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Da Torino al Kurdistan diario di viaggio di Alessandro Scaglione (considerazioni)

– Posted in: Asia, Resoconti di viaggio

By Alessandro Scaglione
Originally Posted Friday, January 18, 2008

DA TORINO AL KURDISTAN DIARIO DI VIAGGIO GIORNALIERO – Parte 2 (considerazioni)

A me piace chiamarlo così, Kurdistan, la Turchia orientale quella più vera che sa di Medio Oriente al confine con Iran e la Siria.

Partenza da Torino; per l’esattezza Via Breglio 49 ed arrivo a Ishak Pasha a 18 Km dalla Persia per poi tornare indietro percorrendo le strade e gli sterrati sulle quali, qualche centinaia di anni fa sono transitate le merci più preziose che dall’Oriente venivano caricate e portate nelle ricche corti europee.

Percorsi ancora costellati da antichi caravanserragli che ricordano i fasti di un tempo, la nostalgia di un grande ieri.

Andrebbero restaurati, ripuliti e valorizzati, se questo fosse possibile farlo secondo le regole del rispetto e della tradizione locale ancora molto forte in questo angolo di Turchia, ben lontano dai canoni di modernità della europea Istanbul.

Forse è meglio che il tempo faccia il suo corso, piuttosto che vedere flotte di turisti arrivare su enormi pulman, fotografare e andare via.

Stonerebbe vedere nelle loro mani, macchine fotografiche “tecnologicamente avanzate” puntate senza alcun rispetto su cose e persone, come se fosse un safari fotografico. Qui i colori sono caldi e tenui come la gente che ci abita. Le case sono color ocra. I polli e le oche corrono lungo le strade e si intrecciano nel via vai quotidiano con carretti trainati da muli, con sopra un uomo e la sua donna con i capelli avvolti dal suo velo colorato e il loro carico di fieno per pecore e capre.

Ovunque sono saluti e sorrisi di benvenuto, o meglio di curiosità nel vedere uno straniero passare in fuoristrada lungo le strade del loro villaggio inconsapevoli del valore storico-archeologico che possiede il territorio della Turchia Orientale.

Per la storia e la cultura qui non c’è spazio ne tempo, altri sono i problemi ed i pensieri quotidiani in una terra arida d’estate e fredda d’inverno.

Chissà quanto tempo riuscirà a resistere il muro della tradizione antica, prima che venga travolto dalla locomotiva della modernità “globale” dai colori grigi dove tutto è uguale privo di tonalità e delle odierne sfumature.

Le cose stanno cambiando rapidamente, e non è così scontato che migliorino.

Il governo ha intrapreso un processo di “sviluppo” e di investimenti anche in questo angolo del suo immenso territorio, in parte obbligato dall’Unione Europea, anche se insegnare il curdo nelle scuole è vietato, come è vietato solamente menzionare l’esistenza di un territorio appartenente alla popolazione curda, il Kurdistan ovviamente.

Forti sono i contrasti con la Danimarca che trasmette via satellite un canale interamente in curdo, gestito da curdi danesi, forza lavoro immigrata in tutta Europa.

Si stanno costruendo ovunque strade e ponti ed anche se al viaggiatore occidentale le strade strette e polverose che lasciano appena intravedere da lontano la sagoma di qualche minareto sono più affascinanti, bisogna pensare ai benefici che possono portare alle popolazioni locali.

Ecco ripetersi l’eterno conflitto tra l’antico e moderno, tra il bene e il male.

C’è una località dal nome apparentemente insignificante, Hasankeif che è uno dei villaggi e siti archeologici più importanti dell’intera Mesopotamia situato sul fiume Tigri.

Tra qualche anno il tutto dovrebbe sparire, sommerso da un lago artificiale che dovrebbe garantire acqua ed elettricità a tutta la zona circostante.

La perdita storica archeologica è immensa e studiosi di tutto il mondo stanno cercando una soluzione a tutto ciò. L’intero villaggio composto da case in pietra dovrà essere sgomberato e ricostruito più in alto e speriamo che le case in pietra non siano sostituiti da freddi container….

Il fiero popolo curdo si oppone a tutto questo, vedendo in queste gesta la volontà del governo di Ankara di dissolvere l’etnia curda ed assoggettare l’intero popolo turco ed una unica entità nazionale senza diversità ed etnie nel nome di una sola patria con una sola lingua.

In molti vogliono l’indipendenza per formare uno Stato autonomo con i curdi presenti in Iran, Iraq e Siria. Ma anche su questo argomento tra i locali le opinioni sono discordanti.

Sul Nemrut Dagi un ragazzo ha chiamato la sua locanda “Caffè Roma” come ringraziamento all’Italia per aver ospitato Ocalan al tempo del primo governo Prodi. Peccato che però non si ricordi poi come lo stesso governo, sotto le pressioni NATO, di cui la Turchia fa parte, lo abbia rapidamente scaricato.

Lui è fortemente indipendentista, mentre un suo amico che vive a Istanbul, sostiene che è possibile vivere in un unico Stato turco senza necessariamente staccarsi dal governo centrale e non condivide la lotta del PKK e di Ocalan.

Sono il mondo contadino che si contrappone con quello della grande città, che spesso modifica il modo di pensare e che con le prime lire in tasca ti fa dimenticare da dove arrivi. Sostiene che se non è possibile vivere sul Nemrut basta emigrare in città per vivere meglio, poco importa se le periferie delle città dei Paesi in via di sviluppo diventano o stanno per diventare delle enormi bidonville come in Asia e America Latina e per molti l’emigrare in città è il trampolino di lancio non verso il benessere, ma verso il baratro che porta a vivere lungo la strada.

Proseguendo verso Oriente, le possibilità di dialogo con i locali diminuiscono sempre di più, ma non i contatti umani, i sorrisi i riti di benvenuto.

Il “Chay” viene offerto ovunque e sulla sponda del lago Van dove ci siamo fermati per fare un bagno in un acqua limpidissima, un ragazzo si avvicina per offrirmi una sigaretta, per chiedermi da dove arrivo e darmi il benvenuto nella sua terra.

In un’altra sosta dopo un altro bagno nel lago, ci sdraiamo al sole per asciugarci e all’improvviso da 2 tende che fungevano da “bar” spuntano 2 ragazzi che ci pongono 2 lettini per stare più comodi ripetendo subito “no money, no money”. Nonostante la lontananza probabilmente sanno come funziona da noi, dove tutto viene fatto solo in cambio di qualcosa e del Medio Oriente si conoscono solo le facce dei presunti terroristi islamici e le bombe palestinesi.

Oltre a Van, c’è il confine turco-iraniano e si iniziano a incontrare le prime auto targate THR, Teheran, ed i primi cartelli che indicano Iran.

Scatto una foto sul mio fuoristrada con uno di questi cartelli come sfondo, sperando che possa essere come un sogno premonitore di un viaggio che presto farò.

Arrivo a Dogubeizt, città polverosa e con parecchi militari presenti, l’Iran è a 18 Km. La metà è Ishak Pasha, l’ex palazzo di un sultano restaurato magnificamente 2 anni fa. Posizionato su un’altura con alle spalle le montagne e nelle vicinanze del Monte Ararat, vale i 4.250 Km percorsi per arrivare, e gli altrettanti chilometri da percorrere per tornare a casa.

E’ splendido, sembra di essere immersi in un dipinto di Van Gogh, tutto color pastello e lassù in alto si staglia il Palazzo. Dal nostro camping si vede benissimo, siamo stati 2 notti, ma onestamente ci sarei stato di più. Desiderai arrivare fin qui già nel 2003 nel primo viaggio in Turchia, ma queste strade in moto sono pericolose. Vidi la sua foto su un libro acquistato a poco prezzo in una bancarella di libri usati e solo la foto della Laguna Verde in Bolivia con il Licancabur alle sue spalle, mi provocò lo stesso desiderio di arrivare fin lì prima che tutto cambi, prima che arrivino i “caproni” con i loro pullman turistici portati dal “capo mandria” che tiene in mano una bandierina per farsi riconoscere.

Conosciamo 2 olandesi in bicicletta. Stanno via più di 1 anno, il loro obiettivo finale è il Tibet. Parliamo qualche oretta di viaggi fatti o sognati, offrendo a loro un buon caffè italiano alle pendici del Monte Ararat.

In serata arriva un camper tedesco di una coppia di pensionati con un enorme adesivo sul retro “Germany to India”. Un altro che ha capito tutto della vita. E mi vengono in mente quelli che una volta andati in pensione cadono in depressione perché non sanno come passare il loro tempo.

Per loro questa tappa apre le porte per l’Iran, per noi segna il punto più ad Oriente del viaggio.

Da domani inizia il viaggio di ritorno che ci riporterà prima in Grecia e poi in Italia.

Da Ishak Pasha ad Ani, si passa dall’architettura islamica a quella Armeno-Cristiana.

Il sito archeologico ha la sfortuna o la fortuna, dipende dai punti di vista, di trovarsi lontano dalle rotte turistiche, ma con il miglioramento della rete stradale un giorno sarà conosciuto e visitato da mezzo mondo. E’ tutto da scoprire con le sue Chiese disseminate su un altopiano che si spinge fino al confine con la Georgia. Passiamo circa 2 ore nel sito in completa solitudine, poi arriva un altro straniero.

Notte in camping a Yusufeli, ma qui è un’altra Turchia con foreste di pino in un paesaggio alpino. Se non fosse per i minareti che spuntano tra gli alberi, sembrerebbe di essere in Svizzera.

Un altro dei tanti contrasti che regala la Turchia, crogiolo di etnie e paesaggi uno dei pochi Stati al mondo a poter offrire tutto questo.

Ormai stiamo rientrando verso la Grecia e difatti ho il sole sempre in faccia o dal lato guida… è una vera rottura di coglioni.

Nel proseguire per Sumela facciamo del fuoristrada bellissimo per evitare un giro più lungo di 100 km. Ogni tanto mi viene il dubbio di aver sbagliato strada, ma per fortuna incrociamo sempre qualcuno a cui chiedere conferma. Ovviamente massima attenzione e concentrazione, gli strapiombi sono notevoli. Non riusciamo ad arrivare a Sumela, perché 30 chilometri prima, in uscita da una galleria, su un passo di montagna siamo avvolti da un nebbione fittissimo. Per un certo momento ho pensato di essere ad Asti o Vercelli, non si vedeva a 50 metri.

Per fortuna anche stavolta Allah è con noi ed appena fuori dalla galleria, il tempo di richiamare all’ordine “qualche santo” ed ecco materializzarsi una piccola tavernetta. Da qui non me ne vado neanche a colpi di cannone, piuttosto dormo in macchina… cazzo la maggiolina. Invece la tavernetta ha anche delle graziose stanzette in legno per dormire, 25 YTL, perfetto Allah Akbar.

Mattina dopo sole che spacca le pietre.

Pensavo di averla montata ovunque la mia tenda, invece No. Nell’avvicinarmi a Istanbul decido di passare la notte in una stazione di servizio e chiedo al proprietario se è possibile piazzare la tenda nel suo giardino.

Scontata la risposta affermativa, quindi monto la “casa”, faccio il pieno, mi lavano la macchina, mangiamo, dormiamo e la mattina dopo ripartiamo.

Il traffico aumenta sempre più lungo l’autostrada che collega Istanbul a Ankara, arteria di comunicazione principale.

Piove a dirotto e dopo la sosta in un moderno Autogrill appare prima la costa e poi i primi sobborghi della enorme periferia.

“La sublime porta”, Bisanzio, Costantinopoli, adesso il suo nome è Istanbul.

“Dove la terra si perde nel mare per sparire nel niente, poi ricomincia terra ma non è più Occidente”. Nomi ed aggettivi si sprecano per questa città. Ci sono luoghi nel mondo che chiunque lo possa fare ha il dovere morale e culturale di visitare. Se uno di questi è Roma, l’altro è Istanbul.

Gli imperatori più potenti l’hanno o l’avrebbero voluta come capitale dei loro imperi e chi è riuscito a conquistarla ha lasciato dietro di sé le tracce del suo dominio.

Camminare tra Santa Sofia e la Moschea Blu è come stare all’interno della cappella Sistina. Meglio sedersi un attimo negli splendidi giardini e guardarsi attorno, onde evitare che giri la testa. Raffinata è l’aggettivo migliore per descrivere l’architettura delle due moschee.

Santa Sofia nasce come chiesa bizantina, viene poi in seguito della conquista Ottomana trasformata in moschea, modificandone la struttura e aggiungendo altissimi minareti. E’ l’inizio della sfida tra Sultani e relativi architetti per innalzare la moschea più bella ed elegante del Bosforo. Di fronte a Santa Sofia viene costruita la Moschea Blu dal sultano Ahmet I, ma l’impero Ottomano raggiunge il suo massimo splendore sotto la sovranità di Solimano “Il magnifico” e di conseguenza anche le moschee costruite in quel periodo sono le più grandiose.

Sinan è il nome dell’architetto voluto da Solimano per erigere su uno dei colli della città, uno dei maggiori esempi di architettura islamica “la Sulemanye Camii”.

Visibile da tutte le angolazioni, è il punto di riferimento per non perdersi nelle strade ciottolate e signorili della “Porta d’Oriente”.

Ci trovavamo a mangiare il pesce sotto il ponte di Galata, quando verso il tramonto abbiamo provato ad immaginare Istanbul centinaia di anni fa, senza le tante case, le auto e i battelli che transitano sul Bosforo.

Doveva essere uno spettacolo agli occhi del viaggiatore, che da un lato poteva ammirare le sinuose forme di Santa Sofia, della Moschea Blu e di Topkapi, sopra il suo veliero, mentre si accingeva a doppiare il Corno d’oro attorniato dalle palme.

Quattro i giorni passati, ma potevano essere anche il doppio, che non sarebbero bastati per vedere tutto.

Per il resto un mare di ricordi, sorrisi ed esperienze, quelli si che bastano per dare non un addio, ma un arrivederci a questa meravigliosa terra, mentre usciamo dalla “Sublime porta”.

Racconto di un viaggio in Turchia

nell’Agosto del 2006.

By Alessandro Scaglione

 

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