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Tassili n’Ajjer – Viaggio in una fantastica bolla temporale di Alessandra

– Posted in: Africa, Nord Africa, Resoconti di viaggio

By Alessandra
Originally Posted Tuesday, May 15, 2007

Tassili n’Ajjer – Viaggio in una fantastica bolla temporale

4-14 Gennaio 2007

Bismillah! Chi c’è c’è, chi non c’è si affretti, si parte.

Lo zainetto in spalla, le scarpe tipo barca modello ‘Dingo’, il vecchio manico di una scopa come bastone, Moussà parte, noi dietro di lui. Davanti un nuovo giorno.
Bellissima luce, cielo terso, non un filo di vento. Il plateau si apre a davanti a noi in un grandioso anfiteatro. Lo spettacolo lo dirige la natura.
Sono partita con una grande voglia: più che di vedere e di visitare, l’ambizione era di ‘vivere’ questo meraviglioso posto. Di vivere nella natura e di partecipare allo svolgersi di ogni momento, di ogni giorno, abbandonandomi ai ritmi imposti dalla marcia, dalle soste, dalle pause con i datteri e dal rito del thè. Anche dalle piccole fatiche del trek (nulla in confronto a certe gite sulle Alpi…) e dalla gioia di vedere in lontananza un riparo, piccole figure colorate, disegni bellissimi, che raccontano l’alternarsi delle stagioni, il trascorrere del tempo, il carosello della vita, diverso ma in fondo da sempre uguale nel ripetere i bisogni, le ritualità, le feste, le guerre, la vita sociale degli umani.

L’arrivo a Tamrit è magico. I primi grandi Tarout, i cipressi millenari, ci aspettano dietro un grande costone roccioso, il sole in faccia, la luce tagliente.

Le radici cercano acqua e si snodano contorte qualche metro lontano dagli alberi. Le cortecce fibrose, lisce, sembrano tessuto di canapa. Pigne per terra e gocce di resina.

La nostra piccola tribù si muove ogni giorno, verso i siti più importanti, o anche solo i più curiosi, già studiati, letti, ripetuti, ripassati così tante volte nel programmare questo viaggio.

Moussà mi prende un po’ in giro e mi fa i trabocchetti per capire quanto conosco veramente: è questo il muflone vero? indicandomi un piccolo bovide che non c’entra niente con il bellissimo muflone dalle corna decorate, oppure sono queste le figure che cercavi? che niente hanno a che vedere con le belle teste rotonde che troviamo sempre a Tam Zumaitak.

Il giro del pomeriggio svela un profondo canyon, (ca. 200 m) che durante la stagione delle piogge, potrebbe incanalare acqua e portarla fino a Djanet. La vegetazione regala colori e forme meravigliose, nonostante non piova da molto tempo abbiamo la fortuna di vedere dei bei esemplari di Capparis spinosa, di sorte di ‘stelle alpine’ (Androcymbium wyssianum ), di Chamomilla pubescens e molte altre specie che confrontiamo con descrizioni, nomi, foto del piccolo libro di botanica. Bel campo la sera con cous cous; sono inviati anche i vicini del Sonatrac, cielo sereno e poco vento. Si accendono le stelle, Orione insegue le Pleiadi.

Dal plateau di Tin Tazarift si distingue in lontananza l’Akakus. La duna del Takarkhori, che si saliva partendo da Ghat per entrare in Akakus, è ben visibile in mezzo al massiccio. Mi dicono che il passo non è più praticabile perché è territorio algerino, infatti due elicotteri che ronzano in cielo sopra di noi controllano i confini. Mah che dire, a poco servono o poco fanno dal momento che transitano su questi stessi sentieri, centinaia, migliaia di clandestini ogni giorno, ogni anno. Ghat è vicina; potremmo, camminando di buon passo, arrivarci nel pomeriggio. Pensare al concetto di confine, qui su questo plateau è davvero un’astrazione: non si trova alcuna spiegazione, un senso geografico. Ma si sa, i confini spesso sono disegnati un po’ a caso e allora lasciamo Ghat ad un altro viaggio e proseguiamo per la foresta di pietre. Pinnacoli all’orizzonte, belle pitture dentro e fuori dalla valle: esploriamo Tin Aboteka.

Alla sera grande festa di compleanno, con miracolosa crostata del supermercato milanese, che ha resistito intatta al viaggio in aereo, a tre giorni di trek, al trasporto su asino: complimenti a chi ha studiato il packaging! Facciamo finta che l’abbia preparata il cuoco, qualcuno di crede anche …. e bisognerà spiegarglielo!

Partenza puntuale in direzione Sefar, con passaggio a Tin Teferies. Pitture, torrioni, pinnacoli si sprecano. Il paesaggio è di una bellezza non raccontabile, o comunque già raccontata.

A Sefar Mellet le bianche dune attraversano, circondano, assediano i ripari; l’arrivo dall’alto al balcone naturale che si apre sul grande dio degli oranti è emozionante. Al pomeriggio partiamo alla scoperta di Sefar Settafet lastricata da rocce laviche che rendono il percorso molto agevole. Cena e dopocena con canti, danze e musica sulle taniche d’acqua, che all’occasione diventano tamburi.

Il solito asino bianco, che sembra il più fesso ma secondo noi è il più furbo, come sempre al momento del carico non si trova. Lasciamo gli asinieri a cercarlo e partiamo per Tinrassoutin.

Uno sciacallo bianco ulula alla luna che sta sparendo all’orizzonte. Per un attimo sembra uno scenario da Far West!

Pranzo a Tin Kani: prendiamo il sole. Il cielo appena velato ma la giornata è bellissima, un mula mula ci segue. Ripartiamo verso Tintabbagart, un castello di pietre erose e scolpite, torri merlate nere; da certe angolazioni sembra davvero qualcosa di costruito in base ad un progetto e non un semplice ammasso di rocce casuali. La sorpresa successiva è un cipresso enorme: fronde nodose piene di rami verdi e pigne. Lo abbracciamo come per ricevere energia positiva, come fosse un grande padre. Poi un su e giù fino ad arrivare al campo di Alanedoumen. Per cena tagella cotta nella sabbia. Penso che la mangeremo come pane, ma il cuoco la rompe in tante palline che mischieremo ad un sugo di verdure miste a ceci e lenticchie. Due orecchie ci sono schizzate davanti oggi pomeriggio e wrrrrr via velocissime. Meno male… niente lepre anche per stasera!

Siamo ancora sul plateau, davanti a noi la foresta nera di pietre vulcaniche. Scarpiniamo fino al cipresso di Rayaye. Gocce di resina rosso/bordeaux colano dal tronco. Lì vicino un altro cipresso e più avanti ancora ne troviamo uno morto. Non c’è possibilità di recupero ed hanno già incominciato a tagliarlo per ardere. La piana fino a Ozaneare è vulcanica, si trovano tante palline rotonde perfette.

Quelle spaccate a metà svelano un buco al centro. Deviazione alla bella guelta di Smmat ricca di oleandri e arbusti spinosi con fiori viola. Dalla terrazza del plateau lo spettacolo è magico: l’oued Tabarakat si estende lungo la vallata a perdita d’occhio. Scendiamo dalla falesia e cominciamo a percorrere l’oued un po’ faticosamente per via della sabbia molle. Raccogliamo rami secchi e morti che serviranno per il fuoco della sera. Fa un po’ pensare il fatto di bruciare legno di cipresso anche se morto, ma mi rendo subito conto che è un pensiero forse ecologista/accademico ma alquanto inutile in questo deserto. Il campo è uno dei più belli, la notte è quieta. Anche l’asino bianco, stranamente, rimane vicino al campo.

Un po’ infreddoliti partiamo per risalire la falesia. Sull’altopiano siamo investiti da un vento gelido.

Per una settimana siamo stati “graziati” ed abbiamo avuto un tempo stupendo, oggi ultimo giorno sul plateau la musica cambia! Cominciamo a vedere in lontananza i primi giganti “Jabbaren” in tamaschek. Enormi massi arrotondati ed erosi dal vento.

Il sito è il più vicino a Djanet, si può salire anche in giornata, è il posto del Tassili sicuramente più frequentato e, purtroppo, si vede. Le pitture sono alquanto rovinate, alcune soprascritte con il solito I–cuore–you e simili; roba da matti! Jabbaren è molto vasta, ci vorrebbero due giorni almeno anche per visitare il sito di Aouarnhet, ma è troppo lontano e comunque abbiamo deciso di scendere domani e di tenerci un giorno per l’erg Admer. Intanto il vento non smette di soffiare. Pausa di mezzogiorno al riparo di muretti in una zona molto visitata da turisti e da capre, si vede e si sente.

Sosta praticamente forzata per il vento, fino alle 15.00 poi si riparte. Ancora qualche pittura e poi la visita ai ripari si conclude. Grande applauso finale a Moussà: grazie per la pazienza, la simpatia, l’ironia e la bravura nel portarci nei posti più belli e nel saper creare ogni volta una sorpresa.

Questa sera è quasi impossibile montare la tenda: ci riusciamo solo perché la leghiamo con una robusta corda ad un enorme masso. Il vento non da tregua. Notte quasi insonne, non vola via tutto per puro miracolo, la sensazione è quella di potersi anche svegliare all’aeroporto di Djanet direttamente, senza scendere la falesia.

L’alba è una liberazione: smontiamo tutto in fretta, colazione e si parte.

Inizia subito la ripida discesa di sassoni smossi.

In lontananza un gruppo abbastanza folto di persone. Guardo Omar, la guida che parla francese, mi legge la domanda e prima che possa chiedere spiegazioni, mi dice che non si tratta di turisti. Conto venti persone. La guida li ha mollati ai piedi della falesia stanotte, non conoscono la via, le ciabatte infradito di plastica scivolano sui sassi, la camicia leggera, svolazzante per il vento, una tanichetta d’acqua in spalla, gli occhi spiritati, la paura di rimanere indietro, di perdere il contatto con il gruppo, per quel che serve…provo una pena e una tristezza indicibili. Gli stessi percorsi, gli stessi sassi, lo stesso plateau, virano improvvisamente da paradiso ad inferno, per chi non ha giacche a vento di piumino e scarponcini da montagna.

Un altro gruppo molto più folto ci viene ancora incontro. Questa volta ne conto tra ottanta e novanta Salgono come cani sciolti, in ordine sparso. Questo gruppo ha la guida, ma per il resto tutto come prima. Alcuni vestono abiti tradizionali, sono impacciati, impreparati, disperati. Un terzo gruppetto all’orizzonte, ne conto cinquanta. Stesse scene. Ogni volta ci fermiamo da parte per farli passare, per non interrompere la loro salita.

Due mondi che si incontrano ma che non si incrociano, viaggiano in parallelo sullo stesso percorso.

Se tutto va bene tra due giorni saranno a Ghat e poi da lì inizierà un altro delirio, tra Libia, deserto e mare fino, forse, alla sospirata Europa, forse rimpatriati subito, di sicuro ritenteranno.

Nella piana la Toyota dell’agenzia ci aspetta già. Però non sono ancora arrivati gli asini con i bagagli e i preziosi bicchierini per il the. Dovremo aspettare per circa due ore l’arrivo della carovana, cosa che normalmente non succede mai. Dopo la visione dantesca di questa mattina, pensare di arrabbiarsi è impossibile.

Djanet me la ricordavo così. Forse hanno aggiunto solo i lampioni un po’ rococò nella via centrale.

Pranzo nel bel cortile dell’agenzia e pomeriggio di relax e spese al mercato.

Siamo molto stanchi, cena con cous cous speciale con uvette, carne e miele e poi con Orione si va a dormire.

L’autista che ci accompagnerà nell’erg Admer si chiama Ahmed, il solito parente del parente. Tuareg un po’ anomalo: baffi rossicci e lentiggini. Canta e sbanda sulle dune, che è un piacere. Piacevole giretto nell’erg, rientro passando dall’incisione della vache qui pleure. Belle incisioni, posto turistico.

L’aereo è in ritardo di quasi tre ore, è notte fonda, il tempo di attesa sfinente, i controlli dei bagagli, i ricontrolli e i controlli dei ricontrolli sono una palla allucinante. Ad un poliziotto mi trovo a dire in modo un po’ scortese: guardi che è sempre lo stesso zainetto di cinque minuti fa! Mi mordo la lingua ma lui non se la caccia per niente e mi dice: lo so!

L’aeroporto internazionale di Algeri inaugurato a giugno 2006, è bello e accogliente; quello nazionale lasciatelo perdere. Il bar apre alle 8.00 ci accampiamo per la colazione e ci restiamo tutto il giorno, fino al momento dell’imbarco.

Il volo è in orario: in meno che non si dica siamo fuori dalla ‘bolla temporale’, a casa. Shukran.

Alessandra

“Chi non ha guardato con i suoi occhi il deserto non può sapere quanto ci sia di ineffabile nella terrena bellezza di un mattino. Isabelle. Eberhardt.”

Per il Tassili è vero più che mai. Per una volta lasciate a casa le macchine e andateci!

Bibliografia

Tassili Frescoes – Henri Lothe – ed. Dutton
Le Meraviglie del Tassili – Lajoux – ed. I.I.A.G.
Sahara Art Rupestre – Henri Hugot – ed. Les Editions de l’Amateur
Antiche civiltà del Sahara – Baistrocchi – ed. Mursia
Le più antiche pitture del Sahara – Sansoni – Jaca Book

oltre al preziosissimo

Fleurs du Sahara – Benchelah/Bouziane/Maka/Ouahes – ed. Atlantica

Note Tecniche

Il viaggio è stato organizzato in completa autonomia da Milano.
Un piccolo gruppo, veloce, affiatato, interessato, senza menate, simpatico. Ci siamo divertiti!
Visti: una volta ricevuto l’invito dell’agenzia sono facilmente ottenibili al Consolato, aperto da pochi mesi anche a Milano.

Voli: i passaggi aerei sono la parte di spesa più consistente, avendo pochi giorni e date abbastanza blindate. Potendo scegliere partenze e ritorni con più tranquillità, si possono trovare charter o altri voli da Marsiglia o Parigi, sicuramente più economici.

Guide: abbiamo avuto la fortuna di appoggiarci ad un’agenzia di Djanet molto affidabile, seria, precisa. Se qualcuno fosse interessato, mi sento davvero di consigliarla.

 

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