamo sulla strada principale e ci fermiamo a mangiare. Sembra di essere nel far west, un bambino ci accoglie con molta attenzione, sembra agli inizi con i turisti e non conosce molto il francese. Due uomini stanno dietro ad un banco della carne, lì a pochi passi dalla strada. Il bambino ci invita a vedere la cucina, forse per paura che ce ne andiamo visto che non riusciamo a capire cosa possiamo mangiare. Io e Beppe passiamo sotto il banco ed entriamo in cucina dove accanto ad un letto c’è una bella signora che ci mostra il menù: una zuppa di montone e delle patate pronte per friggere. Accettiamo. Ci sediamo fuori con un sole battente ed il ragazzino che cerca di parlare con noi per farci piacere e noi che tentiamo di fare lo stesso senza troppo successo. Ripartiamo per Fés fra stupendi paesaggi ed un strada ricca di saliscendi. Arriviamo di notte e subito siamo catturati dal solito ragazzino-guida. Non reagiamo e ci facciamo consigliare, d’altra parte… “consigli per gli acquisti”.

(Juri) Qui iniziamo a fare conoscenza con il primo dei cinque elementi che da ora in poi saranno una costante. [1] Tizio similguida® (falsa guida che esibisce abbonamento ATAF al fine di provare la buona fede) che si prodiga per trovarti tutto quello di cui hai bisogno e soprattutto tutto quello di cui non potrebbe fregarti di meno. Il ragazzino ci fa vedere un primo alberghetto decisamente troppo africano, ma non c’è problema ci porta subito ad uno un po’ migliore e se non dovesse andar bene ha già una lista pronta. Va bene questo. Albergo Errabia, un po’ fuori nella città nuova. Il ragazzo non vuole soldi ma domani ci porterà a vedere Fés-el bali (la città vecchia) e stasera pure a mangiare in un bel posticino marocchino per marocchini.

24 Aprile: Fès – Foresta di cedri

 

Eccoci qua, lavati e vestiti da “turisti a piedi” pronti per visitare la medina più famosa del Marocco: 2500 vicoli, patrimonio dell’umanità, protetta dall’UNESCO ed impossibile non perdersi senza guida. Ma tanto noi abbiamo il nostro bel ragazzo-guida che ci mostrerà il cammino. Ci fermiamo a fare colazione in una pasticceria con paste marocchine ma conto italiano. Nella piazza di fronte ci sono dei “venditori di mestieri”, l’idraulico, il muratore, l’imbianchino se ne stanno lì seduti con i loro attrezzi in bella mostra aspettando che qualcuno abbia bisogno dei loro servigi. Bene, con lo stomaco pieno torniamo dalla nostra guida che, con pazienza araba, ci attende vicino al “petit taxi”. Probabilmente nell’albero genealogico del ragazzotto ci deve essere un europeo perché dopo neanche mezza ora di attesa si è già scoglionato e non c’è più. Ok, andiamo soli, direzione porta principale di Fes-el bali.

(Paolo e Juri) Avete presente indiana Jones quando inseguito dai predoni si immerge in quei mercati ricchi di suoni, colori, odori e … umori? Ecco, peggio. Un posto fuori dal mondo. Fogne a celo aperto, capi d’agnello sanguinanti appesi in bella vista, ma tutto cono una sua dignità e stile. Un pezzo di medio evo proprio qui nel secolo di Internet! Il Capitano Kirck dopo un primo turbamento non finisce più di riprendere e di “riprendersi”….

Senza il nostro Virgilio continuiamo in questo luogo magico. Ci accalappia un’altra guida che ci vuole portare a vedere le famose concerie. Nonostante le raccomandazioni delle mamme di non dare confidenza agli estranei lo seguiamo. Ci ispira fiducia questo tipo incappucciato che si muove con fare circospetto ed esibisce una bella cicatrice che gli attraversa tutto il viso….

Nelle concerie riscopriamo il buon vecchio senso dell’olfatto ed il turbamento dei sensi raggiunge l’apice; dobbiamo fuggire ma da bravi turisti ci siamo persi. Nessuno sfugge alla maledizione della medina! Dove siamo scesi proviamo a salire, dove siamo saliti scendiamo ma siamo più persi di prima ed anche i “medinesi” ai quali chiediamo aiuto sembrano persi come noi, che siano turisti che non sono mai riusciti ad uscire? Dopo innumerevoli tentativi e con l’odore delle concerie che ci perseguita causandoci nausee da donna gravida riusciamo ad uscire e prendere un taxi per l’albergo.

Prima di lasciare Fés facciamo una frugale spesetta e ci prepariamo al bivacco notturno nella foresta dei cedri.

La strada che si inoltra nella foresta è bellissima soprattutto con questa luce da tramonto africano. Decidiamo di accamparci su di un meraviglioso altopiano di muschio e pietre. Ormai sta facendo buio i qui dove siamo è proprio bellino per accamparci soli soletti… Stiamo già montando le tende quando ci accorgiamo di non essere così soli, dal nulla sono sbucati pastori e greggi e come noi si preparano passare la notte. Ormai è tardi per spostarsi e due baldi giovani già ci invitano a piazzare la tenda accanto alla loro. Ormai è fatta, succeda quel che succeda ceneremo e dormiremo con loro.

Abbiamo appena pensato di accendere un fuoco che loro hanno già raccolto la legna e preparato tutto perbenino. Il thè è già stato scaldato, siamo loro ospiti.

La comunicazione va un po’ a rilento. Non parlano francese, arabo neanche (ma sarebbe lo stesso) e tra loro useranno dieci parole. Ci dicono (?) di essere due Tamazighte cioè berberi del medio atlante e mentre ceniamo tutti con le nostre minestrine Coop le loro 115 pecore ci guardano con occhini che alla luce della mia frontale si illuminano come stelle del cielo.

Ci servono il cibo, ci alimentano il fuoco e ci portano delle coperte per rendere più confortevoli i sassi sui quali siamo seduti. Lo faranno per tenerci morbide le terga? Saranno stanchi della solita pecora? Ma siamo solo occidentali sfiduciati, sempre a pensare al sesso; lo fanno per sincera ospitalità e perché siamo un diversivo nella loro monotona vita. Inevitabilmente pensiamo a quanto siano distanti le nostre vite dalle loro. Pensieri fugaci.

 

25 Aprile: Foresta di cedri – Midelt – Circle du Jaffar

La mattina ci salutano prima di allontanarsi con il gregge e noi tentiamo di ringraziarli offrendo il mezzo vasetto di marmellata avanzato. Da tutti i lati escono altri pastori con le greggi e l’altopiano che pareva deserto in un attimo è tutto un brulicare di uomini e pecore. Intanto noi ci prepariamo per partire verso Midelt da dove partiremo per il primo fuoristrada africano (il Desert già sbava…)

La strada che scende attraverso la foresta è bellissima, con alberi maestosi e senza nessuno, ogni tanto un carretto di legna trainato da un asino…. Ad un certo punto incontriamo addirittura un branco di scimmie selvatiche(!) Quasi incredibile.

Midelt-Circle du Jaffar- Imilchil

In mattinata tarda (come sempre) arriviamo a Midelt Pranziamo in ristorantino ed eccoci alla seconda costante [2] Tajin-Brochett: unico piatto di carne e verdura cotto e servito in una tipica terracotta che immancabilmente ti rifilano in ogni ristorante. Non c’è neanche bisogno di chiedere! Mangiati e spesati (cioè con la spesa fatta: tonno, pane e taniche piene d’acqua) con l’entusiasmo alle stelle partiamo per la prima pista africana. È già Dakar.

Un ragazzo in similguida® ci sconsiglia di fare il Jaffar partendo da lì perché è una pista di montagna e l’inverno ha fatto molti danni, ma noi da buoni enDURIsti lo salutiamo con due sgassate…

Quelle belle immagini dei rally africani con immense piste di sabbia piatta da fare a tutto gas che tanto ci avevano solleticato la fantasia ed il polso destro, dopo un km sono già dimenticate. La pista è una pietraia messa per orizzontale e dobbiamo sfoderare tutte le nostre doti enDURIstiche per superare una frana. Chi si butta dentro alla Meoni, chi tenta di aggirarla stile Saint. Insomma alla fine dopo due ore abbiamo fatto 20 km dei 270 totali (Gilles Lalay Classic?) Il resto scorre meglio, tanto che in poco tempo siamo al Circle du Jaffar. Questo fantomatico luogo “non è altro” che una gola con un pista a strapiombo di un bel sasso smosso alla faccia della “Petraia del morto” di Pistoia. Anche la carena del Super Ténéré freme per assaggiare la pista ed io lo accontento subito (je tombé!) con il prezioso aiuto di un bambino che gentilmente si butta in mezzo di strada chiedendomi una penna (stilo’, da non confondersi con il toscanismo “impennata”, anche’essa sovente richiesta dai locali ai motociclisti di pasaggio). Alle 7,30 è già buio e dobbiamo fermarci a 130 Km da Imichil ed accamparci. Decidiamo di montare la tenda vicino ad un villaggio strapieno della terza costante [3]Nuvola di bambini di età idefinita che ti assalgono all’entrata dei villaggi chiedendoti “une stilò”, “une bon bon” ,”une qualsiasi cosa”. Il posto è perfetto: praticello e fiumiciattolo. Al montaggio della tenda come sempre assistono vari spettatori provenienti dai villaggi vicini. Ci osservano senza dire una parola, prima da più lontano poi via via si fanno coraggio e si avvicinano, alla fine ci invitano pure a casa sua ma ormai il campo è pronto (e dillo prima, tua madre berbera!) Ceniamo alla luce delle frontali con un paio di bimbetti ospiti e solita distribuzione di minestrine Coop.

26 Aprile: Verso Imichil

La mattina l’orologio di Paolo ci ricorda che siamo a più di 2000 metri di altitudine, durante la notte ha registrato 1,5 °C in tenda! Vicino staziona una bella famigliola composta da un giovane, la moglie con figlioletto piccolissimo legato dietro le spalle e mucca al pascolo. Dopo dieci minuti siamo già circondati dai bambini delle case vicino, stesso rituale: ci guardano da lontano, si avvicinano, qualche parola, inizio della distribuzione della roba. Paolo regala le scarpe e da adesso solo stivali (l’homo ha da puzza’…), Beppe le solite penne, ecc.

È l’ora di andarsene, 130Km di pista ci aspettano. Al villaggetto di Tounfite troviamo della benzina ed il solito sciame di bambini, questa volta sono loro però a donarci qualcosa. Ci attaccano alle moto delle figurine Panini di squadre italiane, a me tocca metà Lazio, a qualcun altro lo scudetto dell’Empoli… La pista per Imichil in questa seconda parte è uno spettacolo, corre tutta lungo un fiume e lo attraversa continuamente con guadi non troppo profondi ma spesso abbastanza lunghi. Alla fine troviamo la quarta costante [4] polvere esagerata che entra in tutti i posti, nei filtri, nelle cordura dell’abbigliamento, in bocca, ma soprattutto obbliga ad uno scaccolamento (problema tipico del dakariono D.O.C.,si narra che nelle prime edizioni Rahiner abbia perso una Dakar per essersi fermato a scaccolarsi in una prova speciale) continuo.

Sudati e con le narici stile cavallo arriviamo ad Imichil (2600m). Il paese è famoso per essere vicino a due laghi vulcanici che si chiamano Islit e Tislit che nell’antica lingua berbera significano “Antinori di sopra” e “Antinori di sotto”; un’altra traduzione riporta invece “marito” e “moglie” e la leggenda narra che due fidanzati si siano gettati ognuno in un lago perché ostacolati dalle famiglie nel loro amore. I berberi per ricordare il lieto evento in agosto celebrano qui la festa dei matrimoni.

I laghetti sono uno spettacolo, un’enorme macchia di blu in mezzo a montagne rosse con lo sfondo di un cielo azzurro limpidissimo (2600m!) Noi, ispirati da tanta poesia, celebriamo la fine della tappa con una bella gara di accelerazione (così, tanto perché “la fava” che dimora in ogni motociclista non si assopisca troppo…) Al paese prendiamo un bell’alberghino parecchio african-style (lenzuolo: no-grazie-ho-il sacco-a-pelo, e bagno: no-grazie-cago-fuori-sull’ortica) Il padrone pare gentile e premuroso, ci porta subito a casa di una berbera che fa i tappeti (eccoci all’acqua, il tappetino ci tocca anche a questo giro!) La trattativa con la berbera è quasi impossibile, non è una donna è un ceppo di legno! ma Beppe è più berbero della berbera e per 150 DH gli scuciamo i tappetini della misura non-puoi-dire-che-sei-in-moto-perché-questo-è-piccolo-e-si-arrotola, comincio a sospettare che lo facciamo di queste dimensione proprio per fregare i motociclisti. Ma la parte migliore deve ancora venire. Mentre andavamo dalla berbera Paolo ha visto un parrucchiere dentro una baracca di lamiera e, neanche tempo di accennare uno sguardo, che il professionista gli ha già fissato un appuntamento (vedi inizio racconto)

(Paolo) Essendo homo di parola non mi resta che accettare l’invito ad entrare nella baracca-laboratorio. Mi siedo sulla seggiola, davanti a me ci sono tre rasoi ed una sola forbice, ho poche possibilità che la cosa si risolva senza spargimenti di sangue. Insisto per indirizzare il professionista verso le forbici ed il loro uso. Con mestiere e gesto sicuro in pochi minuti mi fa un bel taglietto utilizzando il “modello Beppe”, solo nel finale cede alla tentazione ed impugna il rasoio per la rifinitura. Per fortuna lo fa con tutte le precauzioni: prima lo intinge nell’alcool poi gli da fuoco ed in fine lo struscia ben bene con un cencio schifoso che era lì per terra…. Ohh che errore imperdonabile! Scusate. Lo ridisinfetta, gli ridà fuoco e poi, sul più bello, si distrae e lo ripulisce con lo stesso cencio. Cazzo! Scusate. I via di nuovo tutto da capo fin che non gli dico basta e finisce l’opera.

27 Aprile: Rich -Todra

(Juri) Alla mattina partiamo per una presunta tappa corta, da Imichil alle Gole del Todra e poi una facile pista dentro le gole più famose del Marocco. Ma noi da bravi enDURIsti, abituati a seguire le frecce del giro della gara, sbagliamo strada e, complice un fiume alla nostra destra uguale a quello che c’è sulla strada giusta, trasformiamo la tappa corta in una marathon di 380 Km. Ci accorgiamo dell’errore solo vicino al paese di Rich (120 km di asfalto). Decidiamo di arrivare fino al paese, fare benzina e prendere una pista che pare reimmettersi su quella delle Gole. La pista è una piacevole sorpresa; un primo tratto di sterrato ciottoloso da fare a velocità folli, 120-130 Km/h tra i sassi di una strada mai vista prima e a 3000Km da casa ( la solita “fava” che esce fuori comunque, poi essere in Terzona puoi essere in Africa…. ) Il secondo tratto è tutto lungo un fiume per poi salire verso un hammada. La pista vale la pena, attraversa diversi paeselli ed è completamente fuori da qualsiasi rotta turistica. Alla fine un lungo tratto in discesa porta a ‘ste benedette gole. Il posto è molto suggestivo anche se le orde di turisti tolgono gran parte delle poesia di questo canyon con pareti rosse strapiombanti. Il fondo di gradoni a scendere (meglio che a salire!) mette un po’ a dura prova la forcella dei bicilindrici e i dorsali dei piloti. Qualcuno, senza fare nomi (il Conti monocilindrico), si mangia le mani per non aver portato le scarpette e l’imbraco per arrampicare, ma ormai è tardi…. In fondo alla Gole asfalto ed oasi con Kasbha rossicce che si “incendiano” con la luce del tramonto. Decidiamo di dormire a Tinherir, paese turistico in fondo alla valle, e di concederci un alberghetto decente, così tanto per fare una doccia ogni 4 giorni. Ecco qui la quinta costante [5]Il proprietario dell’albergo giura che, gli morisse la mamma in quel momento, la doccia è calda e funziona. Appena presa al camera però c’è sempre un imprevisto: non c’è acqua perché il Comune sta facendo dei lavori, la locale squadra di hockey si è appena docciata finendo l’acqua calda, ecc….Alla fine smobilitando tutto l’albergo comprese due cameriere con chiave inglese ed un undicenne idraulico riusciamo a fare un doccia fredda. Il ristorante vale l’assideramento e la mattina dopo un’abbondante colazione ripartiamo verso le prime dune.

 

28 Aprile: Erfoud – Erg Chebbi

L’idea è di farsi un centinaio di Km di asfalto da Tinherir fino ad Erfoud e da lì prendere la pista verso Merzouga. L’Erg Chebbi è un catino sabbioso propaggine del Grande Erg Orientale algerino con dune di sabbia rossiccia alte fino a 150m. Decidiamo di fare la pista che parte da Erfoud, 89Km con le dune all’orizzonte. A pochi Km da Erfoud ai lati della strada inizia la prima sabbia, con la scusa di guardare la cartina ci fermiamo ed in trenta secondi siamo già a sgommare tra le dunette. Più che altro “tentiamo” di sgommare. La guida sulla sabbia non è proprio un giochetto, mi sa che le videocassette della Dakar sono un montaggio! Gli insabbiamenti e le boccate si sprecano ed il pallottoliere frulla che è un piacere. Il Capitano Sauro Kirk si lancia a manetta dentro un oloued per la gioia del suo Vtwin. Una volta “tondi dalle martellate” ripartiamo verso Erfoud da dove parte la vera pista. Adesso si che è Dakar!

Il terreno è un misto di sabbia chiara e piccole pietre nere, spazzi immensi ed infinite piste parallele, corriamo a cento all’ora uno di fianco all’altro ridendo sotto i caschi; vorremmo fermarci a fare delle foto ma è troppo bello continuare con il gas, manca solo l’elicottero della TSO. Hammada di sassi neri su sabbia grigia e dune rosse all’orizzonte, il mal d’Africa è già cronico… Arrivati alle prime dune subiamo uno smacco: dei turisti ci dicono che due tedeschi su BMW hanno proseguito fuori pista attraverso le dune, pare che siano gli stessi visti all’imbarco in Francia con uno splendido BMW HPN color Marlboro; noi, visto il pallottoliere (antico e rudimentale strumento per far conto, da oi usato per tenere a mente il numero delle musate), subiamo in silenzio sperando che sia solo una leggenda metropolitana (nel deserto!?)

Nella spianata vicino a Merzouga la “fava” prende di nuovo il sopravvento e ci lanciamo a velocità smodata, 140-150Km/h, e finalmente i bicilindrici hanno la loro rivincita.

Per fortuna anche la “fava” ha un po’ di remore e riusciamo a fermarci a bere una coca in un campeggio-affitto tende e cammelli proprio di fronte alla grande duna. Il tipo che lo gestisce è troppo simpatico, si chiama Hassan, parla un italiano buffissimo e somiglia a Pippo della Walt Disney, dopo un po’ di trattativa ci convince a passare la notte lì. A cena con la solita tajine discutiamo delle prossime tappe: scartiamo subito l’idea di fare la tappa tutta fuori strada da Taoz a Mahamid lungo il confine algerino, visto che abbiamo seri dubbi sull’autonomia e viste le storie di turistiche sbagliando strada hanno sconfinato e sono stati “deportati” in Tunisia. Anche l’altra tappa Mecissi-Zagora ci sembra troppo lunga visti i giorni che ci restano. Dopo un po’ di discussioni decidiamo di dormirci sopra e vedere la mattina. Il sonno porta consiglio.

Merzouga- Rissani- Mecissi- [Oum Jirane]- Zagora

La mattina rifacciamo i conti e non capiamo perché non dovrebbero bastarci i giorni, forse la sera avevamo bevuto troppo whiskhey berbero (The’ alla menta che tutti bevono continuamente e dovunque, sconsigliato ai diabetici:una tazza e 40 zollette di zucchero). OK, partiamo per il mega tappone: 40Km di pista sabbiosa fino a Rissani, 83 Km di asfalto fino a Mecissi, 230Km di pista fino a Zagora. Alla facciaccia di Peterhansel!!

A Mecissi con già 120Km percorsi mettiamo benzina, facciamo scorta d’acqua e partiamo per la pista. Questa pista è uno spettacolo, Africa vera. Hammada di pietre nere, banchi di sabbia da passare con il gas a martello e toule ondoulé (increspature della pista provocate dal passaggio dei mezzi pesanti; sotto i 1000Km/h le vibrazioni ti smontano la moto. Alcune toule-ondoulé erano riscontrabili anche nella pista di Lujano nel tratto Ponte di Cappello- Fattoria Lujano, ma questo prima della recente asfaltatura…) Qui sperimentiamo la prima vera navigazione con il GPS, i punti reperiti su Internet funzionano a meraviglia ed il road-book è molto preciso, ogni tanto un’occhiatina alle carte russe. Come sempre il destino cinico e barbaro si accanisce contro l’uomo all’apice del suo godimento e nel bel mezzo del nostro orgasmo motociclistico dobbiamo fermarci per una foratura. (ancora come in Tunisia, sempre io; questa volta l’anteriore) OK, niente panico siamo in mezzo al nulla esattamente a metà della pista ma abbiamo tutto: camere d’aria in abbondanza, toppe, leve e….mestiere.

Una sera, durante le numerose riunioni per preparare il viaggio, il Conti monocilindrico propose di usare per gonfiare le ruote un tubo con ad un lato una valvola ed all’altro una candela bucata da avvitare nel cilindro in modo che, una volta accesa la moto, funzionasse come un compressore. Suo cugino, Archimede come è, si offrì subito di realizzare il progetto. Detto fatto. Pare impossibile ma funzionava veramente. Dopo averlo lungamente testato ed ottenuto la certificazione ISO90001 decidemmo di portarlo e di non portare la pompa……

Eccoci qua in dieci minuti siamo pronti per la riparazione, avvitiamo il tubo, un colpetto di motorino d’avviamento e ….la pompa non pompa. Non solo non gonfia ma il motore dell’Africa Twin inizia a fare uno strano rumore. Avete presente quel rumorino che si sente quando uno prepara un tubo con una candela bucata, lo prova più volte ma sempre a motore freddo e la volta che gli serve sul serio il calore del motore fonde il gommino della valvola e la sfera va a pascolare tra pistone e valvole? Ecco esattamente quel rumore lì! Panico. Qualcuno inizia a prendere le prime pasticche antidiarrea…. Ci sono poche alternative siamo a più 100Km dalla più vicina strada asfaltata. Il road-book riporta un villaggio a qualche decina di chilometri, Paolo e Beppe partono nella speranza di trovare una pompa mentre io e Sauro restiamo lì a rimontare l’Africa Twin sperando che si digerisca la sfera e la ceramica dell’altra candela che ha frantumato. Beppe e Paolo si allontanano proprio mentre l’Enterprise Africa Twin fa un bel rutto e pare fregarsene della sfera e delle leggera tempesta di sabbia che si è alzata. Sospiro di sollievo.

(Paolo) Io e Beppe partiamo sapendo che dobbiamo tornare indietro velocemente quindi passo svelto ma preoccupato, soprattutto io che non ho il cammello-benzina di Beppe. Muniti di GPS, carte russe e bussola continuiamo sull’altopiano. La pista scompare in una miriade di tracce leggere, ancora banchi di sabbia. Andiamo avanti dubbiosi ma senza alternative. Dopo circa mezz’ora vediamo una striscia verde all’orizzonte e qui dove c’è palma c’è uomo anzi dove c’è uomo c’è palmeto. Infatti dopo pochi Km arriviamo in un villaggio e siamo accolti dal solito movimento di bambini un po’ attratti un po’ spaventati dall’arrivo dello straniero. Ci fermiamo nella “piazza” e Beppe con il suo perfetto francese spiega il nostro problema, a me scappa qualche parola in italiano e , ironia della sorte, un certo Ibrahim mi risponde in perfetto italiano. È’ un marocchino che vive e lavora a Bergamo ma in quei giorni è tornato a visitare l’antico borgo natio. Così, con calma, manda un ragazzo a prendere l’unica pompa del villaggio, conservata in una casa come una reliquia tecnologica. Siamo preoccupati e vorremmo fare in fretta, si fa già sera, ma dobbiamo stare calmi e dare relazione al tipo. Ci spiega che siamo arrivati nel paese di Oum Jirane, 1300 anime più della metà delle quali bambini. Se ne avvicina uno mostrando una ferita alla testa coperta da un cintolo di stoffa, ci chiede una medicina ma i medicinali sono competenza del Capitano, suo ne è il controllo delle somministrazioni. Lo rassicuriamo che ripasseremo per restituire la pompa. Eccola che arriva, si smonta a guardarla ed è piena di grasso e sabbia ma non ci sembra il caso di fare troppo i difficili. Ritorniamo sui nostri passi ma non è così semplice. All’uscita del villaggio la pista si divide in due di uguale importanza, dopo 5 Km altro bivio, per non sbagliare richiamiamo sul GPS il punto fatto nel “luogo del misfatto”. La direzione è chiara. Ancora qualche Km e Beppe perde il sacco a pelo, per fortuna sua lui non ha avuto la brillante idea di cucire sulla sacca dei passanti per gli elastici così quando lo perde gli cade veramente, io invece….-> [vedi sotto]

(Juri) Io ed il Capitano aspettiamo inquieti tentando alcuni esperimenti frutto di vaghi ricordi della fisica delle scuole medie. Colleghiamo le due ruote con un tubo confidando nei vasi comunicanti, ma niente. Non ci resta che attendere i nostri eroi. Il road-book dice che nella zona si possono avere dei miraggi e noi, dopo varie beduine in costume da bagno, scorgiamo nel tremolio dell’orizzonte una nuvoletta di polvere che si avvicina. Non è un miraggio ma è Beppe seguito da Paolo poco distante. Hanno trovato al pompa , è uguale a quella che ci salvò in Tunisia

[Prometto che la prossima volta che vengo in Africa porterò una pompa anche se sono a piedi

In fede

Paolo Conti Juri Radicchi ]

 

Rigonfiamo la ruota e ci avviamo verso Oum Jirane per riportare l’utensile e passare la notte lì.

(Giuseppe) Del paese di Oum Jirane Ricordo soprattutto il mio silenzio. Dopo la restituzione della pompa ci siamo dedicati allo “shopping”. Ho comprato una Fanta , due bottiglie d’acqua scadute un anno fa e due bottiglie di “Hawai” succo tropicale anch’esso scaduto. Prima di accorgermene ne ho già bevuta mezza, ma tanto avevo già la cacaiola (secrezione anale particolarmente liquida sovente associata a dolori di corpo. Si combatte con un farmaco dal nome inquietante ed eloquente: lo STREPTOMAGMA!) dalla mattina. Acquisto anche un pallone che lancio in aria in mezzo alla piazza. Non frega neanche per terra che viene sommerso da un metro e cinquanta di bambini messi per orizzontale. Non l’ho più visto. Voci del villaggio dicono che anche Juri e Paolo ne hanno comprato uno a testa, ma anche quelli sono subito spariti. Siamo alla scelta del luogo dove dormire. Il Bergamasco confabula con il fratello Hamed ed altri del luogo. Ci avviamo tutti verso la “periferia” o “quartiere bene” del villaggio. La prima casa viene scartata per… mancanza della chiave(?!), allora ci avviamo tutti in processione verso una seconda. Entriamo in un cortile circondato da tre lati da muri alti un metro e settanta, sul quarto si innalza la casa ancora in costruzione. Decidiamo di piazzare la tenda in cortile sotto vento mentre i ragazzi più coraggiosi ci spiano dal muretto (“I ragazzi del muretto”) rischiando ogni tanto le sassate degli adulti. Oltre a montare la tenda il Conti monocilindrico deve letteralmente rattoppare il suo sacco Salewa che , contro ogni previsione non ha resistito all’attrito tra il Michelin Desert ed il parafango posteriore del suo TT -> [vedi sopra] Tutto procede in modo regolare anche se io devo interrompere l’opera per espletare “funzioni molto liquide”. I tre marocchini rimasti pregano in un angolo del cortile. Dopo che ognuno ha espletato le proprie “funzioni”, al buio completo torniamo in centro per comprare qualche cibaria per la cena. La boutique che ci riceve è uno spettacolo. Un ammasso di scatolette, vestiti, copertoni da bici, una macchina da cucire e fusti della benzina che infestano l’aria di ottani e consigliandoci di fare veloci. Un ragazzo attratto dalla nostra presenza si intrufola nel negozio e viene scacciato con un bastone di due metri. Mentre fugge batte la testa nella porta di ferro ma invece di accasciarsi e prendere le botte raccoglie le forze e scappa via con la testa tra le mani. Mentre torniamo alle tende intravediamo la spartizione di un animale con tanto di bilancina (“Io voglio la coratella…”,”Io il boccone del prete…”, ecc.). La nostra cena come al solito ha ospiti che apprezzano (?) le minestrine della COOP mentre noi apprezziamo le loro scatolette di sardine al pomodoro.

29 Aprile: Oum Jirane – Zagora

(Giuseppe) La mattina ci alziamo di buon ora perché abbiamo promesso di fare colazione a casa di Hamed e lui è già lì che ci aspetta sulla porta di casa. Ci invita ad entrare nella stanza da pranzo, una stanza rettangolare con una fascia blu alle pareti ed un drappo blu a fiori rossi al soffitto. Una vetrinetta è l’unico mobile Ci sediamo su un tappeto stretti in cerchio attorno ad un tavolo dove fa bella mostra di sé una frittata che mangiamo con delle focaccine ripiene (molto ripiene) di cipolla. Siamo un po’ titubanti ma decidiamo di onorare l’ospitalità e facciamo ben lavorare le mascelle. Decidiamo anche di lasciare un po’ delle nostre medicine ed il bergamasco provvede a tradurre in arabo le istruzioni. Tutti ringraziano. Ci salutiamo con scambi di indirizzi e riprendiamo la via per Zagora.

(Juri) Sasso dopo sasso, un sasso tira l’altro ci avviciniamo a Zagora. Beppe nell’atto di sorpassare un camion rompe il filo della frizione, ma ormai siamo alla fine della pista e da buon endurista nordico prosegue senza. A Zagora pranziamo ed interveniamo selle frizioni perché intanto anche quella del Conti Monocilindrico ha avuto un cedimento strutturale. Tanto per non perdere il callo al culo decidiamo di fare una puntatina a Mahamid (180Km andata e ritorno!) Si narra che a Mahamid ci sia un erg, ma per noi potrebbe esserci anche un lago; a causa di una tempesta di sabbia non riusciamo a vedere a più di 50 metri. Lì incontriamo tre francesi con tre Africa Twin 650, sono tre marsigliesi un po’ “tagliati grossi” ma simpatici che stanno facendo il nostro stesso giro ma al contrario; arrivano dalla pista di Mahamid e ripetono continuamente: “Je tombé; Je tombé; Je tombé….” ed a giudicare dalle condizioni del bauletto legato con una corda c’è da crederci. Si avviano verso il Jaffar e ci dicono che prenderanno la nostra stessa nave. Chi vivrà vedrà… Date le condizioni meteo avverse rinunciamo, non senza dispiacere, alla pista dell’ erg Debaia e torniamo verso Zagora. Il Capitano, così per rendere più divertente il soggiorno, decide di forare la gomma anteriore in un curvone da 100Km/h RISCHIO!! Ma tutto si risolve con bella sgommata nella mutanda e niente più.

Mentre ci guardiamo in giro alla ricerca di un alberghetto sentiamo uno strano richiamo: “Amiccci! Venire vedere albergo, solo vedere, se piacci no piacci amicci!”. Come dire di no? Andiamo. Solito alberghetto in african-style ma può andare. Ormai siamo viaggiatori africani consumati, con la storia dell’acqua calda non ci fregano più! Chiediamo: “C’è la doccia calda subito?” “Si amicci, certo!” “Ma subito subito adesso?” “Sicuro subito amicci!” Il tipo ci fa parcheggiare le moto direttamente nella reception nonostante le proteste di due clienti tedeschi che lui con garbo apostrofa con un bel “Alemanni maricones, piacce fanculo!”. Ci avviamo verso le docce, ma eccoci all’acqua… fredda. “Amicci cinque persone ha docciato ora” ma assicura che tra poco l’acqua sarà di nuovo calda, basta aspettare che un ragazzetto di non più di dieci anni abbia finito di spaccare la legna direttamente nella reception e la metta nella caldaia…e che sarà mai, cinque minuti d’orologio…

Mentre ceniamo “Amicci” non ci molla un secondo e continua a ripeterci: “Amicci, dopo venire per una invitazione a bere un thè e fumare in mio negozio, è nostra cultura… ” Ormai siamo in trappola, mangiamo lentamente ma alla fine dobbiamo proprio andare a questa invitazione. “Amicci” è proprietario di un negozietto di souvenir, ci fa sedere, versa il thè ed ha inizio il suo show. “Amicci” inizia a tirare fuori tutti i pezzi più forti della sua collezione unica ma uguale a quella dell’altro centinaio di negozietti che affollano Zagora. Le trattative vanno avanti fino a notte fonda, “Amicci” è uno showman unico, un incrocio tra Macario e Totò, ci racconta e ci mima le sue performance sessuali con una vecchia turista svizzera; noi ci sganasciamo e gli compriamo qualche troiaino, come sempre: “solo vedere, compra non compra amicci” Sì, sì, ma “meglio se compra”….

Notte in un letto.

30 Aprile: Zagora – Telouet – Marrakech

La mattina la gomma del Capitano è di nuovo a terra, la toppa non ha retto. Sostituzione veloce della camera (ormai siamo degli esperti) e direzione Marrakech. Mentre l’Africa Twin Enterprise è sotto i ferri io faccio conoscenza con un australiano che sta girando il Marocco con mezzi locali, sono SEI mesi che è in giro per il mondo. Quando gli chiedo come mai è solo mi risponde candidamente: “nessuno aveva ferie così lunghe”……Gli do una bella stretta di mano e partiamo.

La strada corre lungo la Valle del Draa tra palmeti e fiumiciattoli. Dopo 160Km deviamo per andare a fare l’ultima pistina, 49Km in direzione Telouet. La pista più che una pista africana sembra la prova in linea del toscano di enduro di Pistoia, “Pietraia del morto” compresa. I monocilindrici ci ridicolizzano e noi bi-dotati subiamo in silenzio. Il paesaggio però vale la fatica: kasbha di terra rossa, palmeti e cicogne. Da telouet riprendiamo la strada verso Marrakech che si arrampica sull’Alto Atlante su per un passo a 2600m. Dall’altra parte le montagne sono rosse e coperte da una vegetazione verde scuro, panorami che pensavo fossero dell’Africa centrale. Ormai con i fari accesi entriamo in Marrakech direttamente nella medina CAOS! Macchine, motorini, asini, pedoni, carretti…la strada è un bordello, tutti urlano e suonano. Spaventati e frastornati riusciamo a raggiungere un albergo che, come recita la guida, “Grand Hotel Tazi, un vecchio hotel che ha visto tempi migliori…” Ceniamo e con 450 Km sulle spalle ci spalmiamo nei nostri lettini.

 

1° Maggio: Marrakech

Alla mattina io sono come l’Hotel Tazi, ho visto tempi migliori. La mia Marrakech non è altro che un andare e venire lungo la direttrice letto-cesso, mi divido equamente tra cacaiola, vomito e mal di testa.

(Paolo) Appena arrivati la sera un tipo di nome Nordin si propose di farci da guida. È un marocchino sì, ma col cellulare…meno male che qualcosa gli abbiamo insegnato a questa gente!

Nordin ci accompagna in giro molto mestamente e rendendosi quasi invisibile visto che non è una guida ufficiale. Ci porta nel souk e parliamo con lui “con occhi no con voce” (?). Dopo l’emozione del souk di Fés non si può dire che questo, nonostante sia più ricco di artigiani, abbia lasciato il segno.

(Beppe) Marrakech, la sua piazza. Che dire? Un misto di funamboli, incantatori di serpenti, medici stregoni e fattucchiere tutti lì ad aspettare turisti allocchi ma ai quali, sinceramente, non siamo riusciti a rifiutare qualche dirham. Alla sera si aggiungono i banchi delle cibarie con involtini misti, cervelli fritti e cumino , cumino, cumino. E’ tutto un gran teatro per i turisti ma vale la pena vederlo. Per noi Marrakech si è ridotto a poco più di questo, fatto salvo una puntatina al “Diamant noire” locale notturno dove le fattucchiere si trasformano in discrete beduine beduinabili e la piazza in una pista da ballo con una strobo che ha ininterrottamente rotto le….retine tutta la sera.

 

2 Maggio: Marrakech – Moulay Besalham

La mattina successiva tappone (normale trasferimento di 4 enduristi in terra marocchina ) lungo costa verso Moulay Besalham, ridente (ma forse più decadente) località marinara Atlantica. Tanto per movimentare un po’ la giornata facciamo sosta al “Bivacco del camionista”, posticino per mangiare lungo la statale per Rabat, sconsigliato per cenette del 14 febbraio. Si sceglie la carne dal macellaio, la verdura dal fruttivendolo e si porta tutto dal “coco” che ci cucina tutto per benino. Un chilo di manzo, due cipolloni e sei pomodori erano il nostro pranzo. Dopo un po’ arriva la carne ed un misero piattino con due fettine di cipolla e più o meno 3 pomodori a fette. Ho chiesto al “coco” dove fossero le altre cipolle ed i pomodori, ma con una faccia da presa di culo mi dice che era tutto lì. Ho chiamato l’ortolano che ha confermato l’esigua quantità di verdure nel piatto ed ha riconsegnato per la seconda volta una cipolla e tre pomodori. Dopo 15 minuti di attesa sono andato dal “coco” per vedere il procedere della cottura ma, meraviglia delle meraviglie, anche la seconda quantità di verdure era sparita. Un caso di X Files marocchino? Fatto sta che dopo aver litigato con non so chi, mi hanno dato ragione come si fa con i bischeri e non ci hanno dato ne pomodori ne cipolle. Però, forse, non ci hanno fatto pagare o almeno ce lo hanno fatto credere….

(Paolo) Alquanto confusi ripartiamo per Moulay Besalham, una bella laguna che sfocia nell’oceano a metà strada tra Tangeri e Casablanca. Prendiamo l’autostrada che è a pagamento, anzi era a pagamento perché viste le varie stiacciature della rete ai lati, mi sa che il pagare non rientra tra gli usi e costumi locali. Appena usciti svicoliamo tra i campi e senza GPS cerchiamo di ribeccare la statale o una qualsiasi altra strada. Su un fondo sabbioso la viottola contornata da alti fichi d’india ci porta in un labirinto dove non capiamo più la direzione da seguire e siamo assaliti da una berbera “incimurrita” come solo un a berbera può “incimurrirsi”. Poi altri giovani contadi ci accerchiano urlando minacciosi, qualcuno dice a destra altri a sinistra, urlano solo in arabo (almeno per noi). Scappiamo prima che i facciano prigionieri…. In serata arriviamo sani e salvi al paesello sulla laguna dove su consiglio di una personcina per bene che si vanta di aver fatto due mesi di carcere, affittiamo una casetta dignitosa e molto economica. Il posto è un luogo di villeggiatura per marocchini, è assai decadente ma vale la pena una visita alla laguna che ospita il famoso “chiurlo” e per chi non fosse attratto da cotanto uccello, c’è una spiaggia oceanica di diversi Km.

3 Maggio: Moulay Besalham

Visto l’andazzo languido della giornata decidiamo di forzare l’accesso alla spiaggia per finire la vacanza stile Dakar : una corsa lungo mare.

(Juri) Lo sospettavamo fin dall’inizio ma qui ne abbiamo la prova definitiva, le videocassette della Dakar sono un montaggio. L’attrito della sabbia è esagerato, per galleggiare servirebbe molta velocità ma anche con le bicilindriche è impossibile anche riuscire a mettere la terza. Quando la marea cerca di risucchiarsi il Capitano, l’astronave ed mozzo Beppe capiamo che forse è l’ora di abbozzarla. Ma la “fava” non è ancora sazia. Cosa fanno 4 motociclisti con moto da deserto, gomme tassellate nel parcheggio di un paesino marocchino? Un torneo di dama? Sorseggiano un thè? Ma no, hanno la brillante idea di fare una gara di supermotard! Con tanto di cronometro e pubblico! Che fave…..

Paolo inspiegabilmente vince la gara ma dall’emozione passa il resto dei suoi giorni africani tra febbre e cacaiola. L’Africa Twin la danno già per venduta prima di arrivare in Italia e lei per dimenticare si beve tutto l’olio. Mi sa che la sfera gli è rimasta un po’ sul gozzo!

4-5-6 Maggio: Moulay Besalham – Tangeri – Nave Marrakech

L’ultimo giorno inizia con un noioso trasferimento verso il porto di Tangeri (150Km) e si trascina stancamente tra formalità doganali che riusciamo a sbrigare con qualche malizia in più evitando i servigi degli scribani ed attesa per salire sulla Marrakech.

Adesso siamo qui a giocare a dadi con i tre francesi incontrati a Mahamid ed allo sbarco solamente 800km ci separano da casa….

FINE

Paolo Conti Giuseppe Viesti

Juri Radicchi Sauro Conti

Robogabraoun, il ragazzo che avevo contatto per avere informazioni sulle piste del Marocco prima di partire mi scrisse:

“Ciao ed in bocca al lupo a tutti voi. Sarà di sicuro un viaggio
meraviglioso. Salutatemi quello splendido Paese.[…].

Voglio augurarmi ed augurarvi che la sabbia, le piste , i colori delle persone, il profumo delle spezie, la quotidianità vissuta senza il vincolo dell’orologio ma scandita dal ritmo naturale del sole, il silenzio, il vento, lascino in voi un segno indelebile, portandovi ad entrare nella tribù di coloro che sempre vi ritornano, che si incontrano sulle navi ed alle frontiere, che sognano con trepidazione il giorno in cui l’Africa li accoglierà nuovamente.”

Così è stato.

A presto Africa.

0 comments… add one

Leave a Comment