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L’oro di Nubia – parte 2

– Posted in: Asia, Resoconti di viaggio

L’oro di Nubia parte seconda: La traversata dell’Arabia

di Claudio Chiodi

Martedì 10 Gennaio 2017

E’ tardi, è maledettamente tardi, quando mi metto in viaggio. Il resto del gruppo è a Suakin e si stanno imbarcando sul ferry per Jeddah, mi hanno già telefonato 3 volte e non sanno più cosa inventarsi per tenere “aperto” il porto. D’altra parte l’imbarco chiudeva alle 18,00, che sono già passate da un po’ e io sono ancora a Port Sudan. Mi lancio nel buio della notte, il vento a favore mi regala qualche km in più e fra carretti, buche e sorpassi riesco a far viaggiare i quasi 50 quintali del mio land a 130 km all’ora.

48 km interminabili.

Decido di mollare, vada come vada, se devo perdere la nave, sia. Non posso rischiare la vita in questo modo, e così trovo il tempo di pensare che casino di giornata che ho avuto; in fin dei conti se togliamo i giorni del week end, in due giorni siamo riusciti a trovare i container, fare i documenti, caricare 3 macchine e sigillare il tutto, un record, penso. Sembrava filare tutto come l’olio, era fatta, e invece no. Gli uffici chiudono alle 4 del pomeriggio e così una volta chiuse le macchine in container con tanto di sigilli, il timbro sul carnet non si può più fare, e poi a quest’ora, dove pago? Si perché il Sudan con l’embargo deve chiedere al porto di destino l’autorizzazione all’esportazione e il pagamento deve essere fatto in loco, quindi in contanti. Chiamo Abdin, dell’MSC, che è già a casa e chiedo istruzioni, facile la risposta – Vieni domattina in ufficio a pagare e finalizzare i documenti-. “Eh? Tu non hai capito, io sto perdendo la nave, ascolta qui c’è un tizio che dice che si offre di portarti lui i documenti e i soldi, domani mattina”- “Ok, mafish muscala, non c’è problema, spiegagli cosa deve fare e poi ci penso io”

Vado, non vado…..vado!

Lascio letteralmente una montagna di soldi (più di 8.000 euro, quattro anni di uno stipendio medio) in mano a uno sconosciuto, documenti, carnet, senza una ricevuta, una testimonianza.  Ma deve andare così, il tempo è scaduto, e così parto.

SUAKIN

“Noor”, ”luce”, sembra quasi un controsenso, la diafana luce del cielo stellato contrasta con quella del traghetto, che ci accoglie con un aspetto spettrale con le sue luci giallastre che prendono un contorno opalescente nel vento tiepido intriso di salsedine.  Il grande molo è deserto, non una persona, solo decine di macchine cariche di bagagli. Ma ormai ci sentiamo nella storia, sorrisi, pacche sulle spalle, abbracci. Siamo come dei bambini con un nuovo giocattolo. Adolf, il nostro tedesco con i suoi quasi 80 anni, stringe le mani e fa i complimenti a tutti. D’altra parte è da tempo che non prendiamo più un ferry, e questo riporta la mente al rito e ai fasti dell’agognato imbarco a Genova, quando anche l’attesa era una festa curiosando fra jeep, camion e moto di ogni tipo.

Nel porto non ci sono altre navi, solo il Nammah, il traghetto che fa linea normalmente, che l’altro giorno nell’attraccare ha urtato una banchina e ora se ne sta avvolto nell’oscurità mestamente inclinato su un fianco. Dal Noor escono alcuni filippini, in tuta da lavoro e cominciano a imbarcare le auto sul molo, le nostre saranno le ultime. Quando i filippini si avvicinano, Luigino con uno sguardo gli fa capire che dovranno passare sul suo corpo prima di guidargli l’amato Mercedes, si capiscono senza neanche parlarsi, e così, gloriosamente facciamo l’ingresso alla guida dei nostri mezzi.

La pancia è piena, ci starebbero ancora 4 o 5 macchine al massimo, ma non c’è gente. Ci diranno poi, che a parte pochi, i privilegiati che hanno la macchina la lasciano sul molo anche il giorno prima, e poi a Jeddah ci vanno in aereo.IMG_0589rid1

Quando saliamo troviamo la gente, o meglio i “corpi”, migliaia di persone ammassate per corridoi, scale, ascensori, dentro, fuori sul ponte, ovunque, un groviglio di gambe e piedi nudi, callosi, spaccati dalla fatica, coperti dalle ghalabie bianche, e l’afrore di chi ha viaggiato da lontano che si mescola agli aromi di misteriosi scartocci di cibo disseminati sul pavimento tra chi mangia e chi dorme avvolto in una coperta.

Solo uomini, una marea di manodopera a basso costo, per i lavori più umili, mescolata con qualche raro pellegrino, povero, che va alla Mecca

Nei ponti in alto, nelle stanze “pullman”, centinaia di giovani soldati dell’esercito sudanese, tirati nelle lustre mimetiche, che vanno a fare uno “stage” tecnico con gli istruttori sauditi.

Una carretta del mare, mi domando, che se dovesse affondare, dove troverebbe i salvagenti e le scialuppe per tutti.

La prima classe è praticamente vuota (chi può permettersi di spendere 213€?), e, a parte il percorso di guerra per scavalcare la gente che dorme nei corridoi, è dignitosa per quanto riguarda la pulizia, grazie al personale filippino. Andiamo a letto quasi subito, è mezzanotte passata, e poi non c’è alcun posto dove potersi sedere o stare. Ancora uno sguardo all’oscurità del porto, nessuno che saluta, nessuno da salutare, ma per noi il ricordo di una terra che ci ha regalato un meraviglioso viaggio da altri tempi.

Mercoledì 11 Gennaio 2017

A 12 nodi copriamo le 180 miglia che separano Suakin da Jeddah in 14 ore! Sono quasi le 3 del pomeriggio quando il grande porto King Abdullah ci accoglie con le sue moderne e imponenti strutture.

I reports di qualche tedesco che ha fatto la traversata, avvertono che le formalità prendono ore. La macchina viene presa in carico dalle autorità saudite, portata in un capannone dove viene praticamente smontata, e riconsegnata fuori dal porto. La cosa ci inquieta ma non abbiamo altre chances, siamo pronti all’avventura.

Dopo l’entrata nel lungo canale di ingresso il Noor non governa e due rimorchiatori ci prendono in carico per l’ormeggio, altra ora persa. Dal ponte osserviamo un assembramento militare sul molo che va via via ingrossandosi e, nel frattempo, sulla nave avvisano che prima di scendere bisogna aspettare la visita medica e la somministrazione di una dose di antibiotico. In realtà dopo una chilometrica fila prendiamo la pastigliona assegnata e la buttiamo direttamente nel cestino, altra ora persa. Ostaggi sulla nave dobbiamo pure sorbirci gli onori dell’accoglienza militare saudita a quella sudanese (i militari erano lì per quello). Altra ora persa. Alla fine scendiamo nei garage, dove tutti i passeggeri vengono prelevati e portati via con degli autobus. Dopo una lunga discussione convinco gli addetti ai lavori a farci scaricare a noi le nostre macchine e a lasciarle sul molo, aperte e con tanto di chiavi, poi veniamo portati via anche noi in autobus con gli occhi fissi sulle nostre auto che sentiamo di aver abbandonato.

Passata la diffidenza dell’impatto, ci sentiamo subito a nostro agio. I militari e la polizia saudita sono gentilissimi e cordiali, curiosi, ci offrono acqua e informazioni (nei limiti consentiti dalla lingua, visto che quasi nessuno parla inglese). Veniamo scaricati in un immenso terminal scintillante che farebbe invidia all’aeroporto di Singapore, solo lì ci rendiamo conto di quanta gente era ammassata sulla nave. Il terminal è pieno, ma la polizia ci apre una corsia, impronte digitali, foto e siamo fuori. Si e no un quarto d’ora. Chiedo l’estensione del visto di un giorno (ormai è sera e se considerano i giorni ci rimangono solo due giorni per la traversata), non è possibile ma non c’è problema, le 72 ore le considerano dall’ora di entrata e anche se tardiamo un giorno, un giorno e mezzo non succede niente. Comincia la trafila delle auto. Nel piazzale antistante il porto una saracinesca si apre e cominciano a uscire le prime auto, prese in carico dai vari proprietari. Escono in ordine di come erano stati consegnati i documenti, quindi noi con i carnet siamo tra gli ultimi. Gli autisti, indiani ce le riconsegnano fuori dalla saracinesca, controllo tutto, se manca qualcosa, avevo anche posizionato alcuni oggetti per capire dove avevano frugato. Niente, non hanno toccato nulla, CB e VHS in bella mostra, un CB e un VHS che tengo di ricambio, sul sedile posteriore (tanto era peggio nasconderli) più 2 VHS portatili. Niente. Unica cosa a chi ha i supplementari in vista chiedono di aprirli davanti a noi per vedere se trasportiamo alcool.

Ormai è notte fonda, ma nessuno ha sonno, ci aspetta l’Arabia. Partiamo.

Giovedi 12 gennaio 2017

Il programma è pesante, ma non vogliamo perderci niente, quindi l’intenzione è guidare a oltranza, non si dorme. Attraversiamo Jeddah, che ci accoglie con lo sfavillio e il lusso delle sue strade, una foto al volo al Geyser del porto, alto più di 200 metri e imbocchiamo la direzione nord sull’autostrada costiera per Yambu.

Alle due mattino abbiamo percorso appena 50 km, in un traffico congestionato che riempie tutte le cinque corsie dell’autostrada illuminata a giorno e ci costringe a guidare in prima e seconda. Ci si domanda dove andrà questo fiume di gente a quest’ora della notte, ma dà anche l’idea della grandiosità di questo paese. A Yambu il sonno comincia a farsi sentire, sono quasi le 5 e decidiamo di prendere 2 di sonno. Alle prime luci dell’alba facciamo i pieni, ci spariamo la solita omelette e partiamo, dopo qualche km la strada si infila fra le montagne, finisce l’autostrada e anche il traffico, ma la strada rimane comunque perfetta. Siamo stanchi ma non molliamo, mangiamo i chilometri in un paesaggio montagnoso molto piacevole. Cambia la temperatura, senza renderci conto siamo a 5 gradi, la strada, senza darci nessun segnale, ci ha portato a 1000 metri di altitudine. Arriviamo al bivio di Al Ain verso l’una, e come imbocchiamo la grande vallata rimaniamo a bocca aperta, il paesaggio è mozzafiato, un rincorrersi di palmeti incastrati in strette gole che farebbero invidia al gran canyon.IMG_0629rid1

Guglie, pinnacoli, archi di roccia, enormi macigni accatastati solo come la mano gigante della natura può fare che sfidano le forza di gravità, e i colori! Incredibile. Abbiamo finito gli elogi. E invece no. La valle si rifà grandiosa e arriviamo a Madain Saleh, patrimonio dell’umanità, e qui diventa difficile raccontare lo spettacolo.

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I Nabatei prima di Cristo se ne sono andati, la datazione dell’ultima tomba risale al 76 AC, all’improvviso e non si sa per quale ragione, si sono spostati a nord e hanno fondato Petra. Ma qui a Madain Saleh ci sono stati 1000 anni. In un area che si estende per decine di chilometri, costruendo centinaia di templi o tombe, in un paesaggio di una bellezza che sembra quasi finta. Bisognerebbe fermarsi ogni km a fare delle foto e stare qui una settimana._MG_9065rid1

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Dormiamo qui. Facciamo campo sotto una grande roccia, e dalla cassa cucina, nel carrello, salta fuori una bottiglia di Gin. Dimenticata! Roba da finire in galera. Nemmeno il rimorchio hanno controllato.

Venerdì 13 Gennaio 2017

Mi sveglio con l’ansia dei soldi. Saranno spariti?  E le macchine? C’è il 4G, mando diversi messaggi, niente. E’ vero che è venerdì, ma tutto tace.

Ieri sul Land si è rotto il paraolio dell’albero motore, quello anteriore, che sul 300Tdi è dietro al volano, perde un fiume d’olio e ogni 50 km Norbert si deve fermare a rabboccare mezzo chilo, ci vuole pazienza, ma non abbiamo il tempo di cambiarlo, e poi non ho il paraolio. Si va avanti così.

Decidiamo di continuare verso est, vogliamo vedere il deserto, la sabbia fra le rocce si fa invadente e piano piano si prende tutto, fino all’orizzonte. In fianco alla strada si alzano immense dune, è l’ora di uscire. Facciamo una sosta, mangiamo e sgonfiamo le gomme, senza mezze misure. 0.5 davanti e carrello, 0,7 dietro (sono ancora molto carico). La sabbia non è bella, molto bianca, molle e piena di cespuglietti. Si sale in modo quasi impercettibile poi, quando sei in cima e ti manca l’orizzonte, si scollina dolcemente, ma al contrario delle nostre dune classiche, man mano che si scende diventano sempre più verticali e più compatte. Le abbiamo misurate a più di 200 metri di discesa, e con l’altimetro 150. Con il carrello faccio fatica, nonostante sia frenato, gli ultimi 50 metri la sabbia è così verticale e compatta che il carrello tende a spazzolare e a intraversarmi la macchina, in fondo pesa sempre una tonnellata. Faccio fare strada a Fabrizio, che si butta a capofitto giù dalle barcane, una volta fatto i binari si scende senza difficoltà. Non ci sono grandi difficoltà, a parte l’adrenalina dei muri, il deserto è abbastanza noioso e ripetitivo.IMG_0634rid1

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Usciamo per una pista usata per le prospezioni petrolifere e raggiungiamo l’asfalto. Campo.

Sabato 14 Gennaio 2017

Una lunga corsa su asfalto. 850 km di asfalto verso Riyad, dove arriviamo alla sera, in un grandioso luccichio di grattacieli illuminati. Strade, ponti e svincoli faraonici, alberghi di lusso, ma noi decidiamo di fare un ultimo campo sulla sabbia. Dalle satellitari si intuisce una lingua di sabbia a 100km. Andiamo. E’ il primo giorno di luna vecchia e le dune, quelle come le conosciamo noi, sono illuminate a giorno dall’enorme sfera rossa che sorge e sembra volersi prendere tutto.

Mi risponde Abdin, mi dice di non preoccuparmi.

Domenica 15 Gennaio 2017

Quella che doveva essere una lingua si rivela alla luce del giorno un mare di sabbia, con la striscia di asfalto impegnato in una guerra senza fine per non soccombere, aiutato da decine di bulldozer che instancabili spazzano via le dune. Un po’ come fra El Oued e Toggourt. Facciamo ancora un po’ di sabbia e poi ci rassegnamo a gonfiare definitivamente. Passiamo la frontiera tra l’Arabia e Abu Dhabi in una mezz’oretta. Ormai è routine. Alla sera il primo vero albergo dopo 3 settimane. A parte il piacere di una doccia bollente, i soliti commenti: mangiavo meglio al campo, dormivo meglio in tenda…..sono solo un deja vu per mascherare la malinconia di una bellissima avventura che sappiamo è arrivata alla fine.

Lunedi 16 Gennaio 2017

In realtà l’albergo ci è servito a recuperare un po’ di sonno, percorriamo gli ultimi 400 km che ci separano da Dubai. Arriviamo a mezzogiorno e passiamo il pomeriggio a stupirci fra i gioielli della modernità: metropolitane, grattacieli, centri commerciali e naturalmente il quartiere dei ricambi e accessori per auto.

Neanche davanti a un kebab o una kefta abbiamo voglia di fare un confronto fra questo mondo e l’ambiente impegnativo che abbiamo lasciato, i commenti sarebbero scontanti. Ma l’avventura è stata grande grazie a questo magnifico gruppo, bravi tutti.  Grazie ragazzi, è l’ora di tornare a casa.

EPILOGO

Martedi 17 Gennaio 2017

Sono rimasto da solo con Norbert, lui torna a Khartoum ed è rimasto per darmi una mano a portare le macchine in porto. Anche suo figlio Max è partito per Berlino e davanti a una birra alla sera mi confessa che è la prima esperienza di viaggio con un gruppo così numeroso e non avrebbe mai immaginato una cooperazione così forte.

Venerdi 18 Gennaio 2017

Sono qui sull’aereo a scrivere questo racconto, le macchine sono state tutte imbarcate per Città del Capo.

PS: Dimenticavo, stamattina mi sono arrivate le copie dei bill of landing di Port Sudan. I carnet sono stati spediti per DHL, i soldi ovviamente sono stati versati e le auto sono in viaggio per Colombo dove arriveranno il 27 Gennaio, per poi riprendere il viaggio per Capetown.

Lo sapevo, o forse solo lo speravo. Amo questo paese anche per questo, dopo tanti anni non finisce ancora di stupirmi.

Allacciate le cinture “stiamo atterrando all’aeroporto di Milano Malpensa”

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